IL DUBBIO - G&F GIAMPIERO PIERI

Il cielo, che gravava minaccioso a pochi palmi dalle teste, sembrava una pancia d'asino rigonfia. Libero amava molto l’asino, sorta di grosso paziente cane con orecchie lunghissime, capace di amicizie immeritate per i bipedi in brache di tela. Gli assomigliava anche un poco, sempre in cerca di una zolletta di zucchero. Quello che sovrastava Manhattan però minacciava ora di mollare un suo torrenziale bisognino piscioso su tutta la città, così senza ritegno, come la categoria asinina tutta è solita fare. E Libero non aveva neanche l’ombrello. Pensava che lì, in quella città che andava a tremila, sarebbe stato troppo fuori moda. Divenne nervoso, perché sì, un ombrello a Manthattan sarà anche fuori moda ma se l’avesse avuto con sé oggi sarebbe stato molto meglio. Cercò riparo dal primo scroscio dentro un bar.  Quella città non gli voleva bene. Lo faceva sentire fuori posto, inadeguato. Phase out. Lo rigettava nel secolo da cui era venuto. Tutto gli sembrava grigio piombo, ma non soltanto per la tempesta in arrivo.
Era arrivato lì solo seguendo una sua idea, strampalata. Incontrare Mark Zukenberg al congresso su internet. Mark Zukenberg, il genietto ventenne di Harvard, l’ideofondatore di Facebook. Incontrarlo per dirgli cosa? Lui, così anacronisticamente spaesato e incapace di risalire sul treno del tempo, rappresentante tipico di un pensare ormai scavalcabile dalla prassi, avrebbe saputo porgli la domanda originata dal dubbio che lo arrovellava da giorni? O avrebbe fatto la solita figura del povero stronzo, moderna definizione di scemo totale? Se anche avesse avuto l’occasione di parlare, cosa avrebbe potuto dirgli, a un genio della modernità, lui?
La tua idea è bellissima, ma te l’hanno scippata, caro mio. Non ci sono molte alternative. Gli avrebbe gridato, giù dalla platea. E poi?

Chi controlla le informazioni controlla il mondo, lo guida a suo piacimento. L’informazione è più forte dell’atomica. Per essere ben informati servono miliardi di notizie, incrociarle tra loro, sapere tutto di tutti. Sapere come si muove la gente, come la pensa. Si possono fare un mucchio di cose, disponendo delle giuste informazioni. Si possono destabilizzare interi paesi, a vantaggio di un solo stato. Vietnam, Cambogia, Ungheria, Polonia, Tibet.
Argentina. Secolo scorso, pochi anni addietro. Nelle Agenzie per i rapporti con il Sudamerica, dovevano inventarsi sempre cosucce nuove per sapere come soffiava il vento, sapere in che direzione girare il timone, difendere  il mercato orientandolo nel verso giusto. Strumenti semplici, a basso costo, ma impegnativi. Corruzione sistematica delle amministrazioni, impeccabilmente contabilizzata per non sforare il budget. Stanze attrezzate con ferri non sterili in cui estrarre qualsiasi informazione ad un interrogato, insieme al suo respiro stremato destinato a non ricongiungersi più col suo sangue vitale, a sparire con esso nel nulla. E gli orfani ad allietare la casa del carnefice, come se nulla fosse stato, prima. La paura. Oppure altre tecniche, amichevoli, talmente subdole da non sembrare di essere soltanto dei banalissimi metodi per tracciare l’esatto profilo di un interrogato, conoscerne gli amici. Denuncia inconsapevole. Chi è amico di chi. Le loro aspirazioni. Il vecchio Freud non era che uno strampalato ragazzone in confronto. Un genio ingenuo.

Dicono che anche tu sia  un genio, Mark, un geniaccio di quelli moderni, e di fatto hai ideato uno strumento rivoluzionario. Uno strumento incruento, che ha reso obsolete le stanze per gli interrogatori. Roba da medioevo, e poi puzzano. Si risparmiano anche un bel po’ di soldi. Sì è vero, qualche onesto aguzzino avrà perso il suo posto di lavoro, ma questa è l’economia moderna. Abbattere la spesa pubblica, lo dicono tutti.

A Libero era arrivato un poke. E dopo un po’ un altro, un invito, altri inviti. Gli mandassero piuttosto una scatola intera di pocket coffy, eh eh eh, al posto di tutti quei pokes o invece di scrivergli continuamente sulla bacheca. Dopo l’ennesimo poke si decise a rispondere. Era il suo amico Gianni che voleva sapere se in città aveva visto la locandina dell’ultimo concerto dei Nomadi. Certo che sì, l’ho vista, ci andrei volentieri, mi ricordano tanto i vecchi tempi delle feste dell’unità. Poi rispose a Lorenzo per confermargli che avrebbe fatto un saltino ad un incontro di partito, così, per sentire se dicono qualcosa di nuovo. Sono solo un simpatizzante, pensava. E a Daniela riscrisse che sarebbe andato senz’altro al circolo a vedere la sua performance in vernacolo. Siamo quasi tutti tra noi lì, credeva. Era anche stato invitato da un compagno di scuola. Lui sì che aveva fatto strada, gli era bastato cambiare cravatta per diventare funzionario di un partito vincente. C’è il capo dei capi stasera al palacongressi, vieni anche tu. No grazie, non sono ancora pronto a saltare il fosso, amo restare un perdente, grazie lo stesso.

La rete è veloce, ci metto un attimo a riacchiappare il treno. Ti scrivo, ti rispondo, ti domando e poi t’invito. In quattro risposte ti ho già detto cosa mi attira e cosa no. Ti dico cosa ho voglia di fare, ciò di cui avrei desiderio, cosa penso. Parlo e scrivo, sulla rete. E il bello e che lo faccio spontaneamente. Che bello il progresso, però! Pochi anni indietro, per sapere tutte le mie idee avrebbero dovuto torturarmi. Adesso mi confesso, da solo. Tutto più pulito, statisticamente analizzabile in pochi secondi. Non c’è violenza. Amo la rete, è a lei che racconto i miei pensieri più segreti. E lo faccio da solo. Lo fo’ da me, diobono! Sono io, cacchio, il protagonista, quello che c’ha l’iniziativa. È questo il bello. Altro che Argentina. Altro che stanza da interrogatorio.
C’è qualcosa che non mi convince, però, devo saperne di più.
Libero aveva saputo del congresso a Manhattan. Decise di partire. Al limite si sarebbe fatto un giretto in America, non c’era mai stato.

Ma tu Mark, il tuo Facebook, lo avevi pensato veramente così? Non sarà che t’hanno fregato l’idea? Sai… quelli delle Agenzie, sempre in cerca di notizie, sempre in cerca di strumenti più efficienti per sapere le cose, per controllarle meglio? Di’ la verità, Mark, il giochino era bellino e quei cattivoni te l’hanno fregato.
O l’ hai costruito proprio per loro, sarai mica uno di loro?

La grigia pancia dell’asino si fondeva ormai con l’asfalto, impossibile uscire dal bar. Il locale era pieno di altri congressisti in attesa che il nubifragio finisse. Libero non comprendeva quasi niente dei loro discorsi, un po’ per il suo limitato inglese scolastico, un poco perché tutti parlavano usando astrusi concetti e parole appena coniate in un nuovo sconosciuto gergo tecnico. Tutti erano molto sicuri di sé, si animavano in discussioni di cui erano senz’altro partecipi, dinamici. Ognuno aveva chiarissimo in mente qualcosa da dire, smaniava per farlo, bevendo nervosamente un altro drink.
Libero ascoltava, mimetizzandosi con l’assito di pino sulla parete. Per darsi un contegno prendeva un cubetto di ghiaccio e lo metteva nel suo american caffè-ciofeca freddo. Nessuno si curava di lui, neppure le cameriere. Inutile vecchia stampa di paesaggio inglese appesa alla parete.

Mi preoccupo della libertà dell’uomo, ma sono sicuro che poi che la desideri così tanto? Loro la desiderano così tanto? E io?

La voglia di andare al palacongressi da bramosia divenne rinuncia. Sulla parete l’immagine della statua della libertà sorreggeva con fastidio la fiaccola. Con l’altra mano sembrava digitare qualcosa su una tastiera con lo sguardo accigliato. Appena la visione svanì Libero si alzo dal tavolo, rimise il suo dubbio in valigia e così come lo aveva portato in America se lo riportò indietro, nel ventunesimo secolo di casa sua.