Quando mi sembra che non sono io a parlare. Ecco quando succede.
Che mi ritrovo impegnato in conversazioni che non m’interessano, mi annoiano addirittura. Ma sembra che le parole escano da sole e se non fossi del tutto assente, direi che mi sto impegnando, che sto dando il meglio di me. Dal di fuori sembra così, che mi sta a cuore l’argomento di cui parlo e che va tutto bene. Ma non è così. Che non va bene niente. Ma dirlo mica è facile, che poi ti chiedono il perché e tu nemmeno lo sai bene il perché, ed allora parli del Pil, inflazione, l’ultimo libro letto. Cose così.
Perché a dire che in quei momenti sei due occhi che guardano e non capiscono, non suona bene. Per niente bene. Allora fai prima a parlare parlare parlare. Che tanto. Tanto dire, insomma, voi morirete e ve ne state tranquilli a fare conversazione. Cos’altro potremmo fare? Risponderebbero. Come dar loro torto. Forse sono io allora. Che ho un urlo in gola. E lì rimane. Che a dire fate qualcosa, morirete tutti, morite tutti, fate qualcosa. Ti prendono per pazzo. E allora muto come un pesce. Muto a parlare del mutuo a tasso fisso o variabile, dei paesi emergenti, dell’ultimo film visto.
Cose così.
Una volta ho ucciso un moscerino. Era piccolo. Piccolissimo. Splat. E’ stato un attimo. Non mi aveva fatto niente. Ero distratto, tutto qua. Perché parlavo non so di cosa. Come se mi interessasse. E lui era sul tavolino accanto al bicchiere. Ho bevuto e nel posare il bicchiere ho deviato la traiettoria. Non volevo fargli del male. Mi è dispiaciuto subito. Ho subito alzato il bicchiere. Ma non c’era più il moscerino. Solo un puntino nero un po’ più grande di un moscerino. Molto più sottile però.
Ho fatto finta di niente. Ho bevuto ancora. Campari, credo. Rosso. Era buono. Poi ho continuato, che me la cavo se mi ci metto. So anche condurre una conversazione, se sono così annoiato da non riuscire a star zitto. Ed ho parlato, come sempre faccio quando non posso dormire. E le parole vengono da sole, quando sto così, che se venissero allo stesso modo anche quando scrivo, sì, sarebbe bello.
Parlavo con l’urlo muto in gola e il moscerino spiacciacato sul tavolino. Nascosto dal vetro rosso del bicchiere e campari. E mi dicevo che bisogna stare attenti, me lo dicevo mentre parlavo, che se sei così distratto da poter uccidere un moscerino, devi tenerla a bada la tua distrazione perché non sai a cosa ti può portare. Tornare attento e in te, mi dicevo.
E me lo dicevo sotto le mie parole questo. Me lo dicevo all’orecchio. Perché ad alta voce parlavo.
Dell’importanza dell’inglese, internet e di quanto sia difficile fare un lavoro che ti piaccia davvero.
Di queste cose parlavo.
E loro sembravano ascoltarmi.