La vendetta del ratto.

Lucio si calò nel tombino e subito diresse la luce della torcia elettrica verso la profondità del cunicolo. Il pertugio era troppo stretto per camminarci liberamente e certe tubazioni fissate al soffitto lo costringevano ad avanzare incurvato trascinandosi dietro l’attrezzatura. Il suo apprendista, per sicurezza, lo sorvegliava intanto da sopra. Disteso bocconi su un cartone che lo proteggeva dall’umidità del marciapiede, cercava a sua volta di schiarigli il percorso con un potente fascio di luce. Ogni tanto alzava la testa a guardare i curiosi che si fermavano ad osservarlo e iniziava a ridere sussultando convulsamente.
“Pino, che c’è di tanto divertente là sotto?” – chiese incuriosito il giardiniere dell’ospedale al ragazzo – “Sorella” – disse poi scherzoso rivolto ad un’anziana suora che si stava soffermando anche lei a curiosare – “Cosa vuole sperare da questi giovani operai sinistroidi, eh? ”. La religiosa scosse la testa e disse di rimando: “Eh sì, c’è poco da sperare. Speriamo che il signore li ravveda.” – E si avviò allegra verso le sale operatorie.
“No, no. Niente” – rispondeva intanto quel teppistello al giardiniere, continuando a ridere – “Niente, di niente. Ripensavo allo scherzetto che hanno fatto al portiere questa mattina”. L’uomo dovette pazientare non poco per avere la fine della risposta da Pino, perché da sotto Lucio reclamava assistenza.
Quella mattina gli operai avevano sorpreso una pantegana nell’ingresso della mensa infermieri. Bloccato il ratto tra due porte, Lucio e Pino armati di scope, lo avevano soppresso incitati dall’isterismo delle cuoche. Ma non era stata un’impresa facile. Vistasi in trappola la bestiola aveva sfoderato tutta la sua combattività compiendo slanci impensabili addosso ai suoi aggressori, riuscendo ad intimidirli con tutta la sua foga. Nessuno dei due, infatti, voleva assolutamente provarne il morso, ben sapendo come i ratti possano essere pericolosi per via della temutissima leptospirosi. Così prima di riuscire ad assestare il colpo fatale, continuarono per un pezzo a rimpallarsi l’un l’atro la piccola vittima a colpi di scopa, nella disperata determinazione di evitare il contatto coi suoi infetti dentacci. Tra il personale dell’ospedale, sempre afflitto dal problema della presenza di questi sgraditi ospiti, si favoleggiava infatti di superbi cani da caccia morti dopo giorni di agonia solo per aver mangiato dalla loro propria ciotola inquinata dall’urina di un ratto attratto dal cibo. Qualcuno raccontava anche di un canottiere caduto nel Tevere e morto dopo soli cinque giorni per averne bevuto accidentalmente un po’ d’acqua. Finalmente, sopraffatta dalla stanchezza, la pantegana cercò scampo in un angolino dove fu raggiunta da un’infinità di colpi vibrati con forza.
Una volta morto, il topaccio appena ucciso fu preso da un operaio, con un sacchetto di plastica, per esser gettato nel cassonetto della nettezza.
-“Fermo!” – gli gridò un altro collega – “Questo topino ci farà divertire, vedrete!” Fu trovata una scatola di cartone. La piccola salma vi fu adagiata su un letto di foglie di lattuga. Un limone completava la composizione. Impacchettato il tutto, con un pennarello qualcuno ci scrisse sopra: PRODOTTO FRESCO. Un portantino, ignaro del contenuto, fu incaricato di consegnare il plico alla portineria, con speciale raccomandazione che fosse subito recapitata proprio a Zerini, il portiere di turno quella mattina. Si sapeva infatti che lo Zerini, nel tempo libero, lavorava come cameriere in uno dei due ristoranti della città che avevano recentemente subìto controlli dei NAS, proprio perché sospettati di usare carne di topo per i piatti più rinomati. A causa di questa diceria, fosse o meno una leggenda metropolitana, il povero Zerini doveva comunque ogni giorno schernirsi dai lazzi e dalle insinuazioni dei colleghi. Un ratto ucciso da poco, fresco fresco, sembrò quindi a tutti un regalo adeguato per il portiere-cameriere. Uno alla volta, con la scusa di dare un’occhiata al giornale, gli operai andarono a fargli visita nella sua guardiola, fremendo per il momento in cui l’uomo avrebbe aperto il pacchettino a lui indirizzato.
Pochi minuti dopo, non appena si era ripreso dallo sbigottimento provato alla vista del ratto, furono tutti cacciati in cortile dai potenti cazzotti del portiere, tra lo sghignazzìo generale.
Lucio avanzava ora nel cunicolo fermandosi di tanto in tanto per disincagliare i sottili tubi di gomma della sua attrezzatura per saldatura. Girarsi ogni volta rappresentava una difficoltà a causa della strettezza del passaggio. Ormai poteva però sentire distintamente il tanfo del vapore che fuoriusciva dalla tubazione rotta. Doveva solamente individuare con esattezza il punto preciso del guasto e valutare l’azione migliore da fare per procedere alla riparazione. Con cautela, per non correre il rischio di ustionarsi, avanzava a passi ancora più piccoli cercando di puntare la luce proprio lì dove sentiva più chiaro il sibilo del fluido che fuoriusciva a pressione.
D’un tratto ebbe come la percezione di essere osservato. Ma non era possibile – pensava - che, a venticinque metri di distanza dalla botola d’ingresso, in ambiente così angusto, qualcuno potesse osservare i suoi movimenti. Poi però la sensazione divenne qualcosa di più. Con la coda dell’occhio, dentro quello che sembrava un foro nella parete, gli sembrò di scorgere un movimento, un piccolissimo ma deciso movimento. Il cuore aveva già accelerato a duemila quando, girando lo sguardo, finalmente si avvide di un piccolo punto rosso che brillava come la brace di una sigaretta nell’oscurità. D’istinto alzo la torcia elettrica puntandola su quel grosso led acceso a meno di venti centimetri dal suo naso. Il ghigno di un enorme ratto lo fissava beffardo. Tutto il corpo del topo sembrava pronto a scattare, e Lucio si ricordava bene l’agilità che questi animaletti sono in grado di mostrare al momento del bisogno. L’aveva sperimentata lui stesso quella mattina. Il ratto, per niente intimidito, continuava a fissare Lucio dritto negli occhi con quei suoi due tizzoni ardenti, saggiando l’aria col naso e con le oscene vibrisse dotate di mobilità propria. Memore di tutti i discorsi sulle infezioni portate dai topi, un brivido di paura gli corse giù per la schiena. Da eroe uccisore di pantegane di poche ore prima, Lucio si sentì ora, improvvisamente, in balia del rancore di tutta la stirpe dei ratti, tutta condensata nello sguardo severo del suo momentaneo rivale. Quel ratto era sicuramente comparso al suo fianco per vendicare il suo simile barbaramente ucciso a bastonate quella mattina. Lucio abbandonò tutta la sua attrezzatura e mentre fugiva verso l’uscita non osò mai voltarsi indietro, neanche una volta.

(Racconti di un metalmeccanico).