Vent'anni sono tanti, anche per una regina.
Vent'anni passati in solitudine, con un figlio ancora piccolo ed uno stuolo di lestofanti questuanti per casa, non deve certo esser stato facile
Penelope l'arguta, degna moglie di quell'uomo che vantava da parte materna
parentela con Ermes.
Ulisse lo zoppo, lo squattrinato, mi son sempre chiesta perchè mai è un eroe.
Perchè muore, così come deve essere, secondo la tradizione greca?
Ulisse il più moderno ed occidentale degli eroi greci.
Ulisse l'incantatore, il furbo.
E Penelope é solo il biglietto di ritorno di Ulisse?
Moglie fedele, madre esemplare, condizione
necessaria per l'ascesa dell'eroe o eroina lei stessa?
Colei che ha il viso coperto da una rete.
La rete della trama, la rete della trappola, la rete che annulla il tempo, annullando se stessa.
La rete contenitrice del tempo ad Itaca, dove tutto sin espande in maniera innaturale, con
Laerte sempre più vegliardo ed il cane smisuratamente longevo.
Penelope "l'anatra", salvata da uno stormo di anatre selvatiche, gettata in mare per volontà paterna, si sarebbe chiamata prima Arnea.
Dietro il ritratto Omerico si celebrerebbe il più antico volto di una dea della primavera, la cui attività di tessere e disfare la tela alludeva al controllo della vita e quindi del tempo.
Se il telaio sta alle donne come gli uomini alla guerra, Penelope riesce, a trasformare un utensile così domesticamente innofensivo, nel suo personalissimo Cavallo di Troia.
L'instrumentum laboris, altro non è che che la splendida metafora dell'astronomia classica.
Un'astronomia essenzialmente geometrica, volta sopratutto ad ordinare e a disporre " la danza delle stelle"*, così come si dispone la trama e l'ordito.
Una volta celeste dove l'Armonia sarà sintesi di rigore matematico, quindi di eleganza.
Ma non basta. Penelope deve esorcizzare il tempo, affinchè il mitologema possa dare origine al mito,
passando dal modello archetipo universale, a quello particolare, individuale, che trae la sua originalità
dagli elementi culturali propri
.
Il tempo, si fa telaio, il ritmo circadiano diviene tela, che come il sole sorge e tramonta.
Neith signora dei mestieri nella teologia predinastica egizia, distende il cielo sul suo telaio,
poi con la navetta tesserà il mondo.
La mitizzazione di Ulisse si compie nei ventanni di solitudine di Penelope.
L'eroe perde il regno. L'eroe riacquisisce il regno. Un processo circolare.
" Quello che è eterno è circolare e quello che è circolare è eterno"**
Trasmissione ed accrescimento, perdita e rinascita.
Armonia degli opposti, consapevolezza ed accetazione non manicheista, ma sintesi perfetta e naturale.
La regina di Itaca non è Medea, non è Euridice. Affronta le traversie della vita, con lucidità,
con determinazione, non subalterna, come una sorpassata cultura femminista l'aveva identificata,
bensì come opposto necessario ed incontrovertibile.
" Ecco io preferirei combattere tre guerre che non partorire una sola volta" dice Medea ed ancora:"Fra
tutte le creature che nel mondo posseggono un'anima ed una mente, noi donne di certo siamo le più
disgraziate"
Medea non riesce a conciliare l'inconciliabile, ponendosi fuori dal cerchio.
"..cercando di consolare con la cava testuggine il suo amore disperato, cantava a se stesso di te, dolce sposa, di te sul lido deserto, di te all’alba, di te al tramonto. Entrò persino nelle gole tenarie, profonda porta di Dite, e nel bosco caliginoso di tetra paura, e discese ai Mani, e al tremendo re ed ai cuori incapaci di essere addolciti da preghiere umane.." Così canta Virgilio la disperazione di Orfeo per Euridice.
Povera Euridice, morsicata dal serpente muore. Se Orfeo fosse stato più attento, la sua sposa sarebbe morta, o questo tragico destino era già stato scritto?
Il viaggio ha bisogno di vittime.
Sciagurato Orfeo, perde l'amore, per cercare di congiungere le ombre e le luci, è lui che uccide Euridice, guardandola nonostante il divieto.
E sciagurati coloro che perdono le parole d'amore, accolte per poco, per essere dopo uccise dalla solitudine creativa del Poeta
Ma Euridice torna mille volte e mille volte sarà uccisa.
Ingrato e superbo, otrepassa le colonne del consentito, scende agli Inferi, vuole sovvertire l'ordine, scrutare il buio che lo ha generato ( orphè: il buio), il brodo primigenio psìchico.
L'amore ritrovato sta per vedere la luce, nell'ascesa e nella discesa, forse l'armonia di un attimo, il ricordo di un'età aurea, tra cosmo e individuo.
Ma così non è.
Il senso forse sta nella tensione tra amore e morte.
Orfeo vaga, ma non è la sua sposa che gli manca, cerca se stesso, solo l'atto creativo potrà placare questa dicotomia ovvero la "Poiesis"( Creare). In questo suo errare, sta tutto il dolore, la lacerazione del se, "la sindrome di Orfeo"
Ma è lei la "Poiesis"che rinasce dalla morte, dono immenso dell'amore.
"Bacca: Qui si dice che fu per amore.
Orfeo: Non si ama chi è morto.
Bacca: Eppure hai pianto per monti e colline- l'hai cercata e chiamata- sei disceso nell'Ade. Questo cos'era?
Orfeo:...sappi dunque che un uomo non sa che farsi della morte. L'Euridice che ho pianto era una stagione della vita. Io cercavo ben altro laggiù che il suo amore. Cercavo un passato che Euridice non sa........Quando mi giunse il primo barlume di cielo, trasalii come un ragazzo, felice e incredulo, trasalii per me solo, per il mondo dei vivi. La stagione che avevo cercato era là in quel barlume. Non m'importò nulla di lei che mi seguiva. Il mio passato fu il chiarore, il canto, il mattino. E mi voltai.
Bacca: Come hai potuto rassegnarti Orfeo? Chi ti ha visto al ritorno facevi paura. Euridice era stata per te un'esistenza.
Orfeo: Sciocchezze. Euridice morendo divenne altra cosa. Quell'Orfeo che discese nell'Ade, non era più sposo nè vedovo. Il mio pianto d'allora fu come i pianti che si fanno da ragazzo e si sorride a ricordarli. La stagione è passata. Io cercavo, piangendo, non più lei ma me stesso. Un destino, se vuoi. Mi ascoltavo.
Bacca: Molte di noi ti vengon dietro perchè credevano a questo tuo pianto.Tu ci hai dunque ingannate?
Orfeo:O Bacca, Bacca, non vuoi proprio capire? Il mio destino non tradisce. Ho cercato me stesso. Non si cerca che questo."( C Pavese)
Penelope sta tra l'amore di Euridice e la carnalità di Medea.
Ma non sarà mai ne vittima sacrificale ne tanto meno emozione caotica, ma solo splendida rappresenazione dell'Amore.
Un amore che si perde, perchè l'amore ha bisogno di perdersi per ritrovarsi in quel cerchio
perfetto fatto di lontanza e libertà, di ritorno e ancora di nuovo.
L'Amore che tende verso l'oggetto amato e genera il movimento, che si esprime nell'andirivieni
della tela e nella volontà del ritorno.
Ulisse torna. Lei scaltramente ordina ad Eraclea che venga portato, nella sala,
il letto per l'ospite.
“Donna, hai detto parole davvero offensive.
Chi potrebbe altrove portare quel letto?
Arduo sarebbe anche a un esperto dell’arte,
se un dio non venga a spostarlo,a metterlo altrove
agevolmente."
Il letto simbolo dell'amore coniugale, forte ed eterno come l'ulivo, tanto caro ad Atena.
Simbolo della famiglia, prima vera cellula sociale.
Il letto è la polis.
E poi il mare, che Penelope guardava dalla sua finestra. Quel mare creatore dove tutto è nato e dove tutto si trasforma.
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