Lettere e numeri.
Cabalistica di giochi arcaici e moderni che puntualmente tornano ad adornare in carezza raccolta a pugno.
Numeri che significano.
Lettere che ritornano.
Mille. Quattrocento. Sessanta. Giorni. Fa.
Balaustra di marmo bianco, che non assorbe calore da raggio diretto, barocco lo stile a vista distratta, romanico tedesco a osservazione attenta.
Affacciarsi, sbirciare, volere scavalcare per accedere a cortile che a occhio distratto appare come canto di sirena per ape desiderosa di suggere.
Salto.
Tempo, dammi tempo, per osservare bene ogni erba.
Spazio, lasciami spazio per cingermi testa di ghirlande intrecciate ad aghi di pino, per un bagno silvestre che purifichi.
Regalami attimo a comprendere se il tuo tempo è fatto del mio tempo, se sono fratelli di sangue e lacrime e sperma e umore i tuoi istanti a scandire transito in mio attimo arcano.
Scordami la data domani, ché non faccia più male come ieri.
Cambia lettera che ti fu assegnata in fato, gettala nel fiume Lete o seppelliscila sotto radici dell’albero di gelso, falla cadere dal monte Olimpo durante il baccanale per la festa di nozze di Armonia.
Chiedi a Efesto fuoco a forgiarti nuovi contorni a metallo di ghiaccio bollente.
Settecento. Trentatré. Minuti. Fa.
Do ut des, questo, solamente questo.
Aitnàios il combattente è stanco, ferito, deluso, triste.
Vorrebbe consegnare armi e arrendersi ma non lo farà.
Lui è così per dignitosa stirpe e nella potrà piegare spezzare, uccidere, smorzare, abbassare fierezza che storia antica gli impose.
Membra doloranti, muscoli contratti, palpebre pesanti illuminate da perla di sale nata da cuore commosso.
Do ut des.
A chi cerca parola consolatoria, a bocca aperta, in cerca di carezza verbale.
A menti aperte anelanti certezze che non si possono donare perché si è certi solo dell’istante che cesserà di transitare e divenire punto.
Dimenticando il sé che vorrebbe essere dall’altra parte della barricata, a ricevere scordando il dare.
Bacco ha vendemmiato grappoli di parole per lui, vino scuro come la passione che confina identica lettera.
Atena ha parlato al padre, ha tagliato mazzo di Tarocchi, ne è uscito l’eremita.
Stesso numero. Stessa lettera nel Trionfo.
Il libro della Cabala non spiega coincidenza, allarga pagine come braccia e si abbandona, arreso e indifeso, alle penne forgiate da Efesto nelle grotte dei Ciclopi.
Le stelle, in alto, vegliano cuscini bagnati dalle fontane ad abbeverare.