Per chiudere il capitolo Venezia voglio ricordare alcuni episodi l'erotico(?) l'altro religioso e quello familiare. Noioso sarebbe snocciolare i miei dieci anni di adolescenza che trascorsero nel migliore dei modi in città e al Lido dove passevamo le vacanze alla spiaggia.
In Campiello Santa Marina al numero 6064 (che memoria) vivevamo noi al secondo piano cosicchè l'acqua alta non ci molestava pur avendo il canale di fronte, lambiva la cantina senza bagnarci. Dovevamo aspettare il riflusso e tutto tornava normale. Vicino a me abitava una bambina della mia stessa età 7 anni. Confesso che fin da quell'età ero attratto dal sesso opposto, non per morbosità ma per natura. Giochevamo spesso assieme sotto gli occhi condiscendenti della mamma che mi reputava un bravo bambino tanto che mentre lei stava al piano di sopra o usciva, noi rimanevamo al pian terreno a giocara a mamma e papà. IL classico gioco dei bambini; le bambole erano le figlie e naturalmente, dopo il pranzo o la cena ci preparavamo il letto.Questa era la parte che più mi piaceva. Stendevamo una coperta e ci accostavamo abbracciandoci...però io, prima di stenderci le toglievo le mutandine; innocentemente non pensavo ad altro solo guardavo e mi affascinava la mancanza di quel pendente che avevo io, Ero ancora molto molto innocente. Forse Elena pensava a qualcosa di più, ma si sà che le femmine sono un passo più avanti dei maschietti...tutto finiva lì.
Combinazione nello stesso Campiello viveva in un edificio di fronte, il parroco della mia Parrocchia di Santa Maria Formosa, il quale si era fissato con me, essendo anche chierichetto; il sabato e la domenica alle sei del mattino mi chiamava dalla finestra perchè andassi a rispondergli alla messa. La mia contrarietà era vinta dai 50 centesimi che mi regalava per il mio sacrificio. Certo non era tanto cristiano, ma per quei 50 centesimi con piacere gli vendevo l'anima al prete. Come dimenticarsi delle adunate oceaniche in Piazza San Marco quando il duce annunciava la guerra all'Abissinia e la conquista dell'impero sui colli fatali di Roma, vestivo la fatidica divisa di figlio della lupa!
E l'ultima quando cambiammo casa e vivevamo proprio di fronte alla scuola Giacinto Gallina dove mia madre era maestra. La cosa graziosa e pratica era che alle dodici in punto si affaccciavano mia madre e la nostra donna di servizio e le gridava:" butta la pasta", non certo dalla finestra ma nella pentola, perchè tutti tornevamo a casa anche mio padre dalla Questura. Papà non era questurino raso, era laureato in legge e commissario capo in quel lontano 1936......
continua