Il Signor Horazio Kees , un qualuque nessuno di periferia si trovò un bel giorno dinanzi al dilemma più importante della sua vita.
Il tempo era passato quasi indenne su di lui, senza minimamente scalfire l’anagrafe delle sue tante voci; personaggi che neanche vedevano la luce, di cui lui scriveva le biografie e poi chiudeva dentro i cassetti della memoria come tante creature insolute eppure vive, ancora in grado di esistere e parlare.
Lungo la linea sottile della vita Horazio Kees aveva trovato una propria consistenza, sebbene non facesse che cambiare lavoro di volta in volta, sebbene le situazioni di comoda borghesia non gli fossero mai piaciute, sebbene la sua vita fosse una specie di giostra dei pensieri da cui folle anonime e turbinanti uscivano ed entravano ad un suo cenno o diniego.
Viveva isolato e pur integrato. E viveva nel riflesso costante del suo specchio.
Ora il dilemma era proprio quello.
Ogni volta che si guardava allo specchio gli veniva voglia di uccidersi.
Per anni il riflesso di se stesso gli aveva tenuto compagnia, lo aveva consolato, allietato,deriso, spronato. Per anni lui -era quel riflesso esatto-. L’identità capovolta. Margini e confini ritagliati sulle stesse fattezze; poi…ad un certo punto erano apparsi contorni stridenti, paradossali. Ad un certo punto era come se sentisse nella sua immagine l’abrasione della carta vetrata che veniva a sfregiarne i connotati.
Il dolore si acuiva sempre più, fino ad avvertire se stesso come la malacopia di se stesso.
Il Signor Kees quella notte era mezzo ubriaco, ma riusciva ancora a scorgere sullo specchio le sue irregolari fattezze; fattezze fantasma ridotte ad irregolari brandelli di qualcosa che si muovevano e fluttuavano insieme a lui come eterei pezzi di sé.
Ma ebbe chiarissimo il riflesso rosseggiante dello sparo e del bagliore, nel momento in cui si puntò la pistola in bocca e si sparò a bruciapelo.
Dopo il fulmineo intontimento, Kees riemerse dal suo lutto e quasi con disgusto misto a piacere non trovò più nessuno sullo specchio. Nemmeno se stesso.
'L’altro' giaceva lì ai suoi piedi in una pozza insoluta di sangue, nessun gemito, nessun lamento. Morto stramorto.
La paura lo attanagliò; repentina la ragione prese il sopravvento.
Chiunque avrebbe potuto udire lo sparo in quel piccolo alberghetto di periferia; si sarebbero precipitati lì e l’avrebbero trovato e arrestato.
Doveva sparire, andarsene via, prima che qualcuno trovasse il suo corpo e lo accusasse di assassinio.
Gettò pochi oggetti alla rinfusa dentro una borsa e silenziosamente come un ladro sparì da quel luogo diretto alla stazione. Solo viaggiando poteva far perdere le sue tracce, solo trascinandosi continuamente da una stazione all’altra avrebbe potuto raccogliere le proprie idee e formulare un piano di evasione più precisa………
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Alkimias
grazie alla mia musa che mi ha ispirato queste righe.