DA QUALCHE PARTE, OLTRE L'ARCOBALENO - ILVOLODELFALCO MARGHERITA BASSI

Il cielo, che gravava minaccioso a pochi palmi dalle teste, sembrava una pancia d'asino rigonfia. Il vento passava insistente a terra facendo alzare la sabbia, e lontano la boscaglia scricchiolava e gemeva. La jeep pareva un insetto acquattato in attesa di scattare addosso al pugno di militari che parlottava vicino.
Ma la mia attenzione era tutta concentrata sull’uomo di nome Mubo, che reggeva una mitragliatrice automatica AK e la sventolava con fare aggressivo sotto il nostro naso.
Eravamo tutti in fila, zitti ed immobili come piccoli soldatini di piombo. Le parole del grosso omone pallido ci risuonavano nelle orecchie come fossero mille tigri ruggenti e feroci. Non sapevo il motivo, ma sentivo il mio cuore esultare in ciò che diceva. Ci credevo, ci avrei creduto.
«Da oggi non siete più figli delle vostre madri! Ma figli del governo! Siete qui per servire il grande padre che ci guida, Than Shwe. Il grande re ha fatto molto per voi, considera ciascuno di voi dei suoi figli, vi stringerebbe al suo petto ad uno ad uno come dovrebbe fare un vero padre. Ed egli, da padre, si rattrista molto quando uno dei suoi figli si allontana dalle sue braccia gentili per prendere una cattiva strada. Da padre, vi chiede di unirvi a lui nel cercare di proteggervi l’uno con l’altro, perchè tutto ciò che gli importa è che siamo una unica, grande famiglia! In una famiglia si ci sostiene, si lavora e si combatte contro coloro che vogliono danneggiarla! Il nemico del governo non avrà speranze, perchè noi siamo forti, noi verseremo il loro sangue per proteggerci a vicenda! Per proteggere il grande padre che tanto ha fatto per noi!»
Il mio petto bruciava di una forza enorme. Il nemico del governo non avrebbe più minacciato nessuno, non avrebbe più ucciso nessuno, perchè io glielo avrei impedito. Esultai accanto ai miei compagni. Esultai come se io avessi vinto una guerra.
«A morte i nemici del governo!»
Un soldato in uniforme arrivò con una cassa coperta da uno straccio sudicio e la posò accanto a Mubo.
«Allora, figli del governo, chi vuole essere il primo ad avere in mano il simbolo della nostra lotta?»
Improvvisamente si fece silenzio. Tutti noi ci intimidimmo, perchè in realtà non sapevamo bene che cosa ci aspettasse. Guardai l’uomo in divisa mimetica, la sua faccia feroce e giovane, un sorriso che non riuscivo ancora a capire.
«Tu» e mi indicò con un gesto perentorio. Io mi ritrassi involontariamente di fronte a quella mano immensa diretta verso di me.
«Tu, fai un passo avanti.»
Le mie gambe si mossero da sole, di certo era la paura terribile a guidarle.
«Qual è il tuo nome?»
«Myan»
Il soldato mi squadrò con i suoi occhi voraci. Mi accorsi solo in quel momento che gli mancava un dito.
«Myan… in onore della nostra beneamata madrepatria? Questo nome ti darà fortuna, benedirà la tua vita e quella dei tuoi figli se lo porterai bene!»
Mubo sembrava contento. Tirò fuori dalla casacca di tela pesante una fiaschetta metallica dal contenuto indefinibile, bevve una lunga sorsata e poi me la porse. Le mie mani erano paralizzate.
«Coraggio, si deve festeggiare! La nostra madrepatria durerà a lungo, se tutti i bambini inizieranno a portare quel nome!»
Io presi il recipiente con mani tremanti, lo portai alle labbra e le mie narici catturarono un odore di alcool misto a bambù, e mi venne da vomitare. Ma tutti mi guardavano, quindi mi feci coraggio e bevvi una lunga sorsata. Iniziai a sputacchiare e a soffocare come se avessi inghiottito un serpente velenoso. La risata dei soldati mi risuonava nelle orecchie molto forte e distorta, e mi sentivo goffo e impacciato nei movimenti.
Il soldato nero si avvicinò di nuovo a me sorridendo e battendo le mani.
«Tu si che sei un duro! Andrai lontano. Già ti vedo capitano del tuo gruppo!
Vuoi questo vero? Servire il governo ed uccidere i nemici per il grande padre?»
«Sì»
La testa mi girava forte, ma mi sentivo più coraggioso. Io ero stato scelto tra tutti i miei amici, io avevo superato la prova, io volevo essere un soldato!
Mubo, sempre sorridendo, prese dalla cassa una mitragliatrice più piccola della sua, più leggera. Più a misura di bambino.
«Questa, ragazzo mio, è l’arma con cui combatterai i nemici del governo. E’ potente, è precisa, e vuole bere il sangue dei traditori.»
Rimasi incantato a guardare l’arma come se fosse il giocattolo più bello mai visto. Il metallo lucido era un po’ ammaccato, è vero, ma la luce gli rimbalzava sopra come se fosse stato uno specchio. L’arma era munita di una fibbia per imbracciarlo più agilmente che pendeva inerte sfiorando il terreno.
Io la guardavo con desiderio, e sapevo che i miei amici mi stavano invidiando. Questo mi fece sentire ancora più coraggioso.
«La userai contro i nemici del governo? Contro i traditori della nostra terra, che entrano nelle case ed uccidono donne indifese e bambini in fasce senza provare pietà?»
«Si!»
«Non aver pena per loro, come loro non ne avranno di te!»
Poi mi mise a tracolla la fascia di plastica, e mi mise in mano la mitragliatrice.
Ed io mi sentii un eroe.

Badu mi passò lo spinello con grazia sognante. Io mi accomodai meglio sopra il materasso sgangherato che faceva da letto, poltrona e molte altre cose. Ero in fermento, aspettavo una risposta dal capo. Se tutto andava bene, il giorno dopo avrei partecipato alla mia prima battaglia. Non vedevo l’ora di poter dimostrare tutto il mio valore, e non vedevo l’ora di vendicare gli amici morti in onore del governo.
Aspirai con gesto ormai abituale la mistura di cannabis male assortita. Poi sentii il mio nome.
«Myan! Dove sei, sottosterco di pulce!»
Scattai sull’attenti all’entrata di un mio superiore, un uomo con una folta barba grigia e un orecchino d’oro.
«Domani sei dei nostri. Ma ti faccio tenere d’occhio, quindi attento a quello che fai. Potresti rimediarci un premio come una bella punizione. Ci siamo capiti?»
«Sissignore!»
«Allora molla quella merda e vai a contare le munizioni assieme a Diba! Cosa stai aspettando?»

Il giorno dopo ci alzammo all’alba. Aprii gli occhi con uno sguardo sonnacchioso, come potrebbe fare un bambino di undici anni che è rimasto sveglio tutta la notte per l’eccitazione.
Ma mi alzai in fretta, pronto a schivare lo stivale chiodato di un ufficiale che era venuto a darmi il benvenuto nel gruppo.
Sorrisi a Badu, addormentato. Avrei voluto salutarlo ma era inutile che lo svegliassi per niente. Entrai nel magazzino, indossai i pantaloni di tela mimetica, pesanti stivali con le borchie, una giubba nera e un giaccone verde enorme. Probabilmente mia madre si sarebbe messa a ridere nel vedermi.
Mia madre.
Strinsi i denti chiudendo l’ultima fibbia della cintura, e mi feci male. Bestemmiai ad alta voce, perchè sapevo bene che era colpa mia. Ero un soldato, non potevo essere così debole da pensare ancora alla famiglia! Poi sarebbero stati fieri di me, se avessero saputo cosa mi aspettava.
Mi morsicai forte la lingua per non piangere. Poi presi il cappellino rosso che faceva così a pugni con i miei capelli neri ed il mio viso olivastro, ed uscii dalla baracca. Respirai a fondo l’aria umida e impregnata di odori buoni, e mi sentii meglio. Avrei fatto in modo di rendere i miei genitori orgogliosi di me.
«Cosa fai lì impalato senza far niente? Cosa credi, che sia tutta una passeggiata? Vai a caricare quella camionetta con i sacchi! E muoviti!»
Gettai fuori dalla bocca un sissignore, e correndo mi precipitai a caricare sabbia sul furgone.
Una volta finito, mi guardai attorno ansimando. Proprio in quel momento risuonò il fischietto insopportabile del piccolo tenente che chiamava all’adunata.
Corsi a prendere l’arma che mi spettava, la mia fiera mitragliatrice, e mi misi sull’attenti assieme agli altri soldati scelti per la spedizione, aspettando che l’ufficiale al comando facesse l’ispezione.
In quel momento sentii le prime gocce. Quando vivevo con la mia famiglia, amavo correre fuori quando pioveva e giocare a pallate di fango con il mio migliore amico.
Concentrati. Concentrati.
Il comandante, un uomo basso e ben piantato con due labbra sottili, si mise a passeggiare in silenzio per la fila di soldati disposti secondo una precisione millimetrica. Guardando le sue mani, ricordai con rancore di averle prese più di una volta da lui.
Il comandante parve soddisfatto, perchè ordinò che ci facesse partire.
Lui, naturalmente, non sarebbe venuto.
Passai tre ore abbarbicato sopra un bidone di latta, in un camion dal tetto scoperto, in compagnia di altri quindici soldati. A labbra chiuse canticchiavo una canzone che mi sussurrava mia madre per farmi addormentare.
Quando ero piccolo.

Somewhere over the rainbow way up high
There's a land that I heard of once in a lullaby
Somewhere over the rainbow skies are blue
And the dreams that you dare to dream really do come true

E nemmeno me ne accorsi, quando successe.

Somewhere over the rainbow bluebirds fly
Birds fly over the rainbow
Why oh why can't I

Le orecchie mi esplosero in miliardi di pezzi di metallo, poi più niente.

Why then oh why can't I