Due secchiate di nubi sulla notte,
stinte da ricordi smacchiati
dall’ozio del tempo,
gocciolano baglior lunare.
Toso le pecore del mio sonno
per cucire la diga dei miei occhi
o buca depressa dov’indugi il pianto.
La mia carne è stucco per mille case,
sono diluito nel dolore sporco.
Un pennino ancora mi sputa
quel nero sangue in faccia.
Spinacio di quarzo rubato
nel sorriso, tra i denti,
tappa l’alito sofferente
con tre sillabe e un errore:
Fù vero.