COLONI - DANIELA MICHELI

L’abitacolo era illuminato solamente dalla luce verde del monitor.
Assant dormiva in cuccetta, Helen sostava davanti ai led luminosi del computer di bordo, persa nell’osservare oltre lo spesso vetrocemento della cabina di pilotaggio e stupita della sensazione di staticità del viaggiare a velocità stratosferica.
Si sentiva un piccolo punto in mezzo a tutto lo spazio che, immenso e buio, avvolgeva il viaggio silenzioso della navicella, spezzato solamente da qualche puntino luminoso delle stelle lontane.
Era annoiata, stanca; non aspettava altro che la voce metallica uscisse dal pannello degli strumenti di bordo per annunciarle le coordinate d’atterraggio da inserire nel computer.
Helen si sentiva sporca, con una gran voglia di farsi una doccia, di levarsi finalmente di dosso la spessa tuta di neoprene che tratteneva il calore, ma anche gli odori acri del suo corpo.
Stavano viaggiando da quaranta giorni; secondo quanto stabilito dal piano di volo, sarebbero dovuti atterrare nel giro di poche ore.
L’attesa di arrivare su Exodus era enorme.
Le esplorazioni satellitari avevano catalogato la morfologia del pianeta come simile a quella terrestre. Pertanto, era risultato che Exodus, tra i tanti pianeti esaminati, era quello che meglio si adattava alla prima colonizzazione umana dello spazio, dopo che la missione Mars era miseramente fallita qualche anno prima.
Sapere che lei sarebbe stata il primo essere umano a piantare sul suolo vergine la bandiera del suo paese, l’inorgogliva ogni oltre misura.
Mentre sorrideva a questi pensieri, comprese che aveva giusto il tempo per svegliare Assant affinché venisse a darle il cambio alla consolle.
Un insolito rumore la fece trasalire; nel silenzio ovattato nel quale vivevano da quando erano partiti, suonava di sinistro e inquietante presagio.
Pensò ad uno scricchiolio temporaneo, ma il rumore continuava, ritmicamente. Helen si diresse verso la sala macchine: il  rumore pareva provenisse da lì.
La porta scivolò silenziosamente sui binari alla pressione della mano sul pannello d’identificazione.
Restò un attimo sulla porta con le orecchie tese; il rumore sembrava un ticchettio ripetuto con una cadenza ritmica che le ricordò i vecchi segnali morse, pur non riconoscendo nella sequenza alcun messaggio.
Perplessa, spaventata, si decise ad entrare.
Gli occhi di Helen fotografarono la sala, non soffermandosi su alcun particolare che meritasse una messa a fuoco.
Tutto sembrava come sempre, nulla fuori posto: i motori propulsori di là della spessa porta di vetro, il berretto con lo stemma dorato d’Assant poggiato disordinatamente sullo sgabello davanti al computer, le solite pareti e pavimenti di lucido metallo che riflettevano la tenue luce delle plafoniere incastrate nel soffitto dell’abitacolo.
Un rumore la sfiorò, spostando l’aria accanto a sé con un sibilo.
Helen si ritirò di scatto, appiattendosi alla parete, il cuore iniziò a battere scompostamente.
Con movimenti sorvegliatissimi, aprì la cerniera della tuta per raggiungere la pistola nella fondina allacciata sotto l’ascella.
Il rumore intanto pareva cessato ma non la sensazione d’allarme che aveva pervaso Helen.
Restò ferma per un tempo che le parve indefinibile, senza riuscire a placarsi.
“E’ tutto sotto controllo, siamo protetti e sigillati, non può esserci nulla qui dentro. Smettila, Helen, riprenditi, torna alla cabina comando e smettila”.
Si ripeteva la frase a random, ma non riusciva a calmarsi.
Rimase ancora per un po’ in ascolto: nessun rumore, nessun movimento, solo il battito del cuore scomposto e il respiro che centrava di controllare.
Si decise a lasciare la sala macchine e ritornare alla sua postazione, per mandare un rapporto alla base.
Riuscì a liberarsi della morsa del timore per un attimo, pensando a Peter ed a ciò che, da terra, le avrebbe gracchiato in risposta: doveva essere lui il predestinato al viaggio esplorativo su Exodus, ma un virus influenzale lo aveva costretto a letto, costringendo il comando alla sostituzione con Assant e dalla sua inseparabile gatta, che dormiva nel suo alloggio ai piedi del letto dell’uomo.
Al pensiero di Moon, gettò un’occhiata al trasportino: dentro, l’animale era vigile, con i peli dritti, il muso contratto.
Helen non capiva, ma era chiaro che anche Moon era spaventata da qualche cosa.
A passi lievi, raggiunse Assant che continuava a dormire tranquillo; gli mise una mano sulla bocca prima di scuotergli la spalla e svegliarlo.
L’uomo aprì gli occhi, guardandola interrogativamente mentre Helen gli toglieva la mano dalla bocca e gli faceva col dito il segno di restare in silenzio.
Assant annuì e vedendo la pistola che ancora Helen stringeva tra le mani, recuperò la sua, che aveva appoggiato sul cubo di metallo che affiancava il ciaciglio.
Si alzò e seguì Helen in sala comando, non prima di aver notato anch’egli  l’atteggiamento spaventato e di difesa di Moon.
Silenziosamente, Helen gli fece cenno di seguirlo; rientrarono in sala macchine, l’unico rumore fu quello della porta che si apriva nuovamente scivolando sui binari oliati.
Si appoggiarono entrambi alla fredda parete d’acciaio, in attesa.
Qualche cosa c’era, lo dicevano i loro sensi allertati e le occhiate interrogative che si scambiavano.
Le loro paure furono amplificate da un punto luminoso, accompagnato dal rumore che Helen aveva udito poco prima, che si faceva largo da un angolo fino al centro della stanza, illuminando il tutto di una luce che diventava sempre più accecante e insostenibile, crescendo di intensità assieme al rumore che diventava sempre più insopportabile.
Helen e Assant sollevarono le loro armi e le puntarono verso la luce.
Poco a poco, questa si diradò: in mezzo ad essa due ologrammi dalle stesse loro sembianze si delinearono con contorni definiti eppur evanescenti.
Helen si avvicinò, incapace a  credere  ciò che i suoi occhi vedevano ed allungò la mano a sfiorare l’altra se stessa, svincolandosi dal braccio d’Assant che cercava di trattenerla.
La luce si fece più intensa nel momento in cui Helen toccò l’immagine tridimensionale ed un rumore altissimo vibrò le pareti d’acciaio.
Helen cadde a terra, folgorata.
Assant, impotente, sparò alle forme, ricevendo in cambio solamente un nuovo rumore tremendo che gli fece portare le mani alle orecchie e lo costrinse a rannicchiarsi in ginocchio, nella consapevolezza che di lì a poco anche per lui tutto sarebbe finito.
Nei brevi istanti, che sapeva sarebbero stati i suoi ultimi, pensò ai campi di granoturco che aveva lasciato dorare al sole d’estate, perché la luce che invadeva la stanza, violandogli gli occhi, era la stessa del riverbero del mezzogiorno nelle campagne sconfinate della sua tenuta.
Pensò a sua madre, che aveva sempre disapprovato la scelta del suo unico figlio di far parte dei colonizzatori delle nuove civiltà spaziali.
Pensò ai figli che non aveva generato e che non avrebbe generato.
Pensò che stava morendo.
L’altro sé gli si stava avvicinando, con stridenti passi sinistri sull’acciaio che ad Assant ricordarono il gesso sulla lavagna quando era bambino.
Assant si fissò, mentre il rumore si faceva più intenso e gli faceva sanguinare le orecchie, lordandogli le mani che teneva ancora sollevate nel tentativo di proteggerle.
Una vampata di calore intenso lo avvolse, durò solamente una frazione infinitesimale di secondi, ma parve lunga una vita intera, segmentata in tanti fotogrammi fluorescenti che descrivevano lui neonato, lui adolescente, lui uomo preso dalla smania del desiderio di esplorazione, insofferente ad ogni costrizione spaziale e temporale.
Lui, in quel preciso momento: un mucchio di polvere, che tornava ad essere ciò era stato all’inizio dei tempi che non aveva vissuto.
E allora, per un attimo, gli parve di udire una voce di donna - la saggezza delle età passate - sussurrare fino a lui la sua benedizione, dal profondo della terra.

Piatto ricco mi ci ficco.
Sei un cinefilo eh PDG? Per questo già avresti la mia approvazione ma.... C'è un ma. Inizio lento, poi momento di tensione ma alla fine mi passa poco il messaggio che tu creda abbia voluto dare, nel senso che se volevi far passare la morale "moglie e buoi dei paesi tuoi", tanto per capirci, non sei riuscito a parer mio a legarlo bene. Però mi piace il tentativo di averci provato. Poi hai attinto da cult della cinematografia, dalla Ripley di Alien (ammettilo che Helen nella tua testa aveva le sue forme), ad Apollo 13 con il Peter che resta a terra causa un virus (Gary Sinise che guida il rientro alla base dice niente?) e gli ologrammi finali, un Total Recall miscelato a Terminator. Ci manca giusto giusto la voce di Hal e la Also Sprach Zarathustra di Richard Strauss come colonna sonora ed hai fatto bingo.
PDG, non offenderti ma di quanti letti fino ad ora, in tutta sincerità, mi pare la prova meno riuscita.
Per la forma non dico nulla, sono mica qualificata io.
Ripasso se non mi stanghi