A 179614 - ILVOLODELFALCO MARGHERITA BASSI

«Come ti chiami?»
Io abbassai gli occhi.
Glielo dissi.
Il dottore congedò l’interprete ed iniziò a visitarmi. Mi sentì il cuore, mi mise attorno al braccio una fascia che si gonfiava, poi mi ordinò di aprire la bocca. Guardò a lungo, poi scosse la testa. Senza dire nulla, uscì dalla stanza e chiamò un uomo vestito da infermiere. Poi indossarono ampi vestiti verdi, mi fecero una iniezione ed io mi addormentai.
Mi risvegliai frastornato, con un grande mal di testa e la nausea. La gola mi faceva davvero male. Ogni tanto passava un infermiere a controllarmi la sacca del flebo, ed in realtà non avevo idea dello scorrere del tempo. Forse era passato un giorno, forse dieci.
Poi un pomeriggio, non so davvero bene quando, mi fecero alzare. Mi diedero dei vestiti puliti che odoravano di disinfettante ed un paio di scarpe di tela rovinate. Mi guardavano sorridendo, e io mi tranquillizzai. Mi avrebbero di sicuro riportato da mia madre.
Mi accompagnarono in una casetta di legno, con sopra scritto a vernice il n.10. Fu con grande sorpresa che dentro mi ritrovai circondato da altri bambini. Alcuni più grandi, altri più piccoli, eravamo in almeno una ventina. In realtà non capivo una parola, perchè erano tutti stranieri, ma erano gentili. Mi fecero spazio in un loro letto, mi riempirono di sorrisi e di parole incomprensibili. Riuscii a capire il nome di qualcuno, ma altri erano troppo difficili da ricordare. In particolare feci amicizia con un bambino ed una bambina, che sembravano molto amici fra di loro e sembrava si capissero molto bene. Lei aveva i capelli ricci e biondi, lui un sorriso molto simpatico. Si chiamavano Georges e Jaqueline.
Nella baracca numero dieci stavo abbastanza bene, ci davano buon cibo, acqua per lavarci e coperte pesanti.
Anton e Dirk si prendevano cura di noi. Erano paterni e buoni, e cercavano di farci qualche sorpresa divertente appena potevano. Si vedeva che si erano affezionati a noi. Il 25 dicembre, con nostra enorme sorpresa arrivò addirittura Babbo Natale, e per la nostra gioia aveva dei piccoli regali per noi. Un bambino ricevette un paio di occhiali, una bambina una bambola di stracci, e a me diede tre monete di cioccolato ed un soldatino di piombo.
Ma un giorno, mentre stavo cercando di fare una treccia maldestra ai capelli di Jaqueline, entrò nella stanza un signore sorridente con un camice bianco e guanti di lattice, assieme ad altri due uomini che avevo già visto. Ci zittimmo tutti, quelle persone ci mettevano molta soggezione.
Sempre sorridendo, il dottore mi invitò a seguirlo, assieme ad un altro bambino più grande di me. Ci portò in un grande ambulatorio, dove tutto brillava come specchio. Ci fece spogliare e ci visitò a turno, ed ogni tanto annotava qualcosa su di un foglio pieno di righe. Ci parlò con voce gentile, e anche se non capivo mi sentivo rassicurato. Poi fece una cosa strana. Prese un coltellino brillante, e sempre rassicurandoci con parole gentili, aiutato da due infermieri ci fece dei piccoli tagli sotto le ascelle e con una siringa fece colare qualche goccia sulle ferite. Poi, sempre sorridendo e parlando con voce calma, ci bendò e ci fece tornare nella casa di legno con il numero dieci.
Il giorno dopo toccò ad altri due bambini, e così finché tutti attraversammo la porta del dottore, e ci specchiammo tutti nella lucidità del suo laboratorio.
I tagli sotto le ascelle bruciavano da morire già dopo un giorno. Non mi facevano dormire, e sentivo che altri miei compagni si rotolavano nel letto senza riuscire a prendere sonno. Io stavo peggio di giorno in giorno. Ogni tanto il dottore mi portava nel suo laboratorio splendente e lucido, mi alzava le ascelle, scriveva qualcosa sulla sua tabella e con un sorriso gentile mi rassicurava. Tutti i giorni mi faceva alzare le ascelle e mi fotografava. Io e gli altri bambini non capivamo perchè quel dottore si interessasse così tanto a noi.
Un giorno mi chiamò nel suo lucidissimo laboratorio, e con lui c’era un altro medico nuovo. Il nuovo dottore aveva una faccia stanca e ci guardava pieno di compassione. Mi fece una puntura, mi addormentai e quando mi svegliai mi accorsi che mi avevano fatto un taglio molto grande sotto le ascelle, avevo anche i punti. Poi mi fecero tornare nella casa numero dieci, assieme agli altri bambini. Passammo qualche giorno in tranquillità, a parte il fatto che io e i miei amici non stavamo molto bene. Avevamo tutti una tosse molto forte, febbre e ci stancavamo molto presto.
Poi un giorno entrarono nella baracca il dottore, due infermieri e i due uomini che si erano occupati di noi. Il dottore parlava agitato con un infermiere, e non sembrava felice.
L’altro infermiere ci chiamò vicino, poi disse in varie lingue, in modo che tutti potessimo capire:
«Chi vuole rivedere la mamma?»
Eravamo tutti molto sorpresi e felici, ci mettemmo a sorridere ed addirittura qualcuno di noi rise.
Mentre salivo sul camion assieme agli altri bambini, vidi di sfuggita una donna.
Riconobbi la serva del dottor Heissmeyer. La salutai con la mano, ma lei non ricambiò. Si fece il segno di croce velocemente, poi continuò per la sua strada. Non avrei mai saputo che aveva letto la risposta al messaggio del comandante Max Pauly. Lei sapeva cosa ci aspettava.
Aveva un viso schiacciato, un grembiule a righe, un vassoio sotto il braccio. E' l'ultima donna di questa storia.