Alessandro Vettorato Top
Numero di messaggi : 614 Data d'iscrizione : 05.02.09
| Titolo: Pensierini casti e puri, prima di andare a dormire 5/4/2009, 10:40 | |
| La solitudine intrisa nel bicchiere Mescolata alla grandezza d’ali di Prometeo. Incancellato a lacrime smesse, si raccoglie il dolce fiato sulla tela che i morti han abitato all’ombra dei guanciali.
l’estinzione s’affratella al dubbio costante vigile il rimorso e i peccati di madri a ventaglio rinchiuse nel ghiaccio perse –
Le ali di zucchero son madonne incatenate E penzolanti rigurgiti Quando il figlio penzolando alla croce Vomitò i resti della cena sui fedeli, presi controtempo nell’aria smessa di metà ottobre in fuga verso l’equizono d’inverno, se mai esiste, in fuga dai macelli, dalle grate incolte cittadine, dalle vecchie ciondolanti ai lati della stazione e chi parla fitto a nebbia, semaforo semovente di colori pazzi.
Al punto di sentirsi opere buffe Nel mistero di paludi, io mi gratto la pelle al punto da scaturirne paradisi, bagnati nella frutta; succhiando le estremità mi ricerco amaro il sakè della conoscenza e così smisero le candele di bruciare, producendo suoni incontrati dove s’incrociano vita e morte.
Lassù, dove s’incrociano i fachiri del tempo s’estinguono i sorrisi; i sorrisi si fanno lievi cicatrici da barattarsi ingombrando l’etica e facemmo colazione nei buchi singoli della terra, facemmo buchi nei piatti e nell’oceano cercando tovaglioli.
I decibel a miraggio incrociati Unti e pianificati, bombe inarrestabili sulle teste di gente in movimento.
Testimoni di massacri; le orecchie cancellarono il buio al di là delle dune; c’era il deserto, al dì là delle dune, c’era il deserto e poca gente per la via delle oasi.
Un movimento represso, ma costante, un’atmosfera che richiedeva atolli e i signori della guerra scoppiarono nell’alba, coi tronchi spezzati, perché fosse chiaro quanto frutto s’arasse per i casolari.
Quelle bambine, chiamiamole col nome di battesimo, quelle bambine sembrano muscoli esposti, carne sfilacciata, racconto disunito di carnalità distratte.
La malattia d’uva ingorda ci istupidì Al punto da crearci frane dipinte sulle unghie.
Avevamo bisogno di cibo e acqua, avevamo bisogno di certezze e le ossa, intanto, si sfaldavano, si rileggevano materiali tessili
la paura di vivere giorni sbagliati m’accompagna sempre .
Dice la pubblicità Di corrompere i bambini con le caramelle, con le forme sessuali chiamate giocattoli, dicono, ieri hanno venduto album fuori produzione che sapevano di scadute abitudini.
La morte responsabile, la chiamarono. Di morte responsabile vivemmo gli ultimi istanti, dipingendo gli angoli delle strade, dipingendo i manifesti ebbri, l’ebraismo enfatizzato di masse linguistiche.
Sentirsi soli anche dopo un pranzo, i pazzi lasciati laggiù sopravvivono il tempo necessario, poi più nulla.
ansima uomo, al telefono la voce sembra uguale a tante altre, ansima oblique certezze, la voglia puttana, il disavanzo selvaggio, creando intimità nella media, rese straordinarie dall’assenza –
Passano due ragazze, frecciando liti invernali, una buca l’attimo, la lingua accartocciata sulle ali barocche del sangue corso, scorso per preservarci dai mali futuri; poi il nulla, poi l’esplosione, poi il vengo tardivo sulle tette, poi il cazzo insanguinato dentro la fica vergine della madonna, poi mucchi di foglie bruciate, poi l’alluvione che si fa metafora e amarti, amarti, amarti, il più delle volte amarti nel passeggino, amarti come solo, amarti perché.
Aspetto che squilli il telefono, lo aspetterò anche quando sarà tempo di suicidi e sudice allegorie, i tuoi desideri incestuosi verso di me e che malattia puoi avere che non sia già stata scoperta, analizzata e disimparata.
Di notte avverto l’esigenza di pugnalarti il cuore, di mangiare il tuo sangue, vomitarlo, poi berlo, mangiarlo, berlo.
Di notte ho bisogno d’aria fresca E un continente pubico da pubblicizzarmi nei sogni.
Di notte avverto l’esigenza di violentarti a più riprese, fottendomi il calco delle mani sul sagrato del duomo; l’impresa di lasciarlo lì a marcire con la tua pelle pellegrina.
Non esiste inimicizia, parlando di sacralità, solo un porcodio isolato riecheggia e fa male riflettere che doveva accadere tutto nell’ottica distorta.
Piangi, cazzo, piangi, azzerati le meningi, sii quadrato di un’immacolata concezione e fa male ridere dopo e fa male ridere dopo che e fa male ridere dopo che ti han spaccato la faccia, germogliando grano sulle ferite; fa male sputarsi le mani e quando vedo suore mi viene in mente la clausura, le iniezioni di fiori sulle briciole e madre, quanto dolore colto senza esserne privilegio.
La cura omeopatica si riveste di luci ad intermittenza, ma va così il mondo.
La depressione mi lega al benessere delle forme, mentre mi ficco in culo il cantico dei cantici, me lo ficco in parti disimparate di me e mi dicono che ho la barba lunga e mi dicono hai la barba troppo lunga e mi dicono come fare a dimenticarla?
Gli episodi astratti con cui sto rovinando la mia vita, avrei bisogno di certezze, c’è solo droga che mi pettina i polmoni, alcool a incipriarmi le unghie e un sacco di vitamine moribonde ai lati dell’immaginario.
Stiamo lavorando per voi; è appeso un cartello sopra le nostre teste sfitte, siamo laboratori di ricerca per ricchi geni che mal si comandano a tradimento.
Urge orientarsi nella sporcizia Della vasca immobile, urge imparentarsi con meditabonde chiacchiere, dì ciao ciao, mentre svergini uno squalo, dì ciao ciao mentre tocchi le tette di quella ragazza che ti aveva mostrato la lingua e il lembo di pelle marcia, irritazione cutanea, è comunque, sempre, lo stesso treno che prenderemo ed esploderà alla stazione.
Ora come ora mi farei fare un pompino Dalla ragazza con la gonna a quadri, da quella riportata sul manifesto di madre segreta, dalla bigliettaia in minigonna, da mia cugina, da Alanis Morisette, da mia zia che lecca cazzi, da mia nonna che sta nascendo, dalla betulla nel mio giardino, dal trucco pesante che usi andando a mangiare aragoste, dai jeans attillati della cicciona al museo, dalla ragazza cieca in metro, dal cadavere ammuffito del fagiano steso in mezzo alla strada, mi farei succhiare l’uccello da un’intera orchestra di malati terminali, dal papa Ratzinger, da cristo appollaiato sulla lavagna della scuola dove insegno, mi farei spompinare da chiunque arriverà a leggere fin qui i miei deliri, vi verrei in faccia, tanto siamo una generazione che ingoia e che ama farlo.
Non ci credete? Davvero non mi credete? Davvero credete di sapervi destreggiare Fra il fango e le chimere?
I quattro stracci m’insegneranno a mangiare –
Fermandomi davanti a una chiesa leggo: sarete testimoni, ma testimoni di cosa? Di Geova? Di un omicidio? Delle nefandezze della cristianità?
Fermandomi davanti a un pornoshop Vedo gente felice, gente che non è testimone di nient’altro che il proprio piacere e fa bene godere e fa bene godersi mezz’ora di sega libera, senza doversi per forza sentire malati, ninfomani, perversi.
Mi sto trasformando in una balena Che erutta cherosene Da uno sfiatatoio che sa di candeggina, che assomiglia a una vagina.
Bip Bip
Frequenze angolari, contatti bipolari.
Mi scontro troppo spesso coi miei incubi, vincendone le perdite allegre.
Fra una settimana, un anno, una vita avremo collezionato talmente tanta naftalina che il disordine nella mia testa è vomitato e vomitato e vomitato.
La gente ha fame e mangia schifezze Pur di sentirsi appiedata E all’inferno incontreremo un diavolo balbuziente O un dio anoressico; sicuramente un barbiere cocciuto da sterminio umano.
Giro e le cucine sotto la metro Sono di ghiaccio E si perdono in labirinti di labbra; si perdono ogni volta che abbiamo fame o sete e io mi piango contro la membrana delle lucertole.
Fra le tue cosce ti senti l’esodo bagnarti la fica; A rintocchi irregolari ti molesto il buco del culo In modi diversi; infilandoti contro le banane, le cipolle te le vedo piangere, quel buco di culo profumato all’ananas, te lo vedo ridere.
L’occasione per sentirsi uomo onesto Arriva accarezzandoti Sulle convinzioni Di una parte seduttrice Che sfamerà le ceneri, che sfamerà le ceneri, che ti sfamerà quando sarai cenere.
Compiremo misfatti lasciandoci, poi ritrovandoci, ma ormai il danno sarà compiuto.
Tu tieni una mano al cuore E uno al cervello, perché entrambi sono importanti e ti sfamerò, ti sfamerò, ti sfamerò, ti renderò potabile nel centro delle cosce.
Non devi sentirti sola, perché anche quando non ci sarò a sodomizzarti la flora intestinale non mi posso accontentare di averti come sabbia, con cenere nel deserto.
Tutto torna, santificato, tutto torna, meccanizzato, tutto si rompe o si sgretola.
Avrei dovuto dirti molto di più, ma il tempo è poco; perdipiù lo abbiamo perso senza chiederci perché. Lo abbiamo perso e per fortuna, dopo, sono nate stagioni nuove. 2004 | |
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Gaetano Benedetto Star
Numero di messaggi : 1571 Data d'iscrizione : 01.03.08
| Titolo: Re: Pensierini casti e puri, prima di andare a dormire 5/4/2009, 15:47 | |
| Non ci credete? Davvero non mi credete? Davvero credete di sapervi destreggiare Fra il fango e le chimere?
bravo Ale, c'è moooolta verità nelle tue parole... ma siamo davvero capaci di distinguere la verità dalla finzione (si scrive così ma si legge pubblicità)
due libri da consigliare, ma forse sono stati già letti da molti di voi -storia della libertà di pensiero (paolo villaggio) -lire 26900 (frederic beigbeder) | |
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