CAFFE' INQUINATO - GIBBI' GIUSEPPE BUSCEMI

«Solo sognando e restando fedeli ai sogni riusciremo a essere migliori e, se noi saremo migliori, sarà migliore il mondo»
Lei e i suoi messaggini edificanti... Oggi è il turno dei sogni, e di un mondo migliore. Migliori noi, migliore il mondo... Che banalità! Che asinità! ... “Piaciuto il messaggio?” ti chiede poi. E pretende un commento, t’ingaggia in una disputa da cui esci soltanto dopo aver ceduto le armi, che tu abbia espresso un punto di vista oppure no.
Altro che un messaggio: un massaggio, mi ci vorrebbe, alle meningi, e uno per lei alle gengive, con le nocche.
Ma non è solo fastidioso, questo suo umanitarismo sfrontato, questo nudismo dell’anima pia: è insidioso, come i sogni. Del resto, chi applicherebbe censura ai sogni? I sogni sono innocenza bambina, sublimazione incontestabile; sono il sacro, il trascendente. E lei te li trasforma in azione, del singolo e poi collettiva, ne fa un plausibile, riscattato agire di massa.

– Fa freddo stamane. Sono gelato.
– Fa freddo sì!
– C’entra, il freddo, col buco nell’ozono?
– Non lo so. Tu faglielo entrare.
– Allora c’entra.
– Se lo dici tu...
– Comunque con ’sto tempo non si vedrà nessuno.
– Probabile.
– Speriamo non sia tutta fatica sprecata.
– Siamo in prima linea. Non volevi stare in prima linea...?

«... riusciremo a essere migliori...» E di fronte a chi? Con quale metro?, quello dell’assolutezza dei sogni? Ma vi è purezza nei sogni? E cos’è la purezza? Una depurazione? Una disinfestazione? Una sterilizzazione? O un filtro, se non addirittura una risultanza ammaestrata?
La purezza assoluta.
Il sogno come assoluto, come divinità.
Gli assoluti mi impensieriscono.
Voglio cambiare il mondo! Sul serio? No. Voglio cambiare marca di caffè. Se bevessi un caffè migliore, migliore sarebbe il mio umore, io stesso sarei migliore e sarebbe migliore il mondo. Un caffè migliore per un mondo migliore.
Il destino del mondo è nel caffè.

– Vado a prendere i caffè.
– Sì, un caffè ci vuole. Siamo qui da tre ore...
– Macchiato, il tuo?
– Macchiato. Mi darei alla macchia, d’altro canto.
– Dici sul serio?
– Forse.
– Quante ne abbiamo raccolte?
– Hm... trenta... trentadue.
– Speravo meglio.
– Anch’io.
– E ieri?
– Ieri settantaquattro.
– Vado a prendere i caffè.
– Vai.
– Tu fermali, nel frattempo, convincili, costringili... Dagli una botta in testa, se necessario...

Piove, governo ladro, e i mari sono inquinati e le falde sono inquinate e pure l’atmosfera è inquinata da quando vado scorreggiando i miei pensieri. Apriamo una finestra, una finestra sul mondo e miglioriamolo migliorandoci. Un circolo virtuoso, dove si gioca d’azzardo per donare tutte le vincite in beneficienza. Una tombola missionaria, una pesca miracolosa per i nostri fratelli meno fortunati. Per noi. Per un mondo migliore. Vota Antonio. Sogna Antonio. Antonio sogna, sogna un mondo migliore: aiutalo a costruirlo. Aiuta Antonio. Migliora Antonio. Migliora il mondo.
L’etica del sogno. L’estetica del sogno etico. L’estetica del giusto. Lo faccio per voi. Penso per voi. Agisco per voi, per migliorarvi e di conseguenza migliorare il mondo. Per il mondo, lo faccio per il mondo. Yes, I can.

– Caffè macchiato pronto!
– Grazie, sei una persona egregia.
– Raccolto niente?
– No. Uno c’era quasi. Poi è scappato via dicendo che faceva tardi a un appuntamento.
– Il mondo ha troppa fretta.
– Forse.
– Sì, ha troppa fretta. Fugge. Ha paura.
– Magari è solo distratto. Oppure il tizio che è scappato era uno stronzo.

Il buono diventa bello. La missione diventa bello. Scambiamoci il bello, scambiamoci messaggini buoni e belli. Doniamoci baci e abbracci e poi ancora messaggini, belli e buoni, sognanti e sovversivi. E non è più tempo di detersivi: inquinano. Firma anche tu per chiedere le dimissioni dei detersivi. La guerra non si vince coi diversivi e non basta rimanere vivi: mi avevi detto che aderivi, che firmavi... Firma, allora, subito. Vogliamo il mondo e lo vogliamo adesso. Migliore. Anche se questa è la fine – la mia unica amica – la fine. È la fine del mondo come lo conosciamo, la fine del mondo in ottanta giorni. Un sogno lungo ottanta giorni: undici settimane e mezzo. E, in mezzo a ’sto disordine, sto io: ’sto io. ’Sto io che... boh!
Io non ho sogni. Non più, se mai ne ho avuti.

– Arriva Marisa.
– Ciao fanciulli.
– Ciao Marisa.
– Stanchi?
– Un po’.
– Allora... quante firme, oggi?
– Quarantotto, per adesso.
– Pochine!
– Già.
– Ricevuto il messaggio, Marco?
– Sì, Marisa.
– Piaciuto?

Non dovrei devolvere il mio numero di telefono così allegramente. È imprudente. Lei è imprudente. Lei non mi prude più, non mi fa sognare, non è uno di quei sogni cui restare fedeli allo scopo di migliorare il proprio mondo, allo scopo... Scopo? Io non... io non ho scopi. Non più, se mai ne ho avuti.