Perché si scrive?

Perché si scrive?
Me lo sono domandata spesso nel corso degli ultimi mesi, tentando di darmi delle risposte che non sono oggettiva verità universale ma sono la mia verità; non c’è univocità nella ricerca del vero, c’è spesso ciò che dentro vi si vuole cogliere, adattandola a sé stessi, a confutare o smentire ciò che è il credo degli antagonisti per giungere, poi, alla conoscenza della verità dei protagonisti.

Perché si scrive?
Per parlarci, come davanti a uno specchio; per ripercorrere con le parole, adattandole, la terza legge della termodinamica. Ad analizzare, attraverso il percorso letterario, l’energia che nella nostra storia personale ha distrutto qualche cosa per fare nascere altro, sdrucciolandosi e rialzandosi negli altri dettami della teoria del caos per fare correlazioni soggettive di una oggettività empiricamente provata.

Perché si scrive?
Nella parola scritta e fissata, nero su bianco, è più facile meditare e poi fare scivolare i pensieri pensati, arginando il fluire straripante del detto che viene gettato fuori senza soffermarsi su ciò che si sta dicendo pur di arrivare direttamente, spesso con tracotanza, al concetto da esprimere.
Nello scrivere si sta più attenti alla forma, si cerca la metafora, il sinonimo, il contrario, l’ossimoro, la costruzione sintattica della frase la cui musicalità giunga al lettore – e quindi a sé stessi per primi -, quasi poetica; si cerca l’evitare ridondanti ripetizioni che stonerebbero nel contesto scritto anche se così non sarebbe nel fluire del verbale, ove la ripetizione del dire è concessa.

Perché si scrive?
Perché abbiamo un foglio bianco davanti ai nostri occhi, da riempire di noi stessi pigiando sui tasti, dimenticando, nel tempo prima di Internet, il piacere che dava lo sverginare i fogli con le punte larghe delle penne a rigare la carta, sia quella umida che quella secca, fino a fare apparire, vedere le nostre parole come fossero state scritte in braille, da toccare, da sfiorare, da sentirle persino col tatto nella loro consistenza.

Perché si scrive?
Perché nella scrittura si parla di ciò che siamo e di ciò che riteniamo di conoscere di noi stessi, ma si scrive anche di chi non siamo e di ciò che vorremmo essere.
È con questo percorso che si può arrivare alla conoscenza di noi stessi e darci le risposte se ciò si pensa di essere è davvero così o è, invece, un bluff.
Si parla di ciò che si ha e di ciò che si vorrebbe avere, si parla delle proiezioni del proprio inconscio conosciuto e anche di quello sconosciuto; dei desideri, delle angosce che giungono all’improvviso a togliere fiato; si parla di amore e di dolore, si parla di passione, di voglia e di volontà del divenire.
Si parla delle gioie che lasciano increduli, attoniti, stupiti nel verificare che non sono proiezioni di sogni ma sogni proiettati nella realtà.
Si costruiscono montagne di parole per capire il sé prima che altri abbiano la presunzione di capire.

Perché si scrive?
Si scrive perché attraverso la parola è più facile giungere all’universalizzazione della propria storia che da soggettiva può diventare oggettiva nel raccontare il proprio vissuto, il proprio percorso, il proprio transitare negli istanti del tempo. Una storia nella quale qualcun altro si può riconoscere nello srotolarsi delle parole di distruzione e rinascita, nella lettura e assimilazione nonché adattamento della casualità degli eventi che si susseguono e che la teoria del caos già generava in passato e ancora genererà in futuro, incidendo di avvenimenti questo nostro tempo accelerato dei social network, di Internet, di libri scritti senza nemmeno sapere che lo si sta facendo perché non era quello l’intento primario che animava la comunicazione.
Poi un giorno succede che ci si rilegga e si capisca del perché si scrive: perché attraverso le parole comprendi che non c’è spiegazione se non quella che mentre una farfalla sbatte le ali a Pechino, a New York crolla un grattacielo.
Ma sotto la tabula rasa delle macerie del palazzo di New York può nascere un giardino, un prato; oppure qualcuno può catturare la farfalla di Pechino, strapparle le ali, farla tornare bozzolo per poi liberarla, proprio là sopra il verde polmone al centro di New York.

Ecco perché io scrivo queste mie storie.