S. aspettava il suo treno, come sempre in ritardo. Faceva quel percorso ormai da tre anni, e non ricordava una sola volta in cui quel treno fosse arrivato puntuale.
Dalla stazione all'Università erano solo sei fermate, e S. avrebbe potuto prendere tranquillamente il treno successivo, o anche quello dopo ancora, ma quella catena di ritardi la costringeva ad uscire di casa prestissimo, per trovars alla stazione ad un orario che le avrebbe permesso di arrivare a lezione in orario.
Perchè S. odiava i ritardi, e odiava i ritardatari. E se qualche mattina le capitava di fare un po' tardi, al punto di capire che non sarebbe mai stata in aula per l'inizio della lezione, allora preferiva starsene a casa studiare.
Ed era un peccato, perchè tutto sommato la stazione le piaceva. S. era una ragazza dinamica, sempre in moviemento, e la frenesia della stazione le metteva allegria, e le regalava lo sprint giusto per proseguire nel corso della giornata.
Il fatto di doversi muovere all'unisono con altre persone, per salire e scendere dal treno, in una sorta di coreografia collettiva di cui non si conosceva il coreografo, la incuriosiva e la affascinava.
Quando non doveva ripassare per un esame, amava osservare il volte dei passeggeri come lei, e cercava di immginarne la professione, la vita, i segreti, in un gioco infinito che non la stancava mai.
Proprio ora accanto a lei si è seduto un signore, di circa 40 anni, è alto, un po' robusto, con i capelli corti e gli occhi marroni, incorniciati da occhiali dalla montatura di ferro. Ha la classica aria da ingegnere, di chi si è rovinato la vista a forza di calcoli e di ore passate al pc.
Poco più avant un papà con il figlio, di circa 4 anni. Il piccolo sta sbocconcellando un cornetto al cioccolato, probabilmente la sua colazione. S. immagina la loro storia: un bambino non voluto da una ragazza troppo giovane per certe responsabilità, ma consapevole del fatto che abortire vuol dire uccidere. La gioia dei primi mesi, e poi l'abbandono. S. può quasi vedere quel ragazzo entrare in casa e trovare suo figlio (LORO figlio) placidamente addormentato nella culla, con accanto il biglietto di quella madre troppo giovane.
S. pensa che deve essere proprio difficile crescere un figlio da soli, soprattutto quando si è così giovani.
E poi pensa che aspettare quel treno ritardatario è proprio una grande fortuna.