DICK E DOLLY - GIBBI' GIUSEPPE BUSCEMI

Annusando qua e là pattume di prelibatezza discontinua, Dick saggiava svagato i contorni della metropoli. Non rischiava gli incroci più selvaggi, che qualche amico gli avevano travolto, e scansava gli ingorghi e i fumacci niente affatto graditi alle sue nari.
Alieno al grigiore cui Dick era ammaestrato, lo scenario si rivelò dietro un cantone qualunque e si offrì come il Giardino dell’Eden. Benché bianca candida, la cagnetta – era lei, il portento – evocò un arcobaleno stagliato ad arte su verdi, morbide colline ai cui piedi, ruffiano, un ruscelletto scorreva e irrigava alberi prodighi di pomi rigonfi; e d’intorno: praterelli tosi accoglievano fiori smaglianti e fermento d’insetti.
Invitata dalla trance dell’ammiratore, la pelosetta abbozzò ammicchi non privi di contegno. Aveva giusto risolto un bisogno minore e mandava zaffate che attraversarono il naso di Dick e diedero fiato agli ottoni. L’assalto fu ovvio.
«Ciao tesoro, io sono Dick, felice di conoscerti. Tu com’è che fai, di nome?»
«Insolente...! Io non parlo agli sconosciuti.»
Collarinata, tolettata, codamozzata, la cagnolotta manteneva le distanze, ma pure lasciava aperto uno spiraglio alle mire di Dick.
«Bambola, non fare la difficile» disse lui, e la fiutò, diritto alla fonte dei miracoli.
«Ehilà, che ti intrighi? Che armeggi?»
«Ti sto rivolgendo delle sane e robuste attenzioni. Esplicite, ma sincere.»
«Fanfaronaccio, con chi credi di avere a che fare?»
«Con la prima ministra della beltà, con l’amministratrice delegata del fascino, con l’assessoressa all’amabilità, con la soprintendente per i beni voluttuari e sensualistici...»
«Quanto sei frivolo...! prevedibile, borioso, banale, trito, ritrito...»
«Alt!»
«Frivolo.»
«Vedi, mia cara, ...»
«Borioso.»
«La mia, è solo irruenza, è l’inarrestabile naturalezza del desiderio.»
«Prova con una doccia fredda.»
«Non essere brusca, e dimmi come ti chiami. Facciamo un po’ d’amicizia...»
«Mi chiamo Dolly e non cerco amicizie.»
«Dolly...! Dolly! Che nome! Giustissimo per il tuo personale.»
«Cosa pensi di ottenere con queste carnevalate?»
«Ma che vai elucubrando? Io ho asserito ciò che pedestrequamente cogito. E poi, di sicuro, anzi di sicurissimo, non ignori d’essere una cagnetta entusiasmante.»
«Ciarlatano.»
«Mi piaci così rabbiosa!»
«Rabbioso sarai tu!»
«Graziosa...»
«Adulatore senza stoffa.»
«Sei più bella del sole e ti amo.»
«Che inventiva! che ingegno!»
«Insomma, basta! Continui a prenderti gioco del mio spasmodiare e non è politicamente né cinofilamente corretto. Io... sono pronto a giurarti dedizione e fedeltà in eterno. Sarò il tuo Fido per sempre.»
«Questa poi!»
«Mettimi alla prova e vedrai.»
«Senti un po’, Fido...»
«Dick, mi chiamo Dick.»
«Ehi...! Ehi! Pussa via! Cos’è ’sta confidenza!»
«Scusa. Scusa. È che mi fai perdere il controllo.»
«Controllarsi è importante. Ed è dei migliori»
«Ma sono bollito di passione, e non connetto più.»
«Fatti un giro che ti passa.»
«Vedo bene che mi respingi irrevocabilmente. Non mi resta che una soluzione.»
«Sì? Quale?»
«Mi lascerò morire d'inedia.»
«Burlone!»
«Che sciagura l'amore! Mi domando perché tutto questo doveva accadere proprio a me. Povero, povero me!»
«Tu sei matto.»
«Di te, sono matto. E tu mi disprezzi, mi reietti...»
«Senti, Fido...»
«Dick, mi chiamo Dick.»
«Senti, Dick...»
«Dimmi, Dolly...»
«Ci siamo conosciuti appena qualche minuto fa. Una cagnolina deve essere cauta. È un fatto di stile, e di amor proprio.»
S’ammorbidiva, Dolly s’ammorbidiva. E lo guardava, negli occhi. E come lo guardava!
Dick ardì: l’abbordò, la mordicchiò, l'annasò, la leccò; lei, dolcemente sconcertata, presa alla sprovvista, si scostò e rimostrò: «Allora sei proprio un villano! T’approfitti delle mie virtù cortesi.»
«Ma quando mai!»
«Basta, è ora che me ne torni a casa.»
Disse così, Dolly, ma era chiaro che desiderava essere trattenuta.
«No, non andare via, ti prego» fece Dick, «non abbandonarmi al freddo e all'indifferenza del mondo: non hai pietà di una creatura annullata dal sentimento? Ti scongiuro, fermati!»
E se non si fermò, tuttavia Dolly rallentò alquanto, plasticando i sobbalzi delle tergora.
«Devi essere mia» l’arrembò Dick, «ti bramo, porco cane come ti bramo!»
Lei sulle prime provò a defilarsi. Poi si fece vaga. Poi sempre più consenziente.
C’eravamo quasi, per Dick. Giocondo, stava per cogliere nel segno, quando Dolly domandò: «Ora che ci penso, ma tu di che razza sei?»
«Ehm... di una razza particolare, molto particolare. Ma non pensiamoci, adesso...»
«Invece voglio parlarne.»
«Beh, si dice: se il cavallo è buono e bello, non guardar razza e mantello.»
«Che razza?»
«Il cavallo? Oh, ce n’è tante, razze di cavallo... ma che c’importa?»
«No: che razza, tu.»
«Io? ... di razza canonica, se vogliamo, ma certo non prelatizia.»
«Come si chiama? Le conosco, le razze.»
«Si chiama... Plobter.»
«Come?»
«Plo... Ploxter.»
«Mai sentita.»
«Insomma!» abbaiò spazientito Dick mentre quei discorsi gli rammollivano l'ardore, «che razza d'importanza vuoi che abbia la razza?»
«Eh no! a certe cose ci tengo. Mostrami il pedigree, per favore.»
«L’ho perso.»
«Se le cose stanno così, mi dispiace» disse lei sdegnosa, «me ne torno a casa.» E lo fece, stavolta. Proprio.
Dick ci restò. Restò in asso. E due di coppe.
Tornò sui propri passi, rassegnato. Giunse all'angolo della visione amena. Vi si fermò. Alzò una zampa e urinò.
Passava di lì un altro cane, un amico.
«Ciao Dick.»
«Ciao Rick.»
«Come va?»
«Bah, la solita vitaccia.»
«Sto andando in centro. Mi fai compagnia?»
«No, Rick, fa troppo smog, là.»
«Dài, vieni. Ho appuntamento con due tipe di classe... due cockerine linde linde»
«Ti ringrazio, Rick, ma l’aria del centro non fa per me, davvero.»
«Come vuoi, Dick. Ci si vede.»
«Ci si vede, Rick.»