L’idea potrebbe essere IL SOGNO di un ragazzo che decide di aprire una radio. Un sogno che viene realizzato, dopo aver ripercorso con i racconti dei suoi famigliari, la storia della musica nel corso degli anni.
Tu non mi conosci, ma questa idea fa parte di una cosa che mi frulla nella testa da tempo. Forse perché quel sogno di cui parlo l’ho realizzato e l’ho pure visto morire.
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La scenografia è composta da una cucina in un angolo. C’è un tavolo già apparecchiato, un divano sul quale è seduto una persona anziana che legge il giornale. Di lato un mobile basso, sul quale troneggia una radio di quelle di una volta. La televisione, ultramoderna, è spenta: il proscenio viene riempito dagli attori: la madre, con le spalle rivolte al pubblico, intenta ai fornelli. Il figlio, un ragazzo sui venticinque anni, che gira la manopola della radio alla ricerca di una stazione radiofonica il cui ascolto lo soddisfi.
Il padre è seduto a capotavola, intento a leggere alcune carte.
Il periodo storico è attorno al 1977, quando le prime radio libere iniziano a sparare nell’etere le note distorte del nuovo movimento musicale che sta travolgendo l’Inghilterra e, da lì, sta invadendo di nuove sonorità l’Europa intera, da Berlino a Parigi fino a Roma, dove vive la nostra famiglia.
Il ragazzo si gira verso il nonno:
“Nonno, quanti anni avevi quando Marconi mise a punto il suo sistema di trasmissioni senza fili?”
“Ero giovane, allora. Le prime musiche che sentii uscire da quella che ancora non sapevo si chiamasse radio, era un canzonetta che poi ebbe un discreto successo negli anni a venire, di un genere musicale che poi solo tempo dopo imparai fosse il fox-trot”
“E tu, babbo, quali canzoni ti ricordi?”
“Io più che canzoni mi ricordo una voce, quella che usciva dalle frequenze di Radio Londra e che ascoltavamo in religioso silenzio, a volume bassissimo, per non farci sentire dai nostri vicini collaborazionisti”
“Io invece – interviene la madre – mi ricordo le ballate americane che arrivarono qui assieme ai soldati. Glen Miller era la musica di sottofondo, quando tuo padre mi invitò per la prima volta a ballare. Poi ascoltavamo le nostra canzoni tradizionali: i walzer, le polke, la mazurke. Ma ai tempi era più importante l’informazione rispetto al divertimento. Erano anni difficili, figlio…”