Yamamuro
Entriamo controvoglia nell'aria condizionata dello Starbucks, proprio accanto all'ingresso principale della stazione di Ueno. Il contrasto tra l'aria umida e pesante dell'esterno, e quella leggera e frizzante dell'interno ci fa' quasi svegliare del tutto. Entrambe saremmo restati volentieri a galleggiare nell'umidita' delle lenzuola, e quel pensiero sono sicuro si e' acceso allo stesso tempo nelle nostre menti appena la porta scorrevole ha cigolato e si e' aperta. Nessun rumore, eccetto il bisbigliare monotono dei ragazzi e delle ragazze dietro il bancone del caffe. Pochi avventori, nonostante non sia prestissimo questo sabato mattina, e quasi tutti occupano tavoli singoli. Evidentemente non siamo i soli ad avere maledetto la sveglia. Sembriamo tutti come ipnotizzati dal fumo che si solleva dalle tazze di caffe', o dalla brina che copre i bicchieri di frappe' e di caffe freddo. Le sedie e i tavoli sono stretti, si fa' fatica ad entrarci, non c'e' posto per le borze e gli zaini, che quindi giacciono sul pavimento a destra o a sinistra di ogni avventore. Anche Yamamuro ha accanto uno zaino, di tela verde, sembrerebbe militare. Contiene, come quelli di tutti gli altri, la storia precedente e quelle futura della sua giornata.
Una telefonata nella notte mi aveva scosso da un sonno leggero e agitato. Prima di addormentarmi avevo aperto la tenda, e visto un cartello appiccicato al vetro della finestra: "Security Exit" recitava, sia in inglese che a caratteri giapponesi. Avevo aperto la finestra, e scoperto che dava su una scala verticale, stretta e viscida, che si perdeva nel vuoto e nel buio sottostante. Eravamo al settimo piano, e avevo calcolato ci sarebbe voluto parecchio tempo e parecchia fortuna per scendere da li sani e salvi in caso di pericolo, chesso' un incendio o un terremoto. Avevo lasciato aperta la finestra, e messo vicino al letto il portafoglio. In caso di fuga, avevo pensato, dovevo essere rapido a prendere almeno l'indispensabile prima di gettarmi lungo la scala di ferro.
Cerco il telefono che gracchia con una mano, uso sempre il vibratore, mentre con l'altra cerco gli occhiali. Apro il cellulare, che si illumina a festa. La luce mi ferisce gli occhi, numero privato. Non si sente niente dall'altra parte della linea. Non una parola, neanche un sospiro. Neanche io dico niente, ma controllo se la connessione e' ancora attiva. Chiudo gli occhi e mi concentro nel buio per carpire un rumore, un qualsiasi rumore. Ma niente. Posso inturire che e' successo qualcosa prima. Qualcosa che ha provocato la telefonata, qualcosa di grave che ha scosso una coscenza. Allora c'e' una coscenza. Svegliarsi di botto di notte per un rumore, o per un pericolo imminente. Una esplosione di grande lucidita' che contrasta con l'assenza di coscenza del sonno. Chiudo il cellulare. Gia' che ci sono controllo che ora e' e se la sveglia che avevo settato e' ancora attiva. Sono le 9 di sera in Europa, le 4 di notte qui a Tokyo. La sveglia e' settata per mezzanotte, mentre sull'orologio e settata per le sette. Fluttuo tra due ore differenti, due mondi differenti, senza un vero punto di riferimento.
La poliziotta che mi sta interrogando parla poco inglese, e io parlo poco giapponese. Cerchiamo concitatamente di esprimerci utilizzando pochi vocaboli delle due lingue. E gesti. Peccato che i gesti non aiutino neanche molto, perche' il significato che lei gli attribuisce deve essere differente da quello che io vorrei comunicare. Sembra gentile e cortese, e si stupisce con grandi ooooohhhh di ammirazione ogni volta che ripeto che lavoro faccio e perche' sono a in Giappone questa settimana. Pero' mi ripete costantemente le stesse domande da due ore, senza accennare a volermi lasciare andare. Siamo in piedi, davanti al bancone all'ingresso del Ryokan Yamamuro, proprio di fianco alla rastrelliera dove si scambiano le scarpe con le pantofole. La poliziotta prende appunti in maniera disordinata con una matita su un foglio di carta. Che non sta dritto e che dopo un po' e' ricoperto di segni in tutte le direzioni. Noto un cerotto bianco che sporge della camicia abbottonata sul polso. Sembrerebbe una eccitante chiacchierata tra due persone che si sono conosciute e magari anche piaciute proprio quella domenica mattina, se non fosse per per due buste di plastica nera e la cassa di zinco disposte con un certo ordine li in fondo al corridoio e che aspettano di essere portate all'ospedale legale.
Yamamuro sta pensando che il suo caffe' e' troppo caldo. Lo fanno sempre cosi' danantamente caldo che e' impossibile berlo subito. E lo si deve fare raffreddare. Ma nel processo, il fumo si porta via anche l'aroma oltre al calore. E quello che rimane e' solo acqua scura e calda. Un'altra delle cose da aggiustare di questo mondo. Durante la notte Yamamuro aveva lavorato alla sua personale lista di cose da aggiustare. I turisti che chiedono una colazione giapponese e poi spiluccano solamente da una ciotola e da un piattino, lasciano le uova crude intatte, e soprattutto lasciano la pasta di miso coi funghi a bruciare sopra i fornelletti, dopo il primo timido assaggio, fino a quando il fumo riempie tutta la sala da pranzo. La signora Yamamuro, che invece di intervenire risoluta lascia fare, spegne con uno strofinaccio lo stoppino dello scaldavivande e prepara piattini piu' confortanti con prosciutto cotto e pomodori. I clienti che si lavano col sapone nella vasca per il bagno caldo, e neanche sciacquano via le tracce di schiuma. Quelli che arrivano tardi senza una giustificazione e quelli che arrivano tardi cercando mille giustificazioni. Era andato avanti per ore mentre passeggiava sotto una pioggia sottile ma costante per le strade di Tokyo. Le luci dei palazzi e delle strade si rifrettevano sull'asfalto bagnato e viscido, un caleidoscopio di colori su una base nera che lo aveva accompagnato tutta la notte. Aveva perso l'ultimo treno per Matsumoto e aveva preferito vagare per le strade illuminate lavorando mentalmente alla sua lista piuttosto che rimanere in stazione. L'appuntamento con Terashima-san si era protratto piu' del previsto. Gli aveva chiesto di riaffilare il rasoio che aveva ordinato ancora e poi ancora, finche' aveva potuto recidere i pochi peli che aveva sul dorso della mano al solo contatto della lama fredda, senza fare la minima impercettibile pressione. Il rasoio di acciaio nero lo custodiva in una scatola di legno e cuio nello zaino di tela verde. E meditava su come usarlo per aggiustare almeno qualcuna delle cose storte del suo mondo.
E nella stessa maniera con cui Terashima-san aveva affilato, ancora e poi ancora, il rasoio, la poliziotta continuava il suo impertinente interrogatorio. Ad una prima impressione le domande che faceva potevano sembrare identiche a se stesse, sempre le stesse. Ma se ci ragionavo un poco sopra, e dopo tre ore li in piedi non potevo non ragionarci, cominciavo a vederci delle differenze. "A che ora siete arrivati ieri sera a Matsumoto?" Sarebbe potuto sembrare identico a "A che ora siete arrivati qui ieri sera?" Ma non era cosi'. La poliziotta voleva capire se per caso avevamo indugiato da qualche parte, oppure se eravamo venuti al ryokan direttamente. In maniera indiretta mi stava chiedendo se ci eravamo fermati per cena da qualche parte, se magari avevamo bevuto, bevuto piu' del dovuto? Cosi' come: A che ora vi siete svegliati questa mattina? oppure, "a che ora ha detto di aver ricevuto quella telefonata cha la ha svegliato?" Aveva svegliato solo me o anche Silvia? Dove era Silvia in questo momento?. Questa e' la domanda che mi pulsa in testa. Ed e' quello che la poliziotta mi chiede da tre ore e che io chiedo da tre ore alla poliziotta, ottenendo in cambio nessuna risposta ma solo domande sembre diverse anche se uguali a se stesse. Non riesco a mettere a fuoco quello che e' successo questa notte. Confondo la telefonata ricevuta ieri notte con una ricevuta stanotte? Ma c'e' stata una telefonata stanotte? Non ne sono sicuro. Ma ho detto a Naoko-san, si chiama cosi' la poliziotta, che mi sono svegliato per una telefonata. Ma che ore erano? A che ora avevo messo la sveglia? Ieri ci dovevamo svegliare presto perche' avevamo un treno da prendere, ma oggi? La giornata doveva essere dedicata a una gita in montagna, volevamo alzarci presto per questo?
Quello che mi ricordo e' fissato dai pixel della mia macchina fotografica. Tentacoli gigantenteschi di polpo colorati di rosso profondo. Esposti in buste trasparente dentro scatole di polistirolo bianche. Il contrasto e' abbagliante. Non sono sicuro che la CCD della mia camera sia riuscita a fare giustizia della profondita' dei colori e dei contrasti. Forse solo il rosso del sangue appena sgorgato puo' avvicinarsi al rosso con cui per qualche motivo hanno colorato questi tentacoli. Ma poi il sangue si fa' rapidamente bruno coagulando. Non resiste cosi' brillante e rosso piu' di qualche secondo, cosi' che si debba sempre riaprire la ferita, per quanto questo possa essere doloroso, se si vuole mantenere la tonalita' giusta nel tempo.
Naoko-san e' stanca di tutta questa pantomima. E' domenica mattina, e ieri ha fatto tardi, davvero molto tardi in giro per party. Si ricoda due, tre quattro locali. Poi un tatami con un futon bianco. E la telefonata secca ricevuta, dovevano essere le 9. "Corri subito al Ryokan Yamamuro, ci hanno chiamato due turisti, entrando nella sala della colazione hanno visto sangue e corpi, sembra .. tagliati. Sono scappati subito, vedi cosa e' successo e cerca anche di ritrovarli, i turisti". Naoko-san si era vestita, senza neanche farsi la doccia. Aveva solo immerso la faccia in un vaso di acqua fredda per cercare di svegliarsi e per togliersi di dosso i residui di lucidalabra rosso. Una serie di piccoli tagli sul polso gli aveva riportato alla mente qualcuno degli eccessi della serata, o era la nottata? Li aveva coperti con un cerotto bianco largo ed era uscita. L'indirizzo che aveva ricevuto sul cellulare era vicino al suo appartamento. Ci era andata a piedi. Effettivamente la scena che si era trovata davanti aveva rischiato di farle vomitare altri eccessi della serata, o erano della nottata? Un braccio reciso di netto e un'altro che sembrava, ecco, come scarnificato, erano appoggiate di traverso su un tavolo, mentre pezzi di carne piu' piccoli, di cui non riusciva a capire la provenienza, erano buttati qua' e la' sui tatami. Il colore del sangue era gia' bruno, quindi doveva essere passato del tempo da quella impresa. Non c'erano pero', almeno a un primo sguardo veloce, corpi interi. Naoko-san aveva richiamato subito il superiore e subito dopo chiamato una ambulanza e il medico legale. Poi aveva cercato il passpartout dietro al bancone proprio all'ingresso, bussato a tutte le porte, aprendole con circospezione. E dietro a una di quelle porte mi aveva trovato, vestito di tutto punto a sedere sul mio futon, con lo sguardo perso verso la parete. Accanto un altro futon aperto, bianchissimo ed evidentemente usato, ma non c'era nessun altro nella stanza. Silvia non c'era.