LA PRATICA - CLAUDIO ESPOSITO

La pratica da trattare quel giorno era particolarmente noiosa, e lo tediò anche durante l’interminabile pranzo di lavoro che fu costretto a sciropparsi, insieme a tutti quegli insopportabili ragionieri e impiegati dell’agenzia d’affari incaricata di concludere la transazione con la sua ditta.
Non si accorse neppure della presenza della segretaria; fu solo al momento della frutta che il suo sguardo si posò su di lei con espressione un po’ meno assente: vide che era molto carina, e notò in lei qualcosa di insolito che la rendeva attraente: evidentemente era andata dal parrucchiere, ma lui ebbe l’impressione che una strana atmosfera di fascino emanasse dalla ragazza.
Al momento della frutta, i due rimasero in silenzio per qualche minuto, attorniati dal chiacchiericcio degli altri commensali, poi la ragazza si alzò, s’aggiustò i capelli, e lo salutò, accodandosi al titolare dell’agenzia.
S’avviò verso la porta del ristorante e, prima di uscire, si volse indietro e gli sorrise, con un’espressione indefinibile nei begli occhi color nocciola.
A letto, tardò a prendere sonno, e restò a lungo ad ascoltare i lievi rumori della notte, pensando a quel sorriso, che gli parve quello di una Madonna, a quei gesti calmi e misurati nel ravviarsi i capelli, a quell’espressione dolcemente attenta. Questo lo confortò, e gli attenuò la tristezza della giornata inutile, uguale a quasi tutte quelle della sua scialba vita di impiegato dello studio commerciale Zanetti & C.  

I giorni seguenti ripensò spesso a quella donna e, con la scusa di controllare lo stato della pratica, chiese al suo capo il permesso di recarsi all’agenzia.
Arrivato al portone, citofonò ansioso, emozionato al pensiero di rivederla. Lei lo fece sedere accogliendolo molto cordialmente.
Si accomodò davanti alla ragazza, e per un po’ rimase ad osservarla mentre era intenta a scrivere alcune lettere.
Notò che aveva delle belle mani, con dita lunghe e sottili e le unghie smaltate di rosa, che ogni tanto si portava mollemente alla fronte per sistemarsi i capelli, biondi e vaporosi.
Uscendo poi, si soffermò a guardare la donna - che gli sembrò ancora più attraente di prima - la quale rispose al suo saluto con un ampio sorriso, che gli parve carico di sottintesi…
Quella ragazza è davvero invitante, pensò mentre varcava il portone del palazzo, voglio proprio tornarci all’agenzia, uno di questi giorni, pare che non aspetti altro…
E’ il primo aspetto piacevole di tutta questa pratica, e poi ha l’aria abbastanza sveglia…chissà, forse potrebbe anche darmi qualche consiglio di lavoro.

Dopo una settimana stressante in ufficio, decise di tornare da lei. Trovò il portone aperto, salì lentamente le scale, oppresso da un fastidioso vuoto di stomaco, ed entrò - anche la porta era aperta.
Il sorriso della ragazza fu pronto, smagliante, sembrava preparato da tempo, era magnifica: “Il capo non c’è, starà fuori per qualche giorno, sono sola…”.
- “Non preoccuparti, non ho niente di particolare da dire a lui, sai, passavo da queste parti”.
- “Naturalmente…” disse la ragazza accentuando ancora di più il suo sorriso. “Ma perché non ti siedi? Ti preparerò un bel caffè”.
- “Non disturbarti” la interruppe lui poco convinto mentre si sistemava per bene sulla poltrona.
- “Nessun disturbo, per carità, è un piacere, faccio in un attimo”, e mentre gli passava davanti lo sfiorò leggera con la mano e con un fianco, sebbene ci fosse molto spazio…
Fu di ritorno dopo pochi minuti con tazze e caffettiera fumante.
- “T’aiuto”, fece lui premuroso prendendo il vassoio…ma soprattutto toccando le dita di lei.
Il caffè fu ottimo, la conversazione che seguì piacevole, il vuoto allo stomaco passato.
- “Vienimi a trovare ancora, parleremo anche della tua pratica…”, si accomiatò la donna accarezzandogli le mani.
Il vuoto era tornato, ma più sopportabile.
Gli sembrava d’aver trovato un essere intelligente ed amico, un potenziale rifugio, una ragazza sveglia e molto carina per giunta, cosa non disprezzabile.
Con quella donna avrebbe potuto parlare, giocare, farci l’amore forse, trovarla sempre disponibile, uguale. Uguale a se stesso, ai suoi pensieri, contenta quando lui era contento, triste e preoccupata quando lui era abbattuto; avrebbe potuto guardarla negli occhi, così come gli veniva, senza dover prima pensare all’espressione da usare, sicuro che lei gli avrebbe sorriso allo stesso modo.

Qualche giorno dopo, tornò all’agenzia.
Non c’era nessuno, si udiva soltanto un ticchettio sommesso proveniente da una stanza in fondo al corridoio: era lei, tutta intenta a scrivere una relazione sul PC.
- “Sei tu, non ti avevo sentito entrare, sapevo che prima o poi saresti tornato. E’ per questo che ho lasciato la porta aperta”.
La ragazza lo osservava sorridente, era sempre lo stesso sorriso, però leggermente velato da una sottile inquietudine, e scosso da un piccolo fremito.
Era comunque bellissima. - “Vieni”, gli disse spingendolo per un braccio, “andiamo di là, staremo più comodi”. Lo condusse in un’altra stanza, più piccola - doveva essere un vestibolo - il cui unico arredamento era costituito da un armadio, una sedia di plastica e una brandina di ferro, di quelle pieghevoli.
Si guardarono a lungo, accovacciati sul lettino, gli occhi corrucciati in una muta domanda, persi nel vuoto di quella piccola, enorme cameretta. Le carezze della donna, desolate effusioni, gli passavano metodiche sul volto, alternandosi con baci e abbracci altrettanto ritmici e meccanici, ai quali lui si prestava inerte, e rispondeva come spinto da un movimento indotto.
    -    “Forse non è il caso”, interruppe lui bloccando infine quella scena malinconica e mettendosi a sedere.      Già, non era il caso: la salvezza è un porto sicuro, non uno scoglio precario in mezzo al mare; come poteva sentirsi al sicuro in quel bugigattolo tanto piccolo per quanto opprimente, con una donna della quale non sapeva niente, neanche il nome.
Glielo chiese.
- “Mi chiamo Elisa”, rispose, “scusami per prima, non so che cosa avevo, mi sentivo inquieta, legata, eppure…avrei tanto voluto che…insomma, hai capito”.
     
Quindici giorni più tardi, decise di tornare da Elisa. Seduto nel tram, provò a immaginarsela: la vide ancora più bella di come fosse nella realtà, il viso acceso e vibrante di voglia, la camicetta aperta sul seno sodo ed eretto, le gambe nude accavallate mollemente, le mani protese alla ricerca del suo corpo, le unghie lunghissime pronte a solleticarlo nei punti giusti e ad abbagliarlo con la sua lacca rosso fuoco…
La trovò, non proprio uguale alle sue fantasticherie consolatorie, ma la trovò: il viso era ben truccato, quantunque scarsamente fremente di passione, la camicia, seppure non aperta, era abbondantemente scollata, la gonna non troppo lunga, le unghie diligentemente curate, anche se non laccate. Gli bastava.
Ancora prima di salutarla le fu subito addosso, la baciò con foga toccandola da tutte le parti, quasi temendo che altrimenti avrebbe potuto sfuggirgli, sollecitandola con brutale frenesia.
Lei rispondeva abbastanza adeguatamente, magari non con la stessa intensa partecipazione, tuttavia cominciava ad esprimere un certo calore, e si vedeva che stava facendo del suo meglio per assecondarlo.
L’amore lo fecero, più con rabbia che con dolcezza (specialmente da parte di lui) per terra, aggrovigliati su un tappeto in mezzo a gambe di sedie e fogli e trucioli di lapis.
La cosa non fu eccessivamente piacevole, anzi: il momento culminante fu addirittura doloroso come del resto l’abbraccio di Elisa, inopinatamente forte, e le sue unghie, troppo insistenti nel graffiargli il collo, ma tant’è, aveva potuto sfogarsi e si sentiva meglio.
Tutta la tensione accumulata, le trepidazioni i nervosismi le disillusioni s’erano allentati, sgonfiati di colpo in quella copula frettolosa ma efficace alla bisogna, e un tenue residuo di ansia andava ora stemperandosi pure lui nel fumo dolciastro e leggero di una delle sigarette di Elisa, che lui aspirava pigramente sdraiato sul finto persiano dalla orrenda trama rosa e bordeaux.
La ragazza, stesa accanto a lui, pareva anch’essa paga e rilassata ed era intenta a succhiare con gusto un cioccolatino, dopo averlo scartato con piccole mosse rapide e concise della mano, che rivelavano la consuetudine di quel passatempo.
- “Sai, sono un po’ golosa”, ammise ridendo, “e poi, dopo mi viene sempre fame…”