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 MIE SACRE LETTURE: DARIO BELLEZZA

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Luca Curatoli
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Luca Curatoli


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MessaggioTitolo: MIE SACRE LETTURE: DARIO BELLEZZA   MIE SACRE LETTURE: DARIO BELLEZZA Icon_minitime5/2/2009, 03:21

Se è giovanetto il corpo maschile
risplende di luce incerta, ma chiara
guardate la mano con le linee appena
tracciate, e lungi il bisogno
di saperne di più. Informa il sesso
tutto il sotto muliebre ed efebico
in attesa di farsi uomo, maschio
altezza d’usignolo


DARIO BELLEZZA da LODI DEL CORPO MASCHILE



Qual è il fatto saliente della tua vita di poeta?
Il fatto che io adesso non abbia più nulla da dire. A nessuno.

Da COLLOQUIO COL POETA in MORTE DI BELLEZZA – STORIA DI UNA VERITA’ NASCOSTA di MAURIZIO GREGORINI



Da dove cominciare con te. Dal nome? Dal cognome?
Potrei evocare il rumore del brecciolino; quel pudico avvicinamento. Quando entravo nel silenzio, dove tu riposi. Mentirei prima a me stesso, se negassi che in un cimitero non penso più a niente. Dove sei vivo per me? Cimitero acattolico di Roma, all'ombra della piramide e della storia. Venivo a trovarti dove tu hai desiderato di stare, alla fine. Gesto, puro inizio, prima di chiedermi se cercassi l'uomo o il poeta o tutti e due. Cosa ho provato quel momento? Neanche una parola sensata mi viene in mente. Forse se ti avessi conosciuto prima; forse è meglio che mi avvii per il percorso a ritroso fin dove ti ho scoperto. Riapro l'antologia dalla copertina arancione, con un grande cuore rosso: non è per quello che ti ho scelto tra migliaia di altri libri. Rileggo le sottolineature e penso che ad ogni apertura, un libro che ti porta a questo, sia un ricominciare. Rivado distrattamente con la mia pessima memoria ad una delle tante sentenze emesse a favore o contro il poeta. Qualcuno, non mi ricordo più chi, ha scritto che Dario Bellezza fissa il limite di ciò che non si può più scrivere, dire. Sarà... Ti ho letto prima della critica letteraria e questo è un bene per me. Di te mi mancano ancora le prose e quegli ultimi esperimenti al margine di ogni definizione. Mi manca la tua officina. Dove, dicono, tu sia ancora più vivo.

Ti vengo a cercare una prima volta e non ti trovo. Non so a chi chiedere. Come te, ancora non avevo un pc connesso a tutto. Seguo le linee ortogonali dei percorsi, contrassegnati da grandi lettere. Leggo indicazioni inutili. Trovo una panchina. Mi rassegno su di essa, davanti ad una tomba sconosciuta. Aspetto non so cosa. Appare un gatto. Mi feriscono queste coincidenze. Così dolce accarezzarlo e subito rammento il tuo, o non so cosa o chi, in quei pochi versi che ricordo - Uscita da una tomba/ al cimitero degli Inglesi/ non so quanto durerai,/ se un mese, se un anno:/ resti solo tu àncora di salvezza/ ad una vita incerta di domani -. Tento di scrivere una poesia e non ci riesco. Eppure quanta pace, quanta perfezione qui. M'investe come se io mi trovassi sulla parte bassa di uno smisurato teatro. Questo cimitero ha la particolarità fisica di essere racchiuso da due possenti mura, con nessuno squarcio verso il traffico, oltre alle feritoie. Si entra trovandoselo quasi tutto davanti: una linea orizzontale che si innalza fino alle mura più alte: quelle che vedo sempre dalla ferrovia Roma-Lido. Oltre l'ingombrante piramide naturalmente. E tanti alberi, pini altissimi, a ombrello su tutto il resto. Fa freddo ed è umido. Me ne vado sconsolato, non conoscendo le abitudini del luogo.

Ritorno una seconda volta. Più deciso. Rileggo il foglio all'entrata. Avverte il visitatore che il luogo ha bisogno di cura e sostegno economico. Lascio cadere una moneta nella cassettina di ferro attaccata al cancello. Si ripete la scena e quella calma che m'investe, quando io non lo sono affatto.
Vedo uomini affaccendati con scope, rastrelli e una infinità di altri attrezzi. Uno annaffia le aiuole con un lungo tubo di plastica. Vorrei avvicinarmi. All'uscita dei bagni saluto e chiedo di te. Uno vestito con una tuta mimetica simile ad un netturbino, mi fa cenno di seguirlo. Parliamo a voce alta, zigzagando tra tanto apparente ordine. "E' qui" mi dice e mentre lo ringrazio indica che due tre tombe accanto c'è pure quella di Amelia Rosselli. Subito la rivedo da quella fotografia che mi guarda severa e ossuta. Non è ancora il suo momento. Mi dimentico di lei. Voltandomi verso la lapide. Semplice scabra. Una sola pietra di granito bianco sporco, con i buchini attorno pieni di terra. Nessuna statua, nessuna romanticheria, nessuna foto. Tanta pulizia per quel che è possibile. Fiori freschi in vasetti di vetro: attorno aiuola bassa di sempreverde. Oltre questo non sento un granché. Solo un gran silenzio. Una grande pace. Un donare. Senza chiedere niente in cambio. Pensiero da vivo, il mio.

Tu sei vivo nei miei pensieri, quando una volta averti letto per sempre, non smetterai mai di essere una presenza per me. Catalogata da una stessa ragione inafferrabile. Nome Cognome Luogo di Nascita e Morte. Con tutto quello che una vita ha potuto inventarsi. Perfino omosessuale sei. Simile a tanti che come te, urlavano la propria diversità. Simile a me. Vi ho sempre ascoltato quasi in silenzio. Stupito e irritato. Sorridevo con poca partecipazione ai vostri colpi di teatro, quando smettevate barba e peli e vi apostrofavate con voce alta e femminile. Eppure noi tutti conosciamo le ferite del linguaggio. Quello degli uomini. Cosiddetti maschi, come direste voi. Sempre ad avercela contro di loro: gli eterodiretti. Anche senza averti conosciuto, t'immagino a lamentarti di questi uomini... degli incontri mancati. Come gli altri, troppo impegnati a piangersi addosso, invece di cercarlo veramente, l'amore. E quanti discorsi sugli uomini, mancati, e noi. Quanto tempo buttato in giorni perfetti. A tessere e sbrogliare la tela della grammatica italiana. Trasparenti a noi stessi, noi non avevamo la delicatezza di ammettercelo. Quale uomo pensavi di scoprire nel corpo acerbo di un giovanetto? Cosa oltre la bellezza.
Mi piacerebbe dirti che tu per me sei uomo nel senso più pieno. Traboccante.
Perfino nella poesia ti leggo contraddittorio. In una continua tensione verso tutto e tutti. Come se il mondo fosse questa continua lotta, questo continuo caos tra le forme di vita più disparate e noi stessi. Come se ognuno non avesse diritto ad un poco di calma. Perchè ti negavi questo? Sei stato in grado di scegliere? Eppure leggendoti sembri sapere tutto. Possiedi la sensibilità del poeta; e dell’animale per lo spazio circostante; ti sento a fiutare l’odore di una sedia di paglia. Poi parla. Sapiente in un rigo e ignorante nell'altro, ti leggo. Comunichi direttamente questo dissidio o forse la chiarezza dei tuoi versi è solo illusione.

Vogliono fare un caso della tua morte. Vogliono illuminarla. Quei pochi che ti sono stati vicino, negli ultimi giorni. E tutti gli altri. Leggo Gregorini per la parte che mi interessa e ti riguarda più da vicino, come essere che sentiva un insopprimibile bisogno di comunicarsi agli altri. Quella intervista dove ti metti a nudo con apparente accettazione tragica. Che siano altri a consumare libri dove si grida "io so" "io c'ero" “ho capito…”. Chissà quanto ce ne vorrebbero di scritture appassionate, oneste, che ci parlano di poeti misconosciuti o osannati in terra con un'elemosina di lettura. Cosa cerchi Gregorini? Cosa ti inquieta così profondamente.

La morte fin dalle sue prime avvisaglie è tremenda. Peggio della morte c'è solo la malattia; ancora più in fondo, l'infamia degli uomini. Non si può tralasciare di questa vita tutto sommato piena di colore, il momento del distacco. Dell'uomo dalla sua vita e del poeta dalla sua opera. Venivi a curarti vicino a me, a Casal Bernocchi, arrivandovi per la via del Mare o la Cristoforo Colombo. Le uniche due arterie tra me e la capitale. Di nuovo pensieri inafferrabili, da qualche parte tra noi. Ritorno a quella intervista come se potessi vederla. Davanti a Gregorini, l'interrogante, tu nelle ultime battute: le ultime cose dette al mondo. Rispondi alla seguente domanda… In realtà cosa pensi dell'AIDS? Dici - Penso che sia una malattia subdola e stupida -. Per quale motivo stupida? - Per il motivo che si insinua dentro di te nel momento dell'estasi, senza che tu te ne accorga -. Questo dici poco prima del tuo definitivo silenzio. A me piace immaginarvi, voi due amici trasformati in impassibili testimoni di una storia, ripeto, mi piace immaginarvi divisi solo da una lampada accecante. Sembra tutto un retorico espediente per illuminare vita e morte di un’artista e sollecitare il nostro sguardo, oltre ogni possibile e comprensibile distrazione. Tutto così giusto e sbagliato. Perfino sacro. Chissà cosa ne penseranno gli altri. Quelli che non capiscono o fanno finta di non capire. Quelli che voltano sempre lo sguardo. Quelli, soprattutto, che ancora oggi utilizzano il dolore contro qualcuno. Non gli sia mai perdonato.

Fisicamente sei nella mia piccola e ordinata libreria. Terrei a fartelo sapere. Tra Sandro Penna e Alda Merini, ti ho messo. Lei è generosa, uno spasso a sentirla parlare. Sandro per il momento è quella copertina azzurra degli elefanti della Garzanti. Ho rubato di lui poche luminose epifanie. Attimi. A morsi. A te faceva questo effetto? E' come il sole. Lo puoi guardare solo un momento. Pier Paolo te lo tengo a giusta distanza. Lui che definisti una volta l'amico arricchito; l'amico che ti aveva abbandonato molto prima di morire ammazzato. Amico comunque e sempre nella sventura. In quella sventurata vitalità di provocarsi e provocare il mondo. Il tuo spirito non so dove collocarlo, dove sia precisamente. Ho le idee confuse su questo e su molte altre cose. O forse dovrei dirlo di non crederci. La parte più importante di te è tra le tue fatiche e le mie strane letture.
Forse ci siamo sfiorati, nella confusione del giorno o in quelle strane elettriche e costernate serate.
Passanti. Sentivo parlare di te senza la curiosità di sapere cosa facessi. Allora scrivevo solo con la mia voglia. Mi portavo la fame addosso senza alcuna sensibilità per quella altrui.
Non conosco i tuoi angoli, il tuo disordine e quella tua mente da te giudicata ordinatissima.
Fiammeggia dai testi una volontà di ferro, non so quanto reale. L'opera è compiuta. In quel gran caos che eri. Attraverso il quale ti piaceva rappresentarti. Hai donato frammenti eterni di ordine. Miracolosamente compiuti in sé.

Ora come in un racconto dovrei chiudere quel cancello. Eppure temo che si sia già consumato il momento. Ancora non so se tu abbia ancora qualcosa da dirmi. Mai ti dimenticherò.
Ora come al teatro, fingerò un po' di magia, dissimulando ad arte l'emozione. O che altro.
C'è qualcosa in te, in quello che mi hai lasciato, che brucia come un fuoco. E' solo una poesia, una maledetta splendida poesia. E' mistero alla luce del sole. Come la luce del sole, continua a perseguitarmi. Ora tu diventi questa poesia, questo messaggio oracolare. Desidero metterlo sul trono più alto, come monito per me




I bambini mostri leggeri
consumano fumetti criminali
si preparano alla guerra totale
anch'io acido come un ragno
cui hanno distrutto le reti
della fame permanente
aspetto un allievo moscerino
per metterlo in guardia
dalla Visione*




*di DARIO BELLEZZA da PROCLAMA SUL FASCINO
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MessaggioTitolo: Re: MIE SACRE LETTURE: DARIO BELLEZZA   MIE SACRE LETTURE: DARIO BELLEZZA Icon_minitime5/2/2009, 07:34

Ti posso dire solo grazie per questo, Digit! Nei miei anni giovanili troppo grande per contenerlo, ora lo riscopro e mi arricchisco. Grazie ancora.
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