Caro Gesù - Lettera da un altro mondo

Caro Gesù,
(non sarà troppo confidenziale, quel caro?). Meglio, forse, iniziare con un bel Distinto Signor Gesù…no, distinto è orribile, freddo, da lettera commerciale…benché, in effetti, Lui si sia distinto per tutta la sua vita (e anche per la sua morte, se è per questo): voglio dire, non è che nascere in una mangiatoia con una cometa come lampadina sia il massimo per passare inosservati. Soprattutto se dei banditori volanti vanno in giro con le trombe spiegate a dare l’annuncio a destra e a manca. Non possiamo certo parlare di low profile, eh no. Poi ci si meraviglia che le cose vanno come vanno e vivere diventi faccenda complicata. Tutto questo, ammesso che Lui sia davvero vissuto. Certo che se inizio ad impegolarmi in sterili disquisizioni religiose, non la scrivo più questa lettera.
Forse andrebbe bene Gentile Gesù…che però è anche abbastanza cacofonico. E non so fino a che punto i mercanti del Tempio lo avrebbero definito così. Senza contare che si rischia quanto meno la gaffe diplomatica, visto che i gentili erano i Romani. E anche loro la gentilezza…va bene, ora basta. Non è che non abbia il mio bel da fare, tanto da star seduta qui a cincischiare con le parole, caro il mio…insomma Signor...distinto Signore…ecchediam…chiedo venia, mi è scappato. E’ che ho davvero tantissime cose da sbrigare, una caterva di pacchetti da incartare, che ogni anno dico “non ne farò a nessuno” e poi mi ritrovo a comprare e comprare senza neanche accorgermene, in una sorta di corsa all’azzeramento cerebrale e monetario.
E sono molto amareggiata, in questa vigilia. Perché stamattina -sì, lo so, oggi è domenica, ma insomma, nonostante il dies dominicus, buona parte del mondo continua a girare, sai- dicevo, stamattina sono andata al supermercato. E davanti al supermercato c’è sempre Djamal, un omino che viene dalle Filippine, dallo Sri Lanka o dal paese di Vattelappesca, d’altronde neanche sono sicura si scriva così, il suo nome. Non sono nemmeno sicura si chiami così, in realtà. Perché questi stranieri che vengono a lavorare qui, e lavorano come negri anche quando negri non sono (e lo so che non si dice “negro”, ma insomma, non posso passare la vita a controllare che ogni parola che mi esce dalla bocca non offenda qualcuno), insomma, questi stranieri quando arrivano qui cambiano il nome, e sempre più spesso mi capita di trovare giardinieri moldavi che dicono di chiamarsi Mario e badanti nere come la pece che si chiamano Rosa. Comunque meglio così, chi se li ricorderebbe quei nomi tutti consonanti…insomma, Coso, l’omino sta lì, sempre –e sì che oggi faceva freddo davvero, c’era ghiaccio dappertutto- per aiutare a portare le buste della spesa fino alle macchine parcheggiate. Non mette neanche i guanti, non so come faccia…io ho freddo persino col Moncler…brrr. Lui mi prende i sacchetti (dio…cioè…accipicchia, quanta roba ho comprato, alla fine, per una cena, ma volevo assolutamente servire un astice stasera) e li sistema nel portabagagli. Stavo per dirgli di fare attenzione alle bottiglie, ma ho lasciato perdere, che ne potrà capire di champagne, quello, quando mi guarda tutto speranzoso dal basso verso l’alto (sono sempre bruttini e bassi, questi filippini, poi io avevo gli stivali con tacco dodici, figurarsi) e mi augura Buon Natale. Cioè, traducendo, quegli occhi da pesce lesso volevano significare che si aspettava un pourboire, come dire una mancia natalizia. Gli ho fatto segno che c’era una moneta nel carrello ed era già fortunato se gliela lasciavo lì. Roba da non crederci, sono le persone come quelle che rovinano lo spirito del Natale, che rendono tutto così…vacuo e venale e insulso. Barattare un augurio che dovrebbe nascere dal cuore con qualche euro, che tristezza.
Insomma, volevo buttar giù delle riflessioni di gioia e speranza sul Natale ed ho finito per soffermarmi su queste bassezze. E ormai è tardi, caro Gesù (ma sì, caro fa molto affettuoso, alla fine), gli amici arrivano tra poco e devo ancora mettere lo smalto.
Ne parleremo l’anno prossimo.