Il mio matrimonio e il mio viaggio di nozze.

Io e Giovanni non perdemmo tempo in fidanzamenti. Ci conoscemmo a ottobre del 1965 in un albergo di Chieti. Lui marchigiano ed io romana eravamo approdati a Chieti per lavoro, lui
responsabile del personale al Consorzio agrario, io assegnata alla cattedra di filosofia al liceo classico. Dopo esserci presentati nella sala della televisione, forse non passò un' ora che, chiacchieando, chiacchierando cominciammo a litigare. Argomenti: la religione e la politica. Pare che ci piacesse litigare perché il 7 gennaio del 1967 ci sposammo a Roma nella cappella delle grotte Vaticane, adiacente alla tomba di Giovanni XXIII, il papa buono, sulla quale deposi il mio mazzolino di fiori. Pranzo in un albergo nei pressi di San Pietro, con pochissimi invitati, praticamente i miei e i suoi parenti stretti. Mentre noi partivamo per il viaggio di nozze, deciso nel momento in cui salimmo nella macchina di Giovanni, a Roma e altrove succedevano cose non troppo piacevoli. Il parroco di San Pietro, novantenne, che aveva sostituito il prete amico di Giovanni che aveva mancato l' appuntamento, bloccato dalla neve.( Oh, quell' anno la neve decise di rendermi omaggio con il suo candore. A Roma non nevicava da anni!) il prete novantenne, dicevo, dopo la firma rituale, uscendo dalla stanza non vide un gradino, cadde e si ruppe un femore
con conseguenze infaustamente irreversibili. Nella gelata che fece nelle Marche durante la mia notte di nozze, qualche centinaio di cavoli piantati nella terra della famiglia di Giovanni, andarono in malora tutti insieme. Quando entrammo in confidenza, mio cognato, ridendo, mi disse che tutti i parenti dello sposo si erano chiesti, un po' per celia e un po' per scaramanzia, se tutto quel macello non dipendesse dai miei poteri malefici. Invece, me meschina, io non portavo jella perché, quando in macchina, subito dopo il pranzo, ci chiedemmo dove andare se al nord o al sud, io dissi subito: “Al Nord!” Non ci crederete, al Sud si scatenò l' inferno: nubifragi , alluvioni, tuoni e fulmini.
Noi in Val d' Aosta trovammo un freddo boia ma un cielo limpidissimo e azzurrissimo.
Dall' albeghetto di La Thuil vedevamo il Dente del Gigante scintillare come fosse coperto di diamanti. La mattina presto prendevamo il gatto delle nevi, attrezzato con cuscini e coperte e ci facevamo portare in quota. Al ritorno facevamo colazione in un piccolo bar con brioches e ..grappa.
Dopo una decina di giorni tornammo a casa ma non andò tutto liscio. Nei pressi di Viareggio improvvisamente il sole che ci aveva rallegrato tutto il giorno, scomparve sotto un improvviso banco di nebbia. Mio marito guidava la macchina a passo d' uomo. Rallentò ulteriormente per far passare un' ambulanza. Allora successe l' inferno: la macchina dietro alla nostra fece un sorpasso. Ci su una carambola di macchine spaventosa. Noi fummo sbalzati a sinistra, finendo sullo spartitraffico, Se fossimo finiti sull' altra corsia sarebbe stata una catastrofe. Purtroppo ci furono feriti ed io sentii un
forte dolore alla nuca. Forse cominciarono allora le mie liti con le ossa. La riparazione della macchina costò un mucchio di soldi ma tornammo a casa sani e salvi, pronti a ricominciare a litigare. Litigando e facendo la pace siamo andati avanti, tutto sommato bene, per quarantadue anni.
Poi un tumore si è preso il mio Giovanni. E' passato più di un anno ed io sento la sua mancanza ogni giorno di più. Al polso ho l' orologio che aveva al polso lui, quando è morto. A volte gli chiedo: “Perché non torni qualche volta a litigare con questa vecchia sciancata? Dai, abbiamo fatto sempre la pace . Ora sarebbe ancora più facile.