Son dentro un prato di bisogni
o forse in piante di capricci
alla ricerca di risposte faziose
in queste vene prive di tempo.
Oltre la notte, là, quei fari spenti
che già risalgono l'albore andato
sempre si scaglia il mio ultimo sguardo
senza sostar sull'aroma d'un sogno.
Qui porto vesti da cavia
d'una morte inciampata correndo;
negli occhi ho quei giorni
in cui cadono i pugni
o l’alacre livore che s’accomiata al lamento;
e non più senti un abbraccio stentato
e, lì, si struscia un sospiro tra i venti
e in quel te stesso ti ravvolgi persuaso,
in più coperte infinite o sudanti
non più nere del bacio che stanco
o tragico ride legando gli eventi
ardendo separa due bare non spente .