(…) L’incontro di Dante personaggio con
la musica delle sfere avviene entro i primi cento versi della Terza cantica, nel momento in cui egli varca assieme a Beatrice la sfera del fuoco per entrare nel primo cielo, quello della Luna:
Quando la rota, che tu sempiterni
Desiderato, a sé mi fece atteso,
Con l’armonia che temperi e discerni,
Parvemi tanto, allor, del cielo acceso
De la fiamma del sol, che pioggia o fiume
Lago non fece mai tanto disteso.
(Par I, 76-81)
L’armonia che temperi e discerni è espressione tecnica e musicale: temperare indica qui l’atto dell’accordatura (tipico soprattutto di uno strumento a corde come la lira, cfr. le sante corde/ che la destra del cielo allenta e tira di Par XV, 5-6, su cui avremo modo di ritornare), mentre nell’espressione discerni sarebbe secondo alcuni commentatori ravvisabile un preciso riferimento alla discretezza dei numeri per mezzo dei quali, secondo la teoria pitagorica, vengono stabiliti i rapporti matematici che organizzano lo spazio sonoro.
Secondo l’Enciclopedia Dantesca, si tratterebbe di «un riferimento preciso alla musica mundana, alla vera e propria armonia delle sfere; ma la maggior parte delle citazioni alludono ad un rapporto non immediatamente evidente che lega musica e simbolismo o, per meglio dire, a fenomeni strutturali interpretati musicalmente»
Nelle glosse all’unico luogo sicuramente attestato, le edizioni italiane sono nel complesso piuttosto caute: quella a cura di Umberto Bosco e Giovanni Reggio si richiama alla dottrina pitagorico-platonica e al Somnium Scipionis, precisando però che a questa musica celeste Dante non farà più riferimento nel corso del poema. Sulla stessa linea anche la Chiavacci-Leonardi che dice esplicitamente che «è
quell’armonia delle sfere», e conclude «Nel creare il suo paradiso, Dante segue la tradizione di ispirazione platonica che gli offre la possibilità di raffigurarne aspetti sensibili quali, oltre la luce, il suono»] . Particolarmente ricco l’apparato al testo dell’edizione a cura di Natalino Sapegno, che cita testualmente il passo del Somnium Scipionis nella glossa al termine temperi e rimanda ad una serie di altri saggi per ulteriori approfondimenti.
Sembrano adombrare un più esplicito riferimento, almeno terminologico, alla dottrina, due traduzioni della Commedia.
L’edizione francese della Bibliothèque de la Pléiade (tradotta e commentata da André Pézard) così riporta la terzina sopra citata:
quand l’orbe qu’eternise
désiderance de toi saisit mes sens
par l’harmonie qu’il régle entre les sphères
Viene qui esplicitamente utilizzato
il termine sfere, che non è presente nel testo originale, crediamo a scopo esplicativo (anche se viene a perdersi l’idea del temperamento che è più forte di quella del régler) e con un’evidente allusione alla teoria, di cui sono testualmente citate i due referenti (armonia e sfere) nello spazio dello stesso verso.
Per quanto
riguarda la traduzione inglese ad opera di Charles Singleton, se la resa di Par. I non risulta particolarmente evocativa (When the revolution which Thou, by being desired, makest eternal turned my attention unto itself by the harmony which Thou dast temper and distinguish), al contrario la traduzione di un altro luogo che viene generalmente citato come esempio di musica mundana appare qui chiaramente espresso. Singleton rende infatti così fui sanza lagrime e sospiri / anzi ’l cantar di quei che notan sempre / dietro a le note de li etterni giri ; (Purg XXX, 91-93) come
So was I without tears or sighs
before the song of those who ever sing
in harmony with the eternal spheres
dove, ancora una volta, le parole harmony e
spheres compaiono nello spazio del medesimo verso. (…)