TRA CASTAGNOLE E VILLE - ILVOLODELFALCO MARGHERITA BASSI

Mi sento sempre attratta dai posti dove sono vissuta, le case e i loro dintorni. I profumi, i colori, i sapori. C’è una motivazione forte in questa attrazione.
Questi posti, dove sono nata e cresciuta, sono principalmente due.
Da una parte c’è la Liguria, con le sue scogliere a picco, il mare cristallino e i pini a precipizio sull’acqua.
Dall’altra c’è la provincia di Reggio Emilia, che è combattuta tra gli infiniti campi profumati e la maledetta via Emilia che riempie ogni giorno di smog il cielo.
Amo questi due posti. Queste due realtà così differenti, che però mi hanno coccolato, amato e sopportato. Mi hanno tenuto d’occhio e mi hanno vegliato. Si, provo affetto per questi luoghi. Perchè so che oltre alla carne, e al sangue, e all’anima, sono fatta anche di salsedine appiccicata alla pelle, di stelle marine e ricci presi con le mani, di corse nei campi di grano e di esplorazioni nella villa dei vicini (per cortesia, non diteglielo!). Quanti ricordi ho raccolto in questi posti! Da quali cominciare?

Vediamo. Sono nata a Genova xy anni fa. E dalla mia nascita, regolarmente almeno tre mesi all’anno li passavo sulla costa ligure, in una piccola roulotte che chissà come ci teneva dentro tutti e cinque. Tutti e sei, quando è arrivato l’ultimo (grazie al cielo) fratello. Ho passato le estati della mia vita tra i belin e i fijue, tra i bagni sempre più al largo, tra i giri in gommone con mio padre ed i miei fratelli a pescare fino a tardi. Non esistevano i cellulari, e al ritorno trovavamo la mamma infuriata che ci aspettava sulla spiaggia. Ogni volta ripeteva che prima o poi sarebbe morta d’ansia.
Io pescavo con il bollentino, un pezzo di sughero con avvolto attorno del filo, e anche quando non prendevo niente mi divertivo da morire. Se poi prendevo un’orata, o un sarago, o una buga, facevo delle urla che mi sentivano fin dalla costa. Se prendevo una castagnola, beh, erano i miei fratelli ad urlare e a prendermi in giro. Si sa, le castagnole sono come i bulaj, o come i tordi, hanno un sapore davvero cattivo. Arrivati al campeggio, finiva poi tutto sulla griglia a gas, pure le mie castagnole che per orgoglio personale non avevo ributtato in mare. Ma che poi mi rifiutavo di mangiare e finivano di rima nelle pance dei gatti dei vicini di tenda genovesi.
Una volta provai a pescare con la canna, ma dopo aver preso con l’amo il dito di mio fratello mio padre mi rimise subito in mano il pezzo di sughero. Da quella volta, rinunciai alla carriera di pescatrice d’altura.
Poi amavo le koreane, ed il loro odore. Si, quei millepiedi che servono per pescare, che si divincolano in modo angoscioso e che fanno urlare le brave ragazze. Quelle che ti mordono se non tagli prima la testa. Mio fratello le teneva in frigo, ed ogni volta mia madre gli urlava dietro perchè avevano una puzza tremenda.
Poi quando mio padre pescava i polpi, era uno spasso. Mi si appiccicavano dappertutto, e più si appiccicavano alle mani e alle braccia più io ridevo.
Crescendo ho apprezzato sempre di più l’abbraccio del mare, la morbidezza con cui avvolge il corpo e lo culla. Questo è di gran lunga il mio posto preferito. Sono sempre stata convinta sin da piccola che il mare non mi avrebbe mai fatto soffocare od annegare. Che non poteva succedermi niente, finché ero con lui. Avrei anzi voluto trasformarmi in un pesce, e scappare via, soprattutto nel periodo dell’adolescenza dove niente sembra funzionare e dove tutto è giù di posto. Lui, il mare, per me c’era sempre, ed era bello. Era meno bello quando era un po’ in burrasca, e se entravo mi cappottava senza pietà facendomi sfregare le ginocchia sui sassi e togliendomi il fiato. Ma pensavo che forse era semplicemente incazzato per i cavoli suoi. E alla fine facevamo sempre pace.
Poi, se la giornata era no, sparivo sola per i sentieri collinari, sempre nuovi e meravigliosi anche se battuti decine di volte. Più vai su, più le voci della spiaggia, il casino, la confusione commerciale, i coccobello, le urla si fanno ovattate, morbide, quasi come entrare in una bolla di sapone che addolcisce tutto. I sentieri sono faticosi, infatti non c’è mai nessuno. Ma c’è pace, c’è silenzio, c’è profumo di pigne e resina che si appiccica ai vestiti, è come essere ritornati a casa. Poi ci sono i tagli nella vegetazione, i pini si diradano di colpo e… il mare!! Vicino e immenso, luccicante, da abbracciare. Non è lo stesso mare che si vede dalla costa. Questo è un mare da Leopardi.
Dopo una o due ore arrivi su, in vetta. Per le colline liguri la vetta è un gruppo roccioso che precipita per minimo trecento metri, a picco, e dove la visione sul mare è a centoottanta gradi. Da mettersi pericolosamente in piedi, alzare le braccia e sognare di volare. Non so esattamente quante volte ho rischiato di perdere l’equilibrio, ma ho ricordi stupendi di quei voli.

Poi sì, c’è anche l’Emilia. Dove passavo i restanti otto o nove mesi, e dove vivo tuttora. Amo dire che abito nella depressione più depressa dell’Emilia Romagna. Sono abbracciata a nord dalla via Emilia e dagli appennini, a sud dall’autostrada e dalle alpi. Il resto è campo, paesino, campo, paesino. Sono cresciuta a cappelletti, tortelli di zucca e di spinaci, parmigiano reggiano (mica parmesàn), ciccioli e si, anche qualche magra minestrina.
No, scherzo. I cappelletti ed i tortelli erano, e sono, solo da giorni importanti. Perchè sono cibo e tradizioni da poveri. Sono da quando la bisnonna uccideva una gallina all’anno, ed il brodo lo faceva con le zampe e la testa. Sono di quando i nonni spiumavano il cappone a mano, e noi giocavamo con le penne e facevamo gli indiani. Per me i tortelli rimangono tortèi, e i cappelletti caplèt. Giovanni Rana per dei nomi così pagherebbe oro. Sanno di casa mia, e questo vale tutta la ricchezza del mondo.
E le esplorazioni di Villa Valcavi, io ed i miei fratelli, ne parliamo? La mia casa ha il giardino che confina con una delle ville più belle e meno curate della provincia. Questa villa ha una… boscaglia attorno, una giungla, una amazzonia di canne di bambù e piante enormi, un territorio ampio almeno 300 metri quadri. E’ uno dei posti più affascinanti e misteriosi che io abbia mai visto. Ha stimolato per anni ed anni la mia fantasia, e sono certa che sia sua la colpa per la mia tendenza a scrivere storie di grandi palazzi e di splendidi giardini. Insomma, galeotta la villa.
Non sto a spiegare le avventure passate all’interno del giardino della villa, in cui entravamo attraverso la rete sfondata del nostro giardino, ma quando i miei genitori lo scoprirono ci prendemmo tutti una enorme sgridata.

Una marea di ricordi, una marea. Non penso basterebbero tutte le scatole o tutti i forum del mondo a contenerla. Si, mi sento sempre attratta dai posti dove sono vissuta, perchè mi hanno strappato via un pezzo di me. Ed ogni tanto, mi sento in dovere di andare a ritrovare la parte di me che è rimasta lì. Accoccolarmi lì vicino, chiudere gli occhi e semplicemente sorridere.