senza titolo, senza forze

Continuo a chiedermi perché il dolore è così intenso da togliere il respiro, da farti mancare ossigeno ai polmoni in una morsa soffocante che dilania al pari di un rastrello appuntito che scava nella carne.
Continuo a domandarmi che ho fatto a Dio per meritarmi una punizione così feroce. Rifletto e mi dico che ho solamente amato.
Agli occhi di qualcuno è forse peccato mortale e ora sono punita, Caronte mi ha preso per mano e, girone dopo girone, mi ha portato a bruciare della mia stessa passione.
Non meritavo di finire così, nessuno merita di essere vilipeso, offeso, calpestato nella propria dignità di persona e di donna.
Nemmeno la più vile puttana lo merita ma a me è stato riservato questo trattamento.
Mi dico che la melma che mi compone è oltre qualsiasi figura bieca e ambigua, alla quale è stato riservato un trattamento sicuramente migliore: fiducia, stima, amicizia.

Tempo, ti prego, vieni a lenire le ferite che stanno sanguinando di emorragia perpetua da troppe ore, sto lentamente dissanguandomi e non ce la faccio più.
Sarebbe facile addormentarsi e non svegliarsi più da un dolce sonno ristoratore.
Ma anche stanotte so che sarà abitato dal fantasma di una figura con una camicia bianca, ferma ad aspettare un treno in una stazione, lasciata lì come una valigia dimenticata e piena di sensi di colpa per aver distolto lei i pensieri e le preoccupazioni da altro molto più importanti.
Mentre di là del muro di cinta si compiva la beffa, si compiva il danno, e lo si mascherava di mille parole.

Dio, aiutami. Non credo in te ma voglio iniziare a farlo, voglio credere che tu, assieme al signor tempo, possiate davvero aiutarmi a smettere di pensare a cupi pensieri che non mi abbandonano che per qualche ora, per poi tornare prepotenti a bussare al mio cervello, ammaliatori, incantatori, tentatori.

Bambina mia: non conosco le tue pene e il dolore che ti affligge, ma se può esserti di minimo conforto, sappi che condivido il tuo dolore in ogni sua sfumatura e in ogni sua piccola (o grande) piega, come un sudario che ci avvolge inesorabile. L'ho provato, fortissimo, fino a qualche anno fa: mai si è sopito del tutto.
Lo sto provando anche ora, perché questo "tipo" di sofferenza è come un vizio dal quale non ci si libera mai: sempre torna a tormentarti, sempre ti fa cadere nel tranello. E tu ti lasci avvolgere, perché amare ti sembra l'unica ragione della vita. Invece pare sia l'unica ragione di sofferenza. Almeno, per me, è così.
Anch'io credo di liberarmi con qualche ora di sonno, sopraggiunto per la gran stanchezza, anche di piangere (mi succede molto spesso, ultimamente). Ma poi tornano i pensieri, inesorabili come fantasmi maligni.
Come liberarsi dai propri pensieri? Non è possibile; o, almeno, io non ci riesco. E a volte mi sembra di impazzire, per dover fingere che tutto sia OK, con tutti, con chi ti frequenta e sai che non puoi dire, non puoi sfogarti.
Io lo faccio qui, con voi.
E di questo devo dire "grazie di cuore" a te e a tutti, qui.
Un abbraccio.
Al.