Prima di abbandonarmi a questa stanchezza invincibile e quasi dolorosa.
Prima del resto, e delle attese.
Con queste vie infinite e precise e affollate da macchine in fila indiana ai due lati, non si ha l’impressione d’un prima e un dopo. Di un lascito differente che non sia immagine.
Prima di qualunque spettacolo delirante che appare fuori da ogni treno in corsa, e della fine di questa estate così ammaccata e stravagante, si depositano, nel fondo, i ricordi e i rimpianti mai assopiti.
Come dei binari nel loro fine corsa, o meglio come una bottega di odori e colori.
"pronto"
"ciao… non sapevo se chiamarti, ti disturbo?"
"no, che dici, come stai?"
"bene, tu?"
"bene"
"sai, prima di chiamarti, ho guardato a lungo il tuo nome scritto di nero sul display, e ho pensato che t’ho chiamata poche volte per nome, Sara"
"che strano che sei…"
"che bello risentirti, Sara"
Poi le parole, nella mia memoria, si dissolvono. Ricordo il rumore piacevole del suo sorriso, le mie dita un po’ sudate.
Quando la nostra conversazione finì, e sentii un suono sordo dall’altro capo della cornetta, ricordo di aver cercato qualcosa fuori dalla finestra, con lo sguardo. Qualcosa d’indefinito e irraggiungibile. Forse la felicità della mia infanzia.
Forse il coraggio che non ho mai avuto.
Intanto i giorni scorrevano, e la mia pelle alitava giorni sprecati e solitudine.
Quella telefonata me la ricordo a metà: ha il sapore limpido per tutta la durata dello stupore, poi si dissolve.
Perde consistenza.
Si sovrappongono le immagini, e le bottiglie di birra che tenevamo per la canna col timore che diventassero calde prima di ritrovarci sul lungomare di Giovinazzo. A parlare su quello scoglio piatto. A dire e ridere, e sorridere.
Certo senza Sara. E con il Moleskine che parlava un po’ troppo di lei.
E ora questa stanchezza fisica che impasta la retina, e imprime immagini vecchie e nuove, e da lontano un buon odore di pane alle olive, e il suono di una fisarmonica.
Certo senza Sara che poi non ho più rivisto ma sentito. Certo, la sua voce.
E questa città che ora è spettrale, e piove e ho da poco lasciato il Galleria. Che bel film.
E le immagini di un inverno da poco passato, e di un’estate con l’acqua alla gola.
Ripenso a quando ho capito che le cose finiscono, e a come può sentirsi in imbarazzo un paio di scarpe nuove.
Certo, la sua voce.
Certo.