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 Ugo Fantozzi? No, Daniela Micheli

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Daniela Micheli
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MessaggioTitolo: Ugo Fantozzi? No, Daniela Micheli   Ugo Fantozzi? No, Daniela Micheli Icon_minitime11/9/2009, 22:24

Ci sono delle situazioni che pagheresti per viverle, almeno una volta nella tua vita.
Sono quei momenti che già sai racconterai ai nipoti, un domani che sarai incanutita del tutto.
Non davanti ad un camino, perché a casa mia non c’è e dubito che ci sarà, ma in una di quelle serate confidenze che resteranno per sempre nella memoria degli eredi.
Dei tuoi.
Che ho la sfiga di lavorare al recupero crediti nella mia azienda, è noto.
Oddio, non solo quella, ma tutte identicamente poco gratificanti.

Forse il dialogo coi clienti è la parte che preferisco, perché è così che, tra un incazzo e un altro, tra una carota e un bastone, ho il vero senso di come sta l’economia in Italia, alla faccia delle cazzate che ci propinano ogni giorno.
Un rinascimento che mi è stato riconosciuto benché non richiesto è la nomina ufficiale a memoria storica dell’azienda.
D’altra parte, sono la matricola n.1 non per scelta ma solamente per caso.
Se volessi usare le parole dell’amato Francesco, la colonna sonora del momento sarebbe ma se io avessi previsto tutto questo, andando indietro al primo giugno del 1983 che è la data che appare nel già menzionato libro matricole a destra del mio nome, in alto, sopra tutti gli altri.
Essere la memoria storica e seguire i pagamenti, fa sì che spesso venga chiamata a testimoniare o dalla Guardia di Finanza o dai Carabinieri, dipende da che tipo di indagine si sta compiendo.
Ora, non vorrei rimarcare ancora una volta lo stereotipo dell’uomo fedele nei secoli un po’ stranito, che fatica a digitare correttamente in italiano una deposizione: tutto sommato, voglio bene all’arma.
Non vorrei davvero ritornare all’estate del 2001 quando fui chiamata a dare spiegazioni su una cambiale di cinquecento mila lire che era tornata protestata alcuni mesi addietro: spiegare al maresciallo tutta la cosa, fargli capire innanzi tutto come circolano le cambiali in Italia, chi è un cliente, chi è un agente e chi è il beneficiario e perché succede spesso che tali titoli non vengano pagati, mi portò via qualche cosa come un paio d’ore.
Lui, il maresciallo, non osando confessare che dopo le mie dotte ed estenuanti spiegazioni non ci aveva capito un casta mazzo, soprattutto quando gli spiegavo che io ero semplicemente un’impiegata e che rendevo la testimonianza solo perché il mio capo non poteva essere fisicamente presente, per non fare torto a nessuno ma proprio a nessuno, indicò sul verbale, come “persona informata dei fatti”, la sottoscritta: Micheli Daniela.
Archiviata la faccenda, messa nel dimenticatoio e amen.
Ora, non so se a voi vengono i brividi quando il postino vi consegna una di quelle belle buste verde brillante che le Poste Italiane vogliono siano immediatamente identificate come portatrici di pessime notizie…
A me sì.
Ed il brivido è stato davvero intenso e lungo quando, a gennaio del 2008, me ne venne recapitata una il cui mittente era la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Salerno.
Fu con mano tremante che aprii e lessi, vedendomi già in manette per qualche reato commesso involontariamente durante i miei soggiorni in riviera salernitana o al Giffoni Film Festival col ragazzo figlio mio, che erano state mete per anni e anni.
Fu nel leggere la notifica che mentre da una parte mi rincuoravo, non essendo imputata di alcunché, dall’altra mi sgomentavo, imparando che ero citata dal Pubblico Ministero come teste in un processo a carico di un nome che non avevo mai sentito pronunciare e di cui ero certa non averci mai avuto a che fare.
In pratica ero convocata per il 7 di febbraio dinanzi al Tribunale di Salerno sezione distaccata di Montecorvino Rovella.
Il mio agente di zona mi aiutò a capire che ci dovevo andare a fare dinanzi al Tribunale di Salerno sezione distaccata di Montecorvino Rovella, era convocato anche lui e logisticamente era tutto a posto: si trattava di una truffa per falsificazioni di firme che, guarda te il caso, era la stessa della maledettissima cambiale di cinquecento mila lire che avevo ricevuto in pagamento e per la quale avevo perso due ore del mio preziosissimo tempo a spiegare al maresciallo locale come e perché quella cambiale era nelle mie mani.
Avuto chiaro il quadro e capito di che si trattava, mi ero un poco rincuorata se non per un piccolo particolare: io, di andare a Salerno, non ne avevo affatto voglia e tenevo pure una sciatalgia che mi faceva penare ogni movimento, figuriamoci quali dolori avrebbe scatenato un viaggetto di otto ore sui nostri incredibilmente comodi Trenitalia.
D’accordo con l’avvocato della ditta, presentai il mio bel certificato medico e me la schivai.
Guarii dalla sciatalgia e archiviai, di nuovo, l’increscioso fatto, augurandomi che all’udienza del 7 febbraio si fosse tutto risolto.
Per l’accusatore, l’accusato e tutta la bella compagnia.
Ahimè, così non fu perché il mese dopo, in marzo, mi venne recapitata una nuova busta verde brillante con la notificazione di atti giudiziari: mi comunicava che l’udienza per discutere il caso catalogato come procedimento penale n.6XXX/2002 era rinviata al 6 novembre, e c’era pure minacciosamente barrata la casellina “con avviso di indispensabilità assoluta e diffida di accompagnamento coattivo”.
Da fare rabbrividire anche Ugo Fantozzi in persona, non solo la Micheli.
Avevo un po’ di tempo per organizzarmi e pregai praticamente tutti i miei famigliari, gli amici, i conoscenti, i parenti e pure mia madre (il ché dovrebbe dare un senso della disperazione) che mi accompagnassero.
Risposte?
Picche.
Da ogni fronte.
Decisa a non mostrarmi debole, considerando che non era la prima volta che andavo a Salerno, mi prenotai il mio bell’hotel, non lesinando sulle stelle che tanto non lo pagavo io, prenotai il mio bel biglietto Eurostar e il mattino precedente l’udienza partii.
Alle 17 varcavo la hall dell’hotel, mi fiondavo in camera, mi sparavo una doccia, facevo le telefonate di rito per rassicurare tutti che ero arrivata sana e salva, e mi mettevo dormire, ché di andarmene a cena da sola non ne avevo proprio voglia, e cenai con il cestino di frutta messo cortesemente a disposizione dell’albergo per dare il benvenuto agli ospiti.
Alle otto del mattino, puntualissimo, mi venne a prendere il mio agente e zampettando zampettando con la sua fiat blu che quasi mi pareva di rappresentanza, arrivammo nel baialemme del Tribunale di Salerno, sezione distaccata di Montecorvino Rovella.
Non ho nessun paragone per descrivere quello che era tale sezione distaccata, nemmeno l’autogrill di Roncobilaccio il primo week-end di agosto era così incasinato e pieno di gente come quegli stanzoni pieni di tutto e di più, avvocati e imputati e testimoni e curiosi e portaborse compresi.
In un angolino, assieme al mio agente, al mio cliente, e un carabiniere non bene identificato, aspettai che venisse discusso il caso n.6XXX/2002.
Quando un avvocato in causa, che mi sfugge ancora da che parte stava, prese la parola e spiegò che il signore che aveva accusato l’atro di truffa era nel frattempo morto, il pubblico ministero, senza curarsi di questa povera sfigata che si era fatta ottocento chilometri, metro più metro meno, chiese al giudice un rinvio per convocare gli eredi del morto, che secondo me, donna di mondo, manco sapevano di quell’eredità, per stabilire se volevano o meno portare avanti la causa o lasciarla invece estinguere di morte naturale anch’essa.
Il giudice concesse il rinvio ad aprile, considerandolo un tempo sostanzialmente congruo per contattare tutte le persone in causa.
Come farlo, spettava agli avvocati.
Poiché il pubblico ministero era un bel ragazzotto e per l’occasione anche la Micheli aveva cercato di essere al meglio di sé, delle serie in galera ma con le Chanel, lo avvicinai, gli spiegai la mia posizione nella faccenda e mi disse di passare dall’usciere, di lasciare il mio numero di cellulare e che non mi avrebbe convocato per aprile, nel caso mi avrebbe contattato.
Dio ti ringrazio, pensai.
E quando a gennaio il mio agente mi confermò che il mio nome non appariva più tra la lista dei convocati all’udienza di aprile, ringraziai mentalmente il pubblico ministero per essere stato di parola.
Credendo fosse finita.
Ah ah, ma non è così!
Signore, signore, l’otto di febbraio del 2010 devo presentarmi al Tribunale di Salerno, sezione distaccata di Montecorvino Rovella: qualcuno che si offre volontario per accompagnarmi?
A mammà non oso chiederlo: si metterebbe in agitazione e passerebbe i mesi futuri a dirmi cosa mi servirà in prigione, ché le mamme sono così, ti vogliono bene alla loro maniera e per loro aver a che fare con un’aula di giustizia è perché sei colpevole, non perché quel maledettissimo giorno un imbecille di un carabiniere, invece di scrivere sopra al mio nome “in rappresentanza di…” mise Micheli Daniela e basta.
Poteva metterci collega di Ugo Fantozzi.
O, se proprio voleva strafare, signora Pina.
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MessaggioTitolo: Re: Ugo Fantozzi? No, Daniela Micheli   Ugo Fantozzi? No, Daniela Micheli Icon_minitime21/9/2009, 22:54

Una normalissima giornata di ordinariamente folle burocrazia italiana, quella burocrazia che non si cura minimamente dei suoi utenti, dei treni e della loro salute!
Due sere fa, ore 23, tornado incipiente, al mio portone suona un carabiniere con tanto di volante con il lumino azzurro acceso.
Penso ai miei figli che sono al lavoro lontani, penso a quale disgrazia parteciperò tra due minuti, penso a come raccattare quei 100 chili di marito che appare più verde che mai tra un lampo ed un altro.
Il maresciallo ( già, proprio un maresciallo) mi porge una busta, una stramaledettissima busta con cui mi si comunicava che la domanda di pensione non era accolta! E non era nemmeno verde, ma di uno squallido color diarrea!
Mavaff..., ah Daniè, chiedi un poco a mamma tua se un baby doll si può portare in galera, perchè io mi sa che ti farò compagnia.
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