QUEI CESPUGLI DI MIRTO ADORATI, MILLE VOLTE DESCRITTI

“(...) C’ era una cosa che amavo fare, al germogliare di quei giorni dimezzati da Proserpina della luce… era affacciarmi alla balaustra e guardare avanti a me, oltre l’erba rada, i cespugli di mirto adorati e infinite volte descritti, dipinti come i fusti di fico d’india, fissare giù, arrivare al mare, guardarlo bene come che ogni ora fosse l’ultima, e davvero così era; percepire, delle nubi cineree, ogn’increspatura, l’impeto, le trasparenze, mirarne le sembianze apparire e sparire all’occhio incerto nel crine vacuo; quelle fronde, i riccioli schiumosi, il fluttuare di seta acquosa che, vello di TempiEVenti, ricopriva l’orizzonte nascente dal sole e, appresso, gli si perdeva reclamandolo, sollecitandolo all’abbandono dell’alba, amante sulla culla della sua fortezza di terra lì, ora dinanzi a me, che apriva e fendeva la sabbia in un braccio unico ch’era una calanca. La richiudeva in un balzo felino e stretto, l’imprigionava di dune all’erta, la scherniva di ribollìo di correnti di Sirene, Nettuno e Venere, ora superficiali, ora profonde, e ne subìva l’anfratto roccioso e perso, e vergine, e impuro su cui mugolava, palpitava, bubbolava, ansava fino a frangersi, redimersi.
Era un labirinto arcano di streghe amorali e folletti transumati dal bosco vicino (dae Lughe de Chelu e Jenna de Bentu), quello alla destra dell’occhio mio agile e la penna pronta, dei pini e dei larici che m’ aveva nata bambina, bozzolo inerme… quell’albero alto, che è sempre nel cuore, il fusto divino del sughero ardenteardesio, dove il bozzolo inerpicava scalando e sfidando il cielo ed i rami che nel giorno dell’ angelo custode sfrondavano foglie rosse e plastiche, silenti, già morte eppure ancora legate, le cocciute, da invisibile mano ai bastoni erti, virili, sinceri e gestanti che le avevano esplose, due stagioni prima, tra i voli di gabbiani glauchi e terraioli, di ghiandaie bramose e di passeri ballerini tra i massi muschiati, dolci e salini, che delimitavano quel corso d’acqua che non oso definire fiume, avvolto dalle nebbie a dicembre, lì, dove lei ad ogni prima avemaria sedeva, lo scialle troppo rosso stretto tutto nel pugno, il cesto dei panni da lavare abbandonato accanto al fianco generoso da sarda, celato da stoffe invadenti, quei capelli che , ribelli, ricadevano giù lunghi, folti dei sedici anni suoi, incolti di castagno acceso, intrecciati e mossi quanto il mare che le si apriva allo sguardo, scemavano e s’alzavano talvolta, agitati dall’aere dispettoso.
La vedevi arrivare; “sa macca” la chiamavano, la matta, saltando a piedi nudi e avvezza i sassi sull’acqua, uno ad uno e, davanti al primo sole e al mare che lo empiva; levare il fazzoletto nero dalla chioma, liberarla dalle forcine d’osso, sollevare il viso e regalarlo al vento africo, lasciarlo imporporire, baciato di iodio o pioggia levia. E così lei restava, e l’aspettava; ogni giorno sapeva ch’era un giorno in meno in cui avrebbe dovuto aspettarlo.
E lui, da terra anzena, sarebbe venuto (…).

Giovanna Mulas
Da “L’ isola degli angeli silenti”

Tu non scrivi, Giovanna: tu dipingi.
Hai una tavolozza con una gamma di colori così dettagliata e particolare nei dettagli, che riesci a farmi vedere ogni sfumatura del verde che dirada verso l'azzurro, fino a fondersi in esso, passando per un viale dai mille toni del marrone dei fusti degli alberi e dei grigi dei ciottoli.
E in fondo una figura... Visualizza altro, libera, felice, in attesa...
Splendido brano, da leggere e rileggere per memorizzarlo e farlo scorrere nuovamente, dentro di sé ad occhi chiusi, per catturare i colori e là restarci, pacatamente, per respirare lo stesso profumo che le tue parole emanano.
Grazie, Signora.

Come posso descrivere la bellezza di queste parole?
Non ci riesco...

Molto ricco. Ricchissimo.

Pare quasi ci sia il timore di venire a commentare questa pagina.
Mi chiedo il perchè.
Sinceramente me lo chiedo.

Senza parole adeguate.
Una pagina dove il linguaggio si piega alla fantasia, la parola si fa materia e la materia pensiero.
Un sogno, una visione, un ritratto di Natura ferina.

Non è facile commentare tanta bellezza. Le parole danzano in un'aria senza tempo, in una natura direi quasi mitica, omerica e panteistica al tempo stesso. Una visone aurea degli elementi naturali, che sposano innocui momenti pagani. Poi, la carnalità quasi mistica di " Sa macca"che transita tra l'alba e il tramonto.

Ammirata


_____nat

toglietemi tutto ma non un profumo, una parola profumata. e una balaustra....

un flusso di odori pregnati, di salsedine abbarbicata su braccia adorne, di un bruciore di tempo trasformato in acqua, di colori rifrangenti di memoria.....M

La si trova in poche righe ma lei, lei spicca nello splendido contorno.