Mia Cara,
credo che il diametro di quest'isola non superi i cinquanta chilometri, al massimo.
La chiamano l’Isola dei Morti, perché non è segnata su nessuna carta nautica; ne abbiamo sentito parlare quando ci imbarcarono per la Francia, ma io e i miei compagni scrollammo le spalle, sorridendo alla leggenda, come alle tante avventure dei pirati che ci raccontavano.
Invece, ho imparato che c’è, che esiste.
L’ho appreso nel momento in cui mi ci hanno scaricato, dopo un viaggio lunghissimo fatto al buio, in catene nella stiva con un tozzo di pane ed un orcio d’acqua, senza aver visto altro volto umano, per la durata di quaranta soli e quaranta lune.
Siamo approdati all’alba, non mi hanno lasciato nulla né da mangiare né da bere.
C’è molta vegetazione, ci sono piante di cocco; fino ad oggi, mi sono cibato solamente della bianca polpa succosa, fino alla nausea.
Non ho mai udito gridi di animali e mai ne ho visto qualcuno, nemmeno ombre nella notte; solo qualche uccello volteggiare in cielo, ma non so come fare a catturarli.
C’è un ruscello di acqua dolce, l’ho scoperto il primo giorno, quando ho girato l’isola in lungo e in largo alla ricerca di qualche altra anima, ma invano: sono solo qui sopra, completamente solo, abbandonato al destino che non ho scelto ma che altri hanno stabilito per me, bollandomi come un traditore della nostra Inghilterra.
Non penso di tornare presto alla nostra amata patria, sono stato condannato all’Isola e posso solamente sperare nella clemenza del Re, che si ricordi di me quando qualche amico azzarderà la domanda di grazia, sperando di resistere e di sopravvivere fino ad allora, anche se so che sarà un miracolo nel quale ho già smesso di sperare.
Non mi riconosceresti più se ora potessi vedermi.
La mia pelle era abituata alle nostre piogge e umidori, non ad un sole così cocente; nemmeno il ripararmi all’ombra ha fatto sì che non mi sia ustionato il viso che ora ha il colore delle terrecotte toscane che contengono le viole nel nostro giardino.
Ieri ho fatto un ennesimo giro di perlustrazione qui intorno, ho trovato una grotta che mi era sfuggita nei miei altri pellegrinaggi.
Dentro, chiari segni che svelavano che qualcun altro, prima di me, l’ha abitata.
Ho trovato alcune pergamene, alcuni scritti che mi sono promesso di leggere più tardi.
C’è un rozzo tavolo e uno sgabello, fatti con tronchi d’albero.
In un angolo alcuni stracci che rivestivano un cadavere, le ossa tutte pulite, segno che sono passati diversi anni da quando il poveretto ha tirato le cuoia.
Ho trovato anche una bottiglia di inchiostro quasi secco.
L’ho diluito con un poco d’acqua, non durerà a lungo, e ne approfitto, dunque, per scriverti queste righe.
Le affiderò alle correnti, con la forza del mio pensiero farò sì che arrivino fino a te; ho un alleato, un potente alleato che aiuterà la bottiglia ove sigillerò questa pergamena a navigare mari ché tu possa, un giorno, trovarla sulla battigia.
Mentre camminerai scrutando il mare, porterai il tuo sguardo sul pezzo di vetro incrostato di conchiglie, ti chinerai per raccoglierlo e un brivido ti percorrerà il braccio e farà palpitare il tuo cuore, riconoscendo, senza saperlo, che lì dentro troverai un pezzetto di me.
Sarà la forza dell’amore a guidarlo, perché il destino di queste parole si dovrà concludere tra le tue mani.
Io so che ti arriverà, lo so, così come so per certo che qui, nell’Isola dei Morti, resterò per sempre, che non tornerò alla nostra casa e non vedrò mai più i tuoi occhi, né quelli di nostra figlia.
Non invecchieremo insieme, il destino non lo ha permesso.
Mia amata, io non ho mai tradito, te lo scrivo anche se so che tu non hai mai creduto alle accuse infamanti che mi hanno rivolto.
Non ho mai tradito il mio Re e non ho mai tradito te, che sei stata luce nelle mie notti buie, venuta a rischiararle con la tua dolcezza e con il tuo amore.
Ricorda le mie parole, le ultime che leggerai perché l’inchiostro ormai non lascia che segni sbiaditi: ti amo, Meg, ti ho amato, ti amo e ti amerò per sempre.
E amo Amy, dille che l’ultimo pensiero di suo padre è stato per lei.
Cercami, un giorno, oltre i tuoi pensieri: là, io ci sarò, per te, in eterno.
*****
- Nonna Meg, corri, nonna, guarda che ho trovato, presto…
- Che hai trovato, piccola?
- Una bottiglia e dentro c’è un foglio
- Non toccarla, ci penso io, allontanati…
Un raggio di sole perforò il cielo plumbeo che premeva sul mare in burrasca, persino le bianche scogliere che facevano da corolla alla baia sembravano avessero assorbito il grigio che sovrastava tutto.
Meg sentì una sottile lama inchiodarla davanti alla bottiglia tutta incrostata; il sole che aveva inaspettatamente fatto capolino, non la scaldava per niente.
Si stinse nello scialle mentre si chinò.
Strappò la ceralacca che aveva sigillato e preservato dall’acqua la pergamena ripiegata all’interno.
Scorse le prime righe e non se anche non riconobbe la grafia che aveva vergato le parole che stava leggendo, sapeva chi le aveva affidate al mare e chi le aveva guidate fino a lei.
- Nonna, perché piangi?
- E’ il vento, piccola mia, è solo il vento…