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 e se adesso...?

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Roberto Miano
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MessaggioTitolo: e se adesso...?   e se adesso...? Icon_minitime21/10/2008, 12:06

L’ultima volta che lei le aveva detto “e il sesso?” era stato quando gli aveva chiesto se avrebbe preferito un maschietto oppure una femminuccia.

A pensarci bene quella domanda, con quelle tre esatte parole (al netto del punto interrogativo) era stata l’ultima ma anche la prima.

Insomma di sesso non se ne era parlato quasi mai, fatto sì, il che era ovvio posto che la domanda afferiva la curiosità di cui sopra, ma il sesso, quello con la esse (la)scivolosa, quel sesso non era mai entrato nella formula del loro rapporto.

E allora il sesso, inteso come la sensualità, era rimasto per lui oggetto di alienata ammirazione, distaccata, vissuta per sentito dire, provata per dovuto fare, desiderata per voluto volere.
Ed è difficile rimanere indifferenti a questa coazione morale quando si è consapevoli che tra il dovuto e il voluto ci passa un’intera scienza del godibile.

Aveva per altro accettato, già da qualche tempo, che il suo io - presunto allegro - era in verità un ego cupo, livido, costretto, soggiogato e represso. Non depresso.

Possibile che poteva entrarci il sesso?

“Possibilissimo! Cazzo!”

Ripete Renato guardandosi nello specchio.

“Mi sono invecchiato, soffro di claustronzissimafobia e però (pepperò, pepperò: echi di una autoironia tra parentesi) sono ligio al dovere morale di una dedizione castrante.
Basta! Sono una testa di cazzo. Oggi strappo i confini del mio mondo, allungo le mani e tutto ciò che posso prendere lo faccio mio. Se c’è da godere si gode. C’è, ce n’è. Ce ne deve essere.

Si aggiusta il collo del soprabito, si guarda, nessuna novità. Esce dalla camera da letto, apre la porta ed esce dimenticandosi l’ombrello.

“C’è un sole pallido ma potrebbe piovere.”

Sta ponderando, davanti all’ascensore, con le chiavi in mano, se tornare indietro.
Si aprono le porte. Riconosce la propria faccia nello specchio.

“Oggi non si torna indietro!”

Esclama, entrando nell’ascensore, con la borsa nella mano destra, il collo rigido e la voglia di provare a sfidare il proprio sguardo.

Deve andare da qualsiasi parte, ma prima deve passare a ritirare i plantari.
Viene bene pensare mentre osservi la punta del naso che si ripete esatta e diametralmente opposta al di là del confine di vetro. Se ti allontani di un solo centimetro ti rendi conto che le tue riflessioni sono prigioniere di un artificio, ma soprattutto di tutto ciò che sei. E allora pensi, in continuazione, per distrarti, per non riflettere, neanche davanti ad uno specchio.

“Per andare da qualsiasi parte, prima devo aggiustare i miei passi.
Mi muovo da sempre su due parabole, ho un arco plantare da “c’era una volta”, potrei camminare scalzo su un uovo senza romperlo.
E grave, caro tu-dall’altra parte, se il fisico non t’assiste. Oggi però voglio un fisico tassista (virgolette con le dita), che mi porti dove voglio io.
Almeno a parole sono cazzuto. Spero allora di riuscire ad imbrogliare l’entusiasmo fino all’attimo del non ritorno, quello in cui le chiacchiere avranno ormai lasciato il posto ai fatti.
Prendiamoli però ‘sti plantari. Dobbiamo correggere molti nostri passi, in ogni senso, in ogni direzione.

Nello specchietto della macchina non si ritrova coordinato con le nuove intenzioni. E’ una sensazione sconfortante, distoglie lo sguardo, poi sbuffa, mentre fa manovra, si sente tirare, ha chiuso l’impermeabile nello sportello.

“Appunto!”

E’ il commento. Apre la portiera, libera un sospiro, poi richiude. E’ goffo, come sempre, e questo benedetto “oggi” non sembra voler fare eccezione.

C’è il sacchetto dell’immondizia ai piedi del sedile di fianco.
Parlare con la spazzatura non è un buon segno, ma Rena concede un’opportunità ad ogni ipotesi, perché dovrebbe far eccezione la spazzatura?

Essere normali significa comportarsi secondo norma. Ma qual è la norma se sei in macchina, signore e abitante unico di un universo esclusivo che veicola quotidianamente il tuo ego nel traffico di altri universi egoistici, e un sacchetto di spazzatura sembra l’unica cosa che non riflette la tua mestizia e che anzi ti giudica con serenità?

“Già, cosa è normale?”

Si chiede Rena oltrepassando il cancello automatico del box.
Infila la seconda e accelera, troppo, allora deve strozzare il coraggio del piede, sollevarlo e chiedere all’altro di richiamare la frizione per tornare in prima, sullo slancio smorzato, in cima alla rampa. La macchina fuma, sembra quasi ansimare. Rena tiene entrambe le mani sul volante. Lo stereo è acceso, c’è un cd dei Marillion, per la precisione “the great escape” in modalità repeat.

“Oggi, voglio ossessionarmi di cose perfette. Questa canzone è perfetta. Certi pensieri sono perfetti. Alcune speranze sono perfette. Le mie intenzioni - oggi - sono perfette.”

Rimane l’interferenza della sua ingenua paura di osare. E’ l’unica cosa da gettare via, oggi, esattamente come quel sacchetto pieno di cartaccia, innocuo, inodore, riciclabile, capace di saper rimanere lì, senza urlare nulla, senza lamentarsi.

Una coscienza limpida, al limite riciclabile, può essere gettata via per lasciare spazio a nuove opportunità ovvero tenerla lì per vantarsi in gran segreto, col proprio diario, di essere rimasto l’unico essere vivente con un principio (morale) ma con nessun fine (neanche morale).

“Stavolta non mi freghi, cento metri e c’è il cassonetto.”

Rena guarda il sacchetto.

“E risolvi qualcosa?”

Accelera, mette la seconda e procede a 20 km orari. Il solito cane rompi-coglioni della casa di confine abbaia.

“Faccio spazio, non farne una questione personale.”

“E’ tuo lo spazio?”

“Di sicuro non tuo. Trovo già grave che stia anche soltanto discutendo con te. E comunque non vorrei dover far un sacchetto di tutte le mie cose, gettarle via, per poi scoprire di venir risucchiato perché c’è una filo (tenace) conduttore che mi lega a quelle.”

“Sei il solito. Non solo ci parli con me, ma mi affidi pensieri che probabilmente potresti artatamente venderti per ottenere quello che stai cercando. Io però potrei intanto prendere il tuo trench. Visto che mi offri una chance, ebbene io te la cambio con un parere. Gettalo! Tu sei tutto fuorché impermeabile a ciò che ti circonda. A cosa ti serve quel coso? E’ inutile oltre che improponibile.”

“Dici?”

“Oddio, proprio “dire”, diciamo che sei tu che interpreti le mie parole. Comunque, sì! Dico.”

Rena ferma la macchina, si toglie l’impermeabile, lo piega come per metterlo via. Lo infila nel sacchetto, fa tre passi, alza il braccio, lo osserva penzolare sulla bocca del cassonetto, un secondo, poi lo lascia cadere. Si ricorda qualcosa. Cerca nelle tasche. Trova degli scontrini e un biglietto del cinema. Li strappa e poi getta via anche loro. Risale in macchina, alza il volume, guarda a sinistra, non c’è nessuno, può andare. Allora va.

Certi viaggi sono assolutamente piacevoli, non importa quanto siano distanti anche perché hai soltanto la percezione di viaggiare, quasi fossi fermo sulle tue convinzioni. E’ il mondo, con tutte le sue cose, che ti viene incontro. E’ una sensazione strana che ti dà un senso di potenza, alla quale ti abitui subito e la musica è solo la ciliegina su una torta che mangi da solo infilando il dito dove cavolo ti pare.

Quando Rena arriva, tira il freno a mano e mette la marcia in folle, non riesce a non domandarsi se è stato lui a fare due giri di palazzo per trovare quel parcheggio o se quel posto non abbia fatto gli stessi giri per trovare lui.
La canzone è al terzo gettone quando spegne motore e stereo. Non mette il blocca pedali. Nessuno può rubargli nulla, non oggi.
La Sanitaria è a cento metri, due passi da cinquanta alla “volta”. In fondo neanche tanti per un traguardo di cui solo lui legge le lettere cubitali.

Rena entra e una commessa è di spalle che sta sistemando uno scaffale di scarpe ortopediche. La parete sinistra è piena di calze, apparecchiature portatili, protesi e tutori, cavigliere, busti, plantari, di spalle alla vetrina c’è la campagna pubblicitaria della “baropodografia computerizzata” gratuita, la guarda, la legge e la rilegge, sillabandola, perché la deve imparare a memoria, è stata la dottoressa a rivelargli quel nome quando, anche lui, l’ha fatta. Un po’ come “i paralipomeni della batracomiomachia”, è stata la professoressa del liceo a spiegargli cos’erano. Lui - poi - non li ha mai letti, ma ha stimato che valeva la pena di imparare quello scioglilingua, prima o poi gli sarebbe tornato utile in qualche “titolato” circolo culturale. Certo non puoi pretendere di scopare sulla fiducia soltanto additolandoti di Paralipomeni leopardati, ma del resto neanche parlando dell’e-mozioni, mescolando causa ed effetto, della baropodografia. Ci vorrebbe piuttosto Kant, la ragion pura, oppure Klimt, al limite un Calvino che, a quanto pare, non ha scritto soltanto Marcovaldo. Ma soprattutto di vorrebbe il coraggio di rischiare. Bisogna giocarselo un “seppoi” per poter godere di una chance.

“Buon giorno, mi dica!”

La commessa, con gli occhiali, montatura sottile, saluta Rena mentre con le dita piccole e nervose tortura una scarpa. Ha le unghie corte, se le mangia, ed è carina. Indossa un camice bianco, ha un righello nella tasca, vicino ad una penna.

“Che ci fa col righello?”

(Pensiero curioso.)

“Buon Giorno. Avevo un appuntamento con la dottoressa…”

“Si, lei è il signor?”

“Renato **** ”

“Si accomodi, è sotto! La chiamo subito.”

Rena si accomoda anche se non nel senso che vorrebbe lui. Sorride ma poi, bacchetta la sua pedante auto-ironia, diventa serio. E’ un po’ confuso. Tossisce, rimette a posto le idee. Oggi è anche il giorno dei “chissenefrega”.

“Buon Giorno Renato!”

La dottoressa viene fuori dalle scale, ha un sorriso particolare, firmato da un dente spezzato. Rena lo trova molto sensuale.

“Buon giorno dottoressa, non so se sono in anticipo…”

“Meglio, mi segua!”

Sparisce di nuovo, seguendola si accorge che la commessa, che lo accompagna con lo sguardo mentre mette a posto la penna nel taschino, per un qualche motivo tocca anche il righello, lo mette in ordine, affianco e non dietro la penna. Rena nota la cosa. Si gratta la testa.

La dottoressa lo anticipa nella stessa stanza dove ha fatto la baropodografia. Entra.

“Prego!”

Gli dice lei chiudendosi la porta dietro.

“Allora?”

“Allora, siamo qui…”

Rena pensa che se la domanda era stupida, la risposta era decisamente peggio. Non glie ne frega niente di quei plantari. Gli interessa della dottoressa, del suo dente spezzato. Nel cestino c’è della carta. Sembra volergli dire qualcosa.
Lui la osserva per un attimo, poi abbassa lo sguardo e mormora impercettibilmente qualcosa

“Anche qui a rompere i coglioni…”

“Tutto a posto?”

Gli chiede lei.

“Si, più o meno…”

“Più o meno?”

Domanda lei sollevando lo sguardo, i suoi occhi sono fissi su quelli di Rena. Se non è un invito quello, allora conviene morire domani.

“Meno!”

“Vedo!”

“Cosa vede?”

“Dammi del tu Renato, siamo coetanei. Vedo che sei cupo e non credo dipenda dai piedi.”

“Infatti. Cammino storto da una vita…”

“Lo so, ho qui la tua cartella…”

“Intendevo altro..”

“Vogliamo provare questi plantari?”

“Proviamo…”

La dottoressa si china ai suoi piedi, ha il grembiule leggermente aperto, in quella posizione mostra un decolté generoso. Rena prova ad infilare il piede nella scarpa. Ha un equilibrio pessimo, barcolla. Lei gli afferra la caviglia per guidare la calzatura, con l’altra mano si tiene alla gamba sinistra. Lui è in piedi e in imbarazzo, ma lei, che improvvisamente solleva il viso, non lo sa.

“Va bene ora?”

“Si, ma…”

“Ma cosa?”

Chiede lei da basso, massaggiando lievemente la gamba nel punto dove ha lasciato la mano destra, forse per tenersi, forse no.

“Ma potrebbe andar meglio!”

“Come? Mostrami come?”

Rena tira un sospiro. Mette una mano sotto il suo mento. Lei solleva la testa per seguire il suo dito. Ottenuto il suo sguardo, scende con la mano sul collo. La dottoressa si alza in piedi, piega il collo, si avvicina alla bocca di lui. Lui le prende una mano. Con l’altra le cinge un fianco, scende sul sedere. Lei non dice nulla, rimane vicina alle sue labbra, tenendo in ostaggio il suo sguardo.
Lui le toglie il camice. Sotto ha una camicia e una gonna. La mette seduta sul lettino. Le bacia il collo, si ferma per sentire il profumo della sua pelle, poi scende con il naso fin dove i bottoni lo consentono. Lei gli prende la testa. Riscende dal lettino, si solleva la gonna, poi porta le mani sui pantaloni di lui. E’ un attimo, li invita a cadere. Poi fa lo stesso con la sua gonna, non toglie però la camicia.
Renato segue il profilo delle sue mutandine, osserva le autoreggenti. Si ferma un attimo, per mettere in fila i suoi desideri. Lo fa in silenzio, di nascosto, puntando tutto su quell’attimo. Ma poi non resiste, è un pessimo giocatore, risale fino al suo viso, seguendo il profilo del corpo con le dita, la osserva negli occhi e - quasi intristito - scopre le carte.

“E se poi…?”

Lei sorride, si toglie le mutandine prima di rispondere.

“E se adesso?”



https://www.youtube.com/watch?v=Cb9_Zzi7su4
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MessaggioTitolo: Re: e se adesso...?   e se adesso...? Icon_minitime21/10/2008, 13:03

Cosa ne pensate dei plantari che foot locker propone di acquistare?
by Maurizio B
Miglior risposta - Scelta dai votanti
ciao...sono un commesso di Foot Locker...non nascondo che siamo in parte obbligati a proporli ai clienti...ma se ami il tuo lavoro, e ti andrebbe di consigliare il cliente..lo proporresti anche tu...Sono comodi pratici e garantiti!Comodi perchè le suole che mettono su nike adidas puma lacoste converse o altro, sono semplicemente di cartone il plantare invece è in gel o in poliuretano e neoprene.sono proprio ammortizzati sul tallone sull'arco plantare e fanno sudare molto meno. e comunque si lavano in lavatrice o a mano!Si rovinano?no..ma cmq sono anche garantiti!Il prezzo di 15 euro?pensateci...non è troppo!molti clienti ti dicono: ma a me il piede non suda..!Ah no??? chiedilo a quella povera vecchia scarpa che ti sei levato ora...anche le formiche da terra ci passano distante...
e se adesso...? 34rc9io


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MessaggioTitolo: Re: e se adesso...?   e se adesso...? Icon_minitime21/10/2008, 18:42

“Oggi, voglio ossessionarmi di cose perfette.
Questa canzone è perfetta.
Certi pensieri sono perfetti."

Tutta la parte finale
è.
Genialmente perfetta:)
C.
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rubinia
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MessaggioTitolo: Re: e se adesso...?   e se adesso...? Icon_minitime21/10/2008, 19:12

Ma Rena ne fa decine di viaggi qui! Ogni passo è un viaggio verso altro.
E cominciare buttando il trench è purificatore.
E quel parlare con la carta è di chi scrive e non è mica tanto pazzesco sentirne le risposte.
E se adesso diventasse adesso(virgolette con le dita) tutto avrebbe il senso che dovrebbe avere.
E...
Basta Very Happy
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MessaggioTitolo: Re: e se adesso...?   e se adesso...? Icon_minitime

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