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 ( Il profumo che danza nell’aria )

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Alessandro Vettorato
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Alessandro Vettorato


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MessaggioTitolo: ( Il profumo che danza nell’aria )   ( Il profumo che danza nell’aria ) Icon_minitime7/3/2009, 12:55

Ci trovavamo nella camera mortuaria dove, a pochi passi da tutti noi, c’era la bara.
Dentro la bara il nostro amico.
Jenny aveva avuto un crollo ed era scappata fuori dalla stanza, affondando il viso nel petto della madre del defunto che ora la stringeva, carezzandole i capelli e sussurrandole chissà quali parole di conforto.
Io ero rimasto. Così come erano rimasti tutti gli altri.
Nella camera mortuaria c’era fresco, rispetto al caldo che si respirava fuori dall’ospedale.
I ciottoli sulla strada erano diventate pepite ardenti, destinate ad essere trasformate in pietre filosofali.
Quando eravamo arrivati all’ospedale, con la radio che trasmetteva successi dance anni ’70 e il desiderio di non scoprire quanto potevamo assomigliare al nostro amico, racchiuso in quel freezer a cielo aperto, si erano avvicinati alle vetture dei venditori ambulanti.
Tenevano a tracolla una valigia aperta, colma degli oggetti più disparati.
Con la velocità di un prestigiatore quello più brutto ( che mi si era appiccicato alle costole ) aveva cominciato a illustrarmi i vantaggi nel possedere una bara – sveglia.
Avvicinando quel suo viso butterato (che avrebbe potuto benissimo essere inserito in qualche libro sui campi di concentramento o di allunaggio spaziale ) al mio, candido e rasato di fresco, mi aveva piazzato sotto il naso una bara, della grandezza di un rasoio.
“Ecco, vedi. Ecco, vedi. Ecco, vedi” continuava a ripetere, dato che lo ignoravo, girando la testa dall’altra parte in disperato S.O.S. agli amici che, di conseguenza, mi ignoravano a loro volta.
Quando finalmente mi ero arreso e gli avevo dedicato un attimo di attenzione, lui, per la felicità, si era schiacciato tre brufoli, colmi di pus.
“Questa è una bara” aveva detto, scuotendo la testa soddisfatto.
“Questo lo vedo da me”.
Mi domandavo il motivo per cui uno avrebbe dovuto acquistare una bara proprio davanti alla camera mortuaria di un ospedale.
Sopra di noi le fronde degli alberi danzavano lentamente, cullate dal vento dolce di metà estate.
C’era afa un po’ dappertutto e le mosche si raggruppavano in sciami addosso alle zanzariere. Osservando, coi loro occhi infiniti, l’agonia dei pazienti dentro le stanze.
Il superbutterato aveva fatto scivolare l’indice sulla pancia della bara, poi, prima di schiacciare qualunque cosa si trovasse lì sotto, aveva annunciato che, in realtà, questa non era una semplice bara.
“E’ una sveglia”. Quando aveva svelato il segreto, oltre ad illuminarsi il volto con uno dei sorrisi più carismatici che avessi mai invidiato, mi aveva dato l’impressione che ci credesse sul serio a quel lavoro. Che, veramente, vendere bare - sveglia davanti a camere mortuarie fosse l’occupazione del futuro.
“Perché dovrei essere allettato dall’idea di possedere una bara - sveglia?” gli avevo chiesto, occhieggiandolo di sottecchi, per ritrovare, fra le pieghe ammantate della sua acne, quello splendido sorriso.
“Non si sa mai quale sia il nostro ultimo giorno. Nel frattempo, possiamo portarci avanti”.
Mi ero frugato in tasca e gli avevo piazzato nel palmo aperto della mano dieci euro.
Lui aveva scosso la testa. Si era rovistato a sua volta in tasca e ne aveva estratto monete fino a nove euro.
“Questa bara - sveglia costa un solo euro. Pile comprese”.

Avevo resistito agli altri gadget che mi erano stati offerti. Il favoloso calendario della decomposizione, ad esempio. Ogni giorno che passava il calendario si andava sempre più disfacendo. Sbrindellava il tempo, così come gli anni che passavano sulle nostre rughe.

Durante il viaggio per arrivare all’ospedale, i finestrini dell’auto abbassati per permettere allo smog di inquinarci i polmoni, ci eravamo chiesti come fosse morto il nostro amico.
Il fatto è che la notizia era giunta così improvvisa e tutti stavamo facendo altre cose, così nessuno si era veramente preoccupato di informarsi su quale fosse stato il motivo del suo decesso.

Io avevo proposto una lunga malattia, ma sapevo che non poteva essere, dato che fino a due giorni prima ci scopavamo la stessa donna ( utilizzando lo stesso profilattico ).
Altre proposte: impiccagione ( subito scartata, al nostro amico non piacevano nemmeno le cravatte, per cui… ).
Annegamento ( neanche da dire, non sapeva nuotare ed aveva la fobia dell’acqua. Non in maniera esagerata, ma quel tanto da impedirgli di non puzzare ai primi appuntamenti, di fritto e cipolla semolata ).
Suicidio ( vabbè, troppo facile ipotizzare ciò. Chi nella vita non ha provato a suicidarsi almeno una volta? Conosco certe università che richiedono l’obbligo di almeno un tentato suicidio per accedere al test d’iscrizione. Se poi il suicidio è andato a buon termine, hai un posto privilegiato in prima fila, ad ogni lezione di ogni corso ).
Incidente automobilistico ( impossibile, gli avevano ritirato la patente un anno prima, stupefatti che un ragazzo della sua età non avesse ancora perso punti né preso multe e il suo libretto di circolazione ora girava per le accademie di mezzo mondo, come oggetto di consultazione e d’osservazione scientifica ).

Alla fine ci eravamo arresi e avevamo passato il tempo a mostrare il deretano alle signore altolocate che, purtroppo, mostravano di gradire la visione dei nostri culi.

Quando ormai eravamo alle porte dell’ospedale, ero saltato su, dicendo.
“Cazzo”.
Tutti gli altri si erano voltati e avevano gorgogliato. “Figa”.
“Ci siamo dimenticati i fiori per la famiglia”.

Appena parcheggiata l’auto, ci eravamo guardati attorno, alla ricerca almeno di un mazzolino di margherite, ma eravamo in città, dove è assolutamente proibito far crescere altro che non siano casermoni e tumori maligni.
Mi ero guardato nelle tasche, trovando un pacchetto di preservativi usato poco ( e male ).
Avevo posato la scatoletta sul cofano dell’auto. “Ho solo questo”, mi ero giustificato, alzando le spalle.
“E io un accendino” aveva replicato uno degli altri.
“E io la mia pagella delle elementari”.
“E io un aerosol ancora da usare”.
“E io una granata inesplosa”.
“E io le mie pillole per scopare senza goldoni, ma che mia madre pensa servano per le mestruazioni regolari. È da quando ho tre anni che le ho regolarissime. Spaccano il secondo”.

Presi uno ad uno, come regali potevano non fare una figura così irresistibile, ma messi assieme e uniti in un abbraccio da un fiocchetto multicolore avevano il loro perché.

Appena dentro l’edificio che ospitava le camere mortuarie, ci eravamo diretti verso il distributore di bevande. Aspettavamo che arrivassero i parenti del nostro amico e, quando essi fecero la loro comparsa, ci gettammo ai loro piedi, piangendo e battendo i pugni sul pavimento macchiato di orzate e cappuccini rinsecchiti.

Dentro la camera mortuaria c’era più gente che in metropolitana il lunedì mattina. Uno che non conoscevo si era dovuto assestare sotto la plancia della bara e da laggiù ci lanciava sorrisetti e baci bisessuali.

Quando era entrato il prete, per l’ultimo saluto al nostro amico, era calato il silenzio.
Il prete aveva cominciato a leggere da un libro tutte le formule di rito e, quando si accorgeva che stavamo scivolando nell’oblio totale da intossicazione da preghiera, ci scuoteva alzando la voce quel tanto che bastava per incupirci e ci ricordava che presto o tardi anche noi saremmo finiti come il nostro amico. Che la ruota della vita girava e, per qualcuno, risultava pure difettosa, quindi aumentava di velocità. Quando diceva queste massime, mi osservava e sogghignava.

“Potete dare l’ultimo saluto terreno al vostro amico” aveva concluso il prete, chiudendo il libro, sulla cui copertina capeggiava un’avvenente modella di penthouse.
Ci mettemmo in fila indiana, come formichine leziose e andammo a guardare il defunto per l’ultima volta.
Quando fu il mio turno mi chinai, mi tirai fuori dalla tasca la bara - sveglia e gli sussurrai. “Questo è un mio regalo, vecchio mio. Dovessi avere la sfortuna di resuscitare hai i nostri cellulari. Fatti vivo”.
Lo baciai sulla fronte e mi venne da piangere.
Incredibile. Fuori c’era il sole e io piangevo in questa stanza climatizzata e piena di confort perfettamente inutili.

Mentre uscivo dalla camera mortuaria, di sfuggita vidi uno gnomo che abbandonava il feretro e ballava il tip tap sul legno nero della bara.
“Lo vedete anche voi?” avevo chiesto ai miei amici e a Jenny che si era ripresa e si era unita al gruppo.
Tutti annuirono e, quando lo gnomo finì lo spettacolino e si inchinò, si alzò un applauso frenetico che fece voltare chiunque fosse nel raggio di cento metri da noi, morti compresi.

Lo gnomo lanciò in aria cappello e bastone e scomparve nell’aria rafferma.
Aveva lo stesso identico sorriso del nostro amico e capimmo che lui si era congedato dalla vita divertendosi parecchio.






( 31 - 7 - 2008 )
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rubinia
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MessaggioTitolo: Re: ( Il profumo che danza nell’aria )   ( Il profumo che danza nell’aria ) Icon_minitime7/3/2009, 15:55

E' un delirio divertente da morire!
(con la fregatura: smesso di ridere ti metti a pensare....)
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Monica Porta
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MessaggioTitolo: Re: ( Il profumo che danza nell’aria )   ( Il profumo che danza nell’aria ) Icon_minitime7/3/2009, 17:28

Un racconto crepuscolare infarcito di risate. Notevole.
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Daniela Micheli
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Daniela Micheli


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MessaggioTitolo: Re: ( Il profumo che danza nell’aria )   ( Il profumo che danza nell’aria ) Icon_minitime9/3/2009, 22:19

Non ti avevo mai letto così ironico, stai sempre a urlare o a essere criptico, te...

Non so quanto hai letto delle mie modeste pagine, ma mi piace questo sarcasmo, ancor di più se esposto con una prosa come questa, che spesso cerco di mettere nelle mie parole.

E bravo il nostro Certificato di tutto meno che di Analfabetismo...
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MessaggioTitolo: Re: ( Il profumo che danza nell’aria )   ( Il profumo che danza nell’aria ) Icon_minitime

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