CARO BABBO NATALE - G&F GIAMPIERO PIERI

Caro Babbo Natale, siccome sono stato buono, quest’anno vorrei un dono da te…
Hyvää Joulua, aveva passato l’ultimo mese a leggere centinaia di migliaia di letterine simili provenienti da tutte le parti del mondo. Chi chiedeva un regalo asserendo di essere stato il bambino più buono della terra, chi non fidandosi a mentire spudoratamente si limitava a dire che l’anno passato non era stato dei migliori, ma che quello successivo si riprometteva di comportarsi sicuramente in modo migliore.
Quando arrivò l’ultima letterina, Babbo Natale era ancora lì che si dava da fare in mezzo a un gruppetto d’elfi scazzati. Cercava a fatica di stipare i regali sulla slitta fissandoli con le solite cinghie elastiche. Dispettosi, invece di dargli una mano, folletti e nani perdevano tempo a spintonarsi e farsi gli scherzi l’un l’altro. Il grande vecchio prese la busta che gli porgeva Peter il Nero, dando appena un’occhiata all’indirizzo: Babbo Natale - Joulopukin Pajakilä - 96930 Naiapiiri, Finlandia
Infilò la busta in una tasca della sua giubba verde e continuò il suo lavoro. Amava indossare il suo costume dell’antica tradizione durante i preparativi della folle corsa che lo avrebbe visto sfrecciare tra poco nei cieli di mezzo mondo. Soltanto poco prima della partenza si sarebbe deciso, a malincuore come ogni anno, a cambiarsi d’abito indossando quel ridicolo completo rosso voluto dall’ufficio marketing della Coca Cola, da anni suo principale sponsor.
“Attento agli occhi.” Gli disse Nutter scuotendo la testa, mentre osservava il vecchio che senza occhiali cercava maldestramente di fissare l’estremità di un elastico con gancio metallico al telaio del veicolo.”
“Non c’entrano più questi scatoloni sulla mia fecchia schlitten, homssantuu huora”, imprecò Babbo Natale, I regali di oggi non sono più motesti come quelli ti un tempo che entrafano tutti a bordo”.
“Tutta questa plasticaccia.” Aggiunse disgustato. Poi però gli tornò subito il buonumore quando il suo pensiero andò divertito alla Befana, che come ogni anno si sarebbe occupata, di lì a pochi giorni, del secondo turno di distribuzione. “Tra poco dovrà caricarsi la sua gerla in spalla,  prese a sghignazzare divertito, la voglio proprio vedere la vecchiaccia prendere il volo carica di tutta questa roba, con quella scopa sfilacciata che si ritrova.” La mia schlitten è senza dubbio più confortevole, pensava soddisfatto, e posso anche coprirmi le gambe con una coperta mentre tengo le redini. Rudolph, la renna più esperta che era già attaccata in posizione con le altre compagne, si voltò a spiarlo per capirne le intenzioni. Ormai si stava facendo sera. Già il suo fiato si tingeva di arancio illuminato dal sole sospeso sull’orizzonte e a lui sarebbe piaciuto partire prima possibile, per tornare prima dell’alba e bersi un ultimo meritato quanto smodato goccetto. Si dice infatti che il suo nasone rosso non fosse affatto merito di una magia. “E’ un ubriacone, pensò Natale guardandolo con affetto, però è sempre la mia renna migliore.” In quel mentre Wisk, la fatina assistente, gli si avvicinò lieve lieve.”Ricordati, Papy, che c’hai ancora il sogno di un bambino custodito lì in tasca – gli sussurrò all’orecchio indicandogli con il ditino la tasca, non vorrai dimenticartene, vero? Lo guardò sorridente per assicurarsi che avesse capito. “Fosse anche un solo bambino, ti devi ricordare lo stesso di lui.” Babbo Natale ringraziò con un cenno la sua assistente, ma era contrariato. Adesso che aveva completato il carico sulla slitta avrebbe dovuto di nuovo scendere nel magazzino, a cercare un altro dono.
Trasse fuori di tasca la lettera e soltanto allora notò che non era affrancata, e neppure recava il nome del mittente. L’aprì, e lesse.
Caro Babbo Natale,
non so se questa letterina ti giungerà mai. Al mio paese siamo così poveri che non possiamo permetterci il francobollo. I  miei fratelli ed io non abbiamo mai avuto un giocattolo vero. E neppure gli altri bambini del villaggio ne hanno mai posseduti, se escludi questi pesanti fucili mitragliatori che piegano le spalle quando marciamo. Io non voglio giocattoli per me quest’anno, vorrei soltanto che tu portassi la fine della guerra nel mio paese. E il ricordo della mia mamma. Se ne è andata da così tanto tempo che ho dimenticato il suo volto. Se poi ti rimane un posticino sulla slitta, ti prego, porta qualcosa da mangiare al mio fratello piccino che ha nuovamente smesso di camminare, perchè non si regge in piedi e ha la pancia gonfia come una zucca. Io, forse, sono troppo grande ormai, per credere a Babbo Natale, ma questa è la sola illusione che mi è rimasta.
Ti voglio bene, Kolingba.
Doni come quelli che chiedeva il bambino nella sua letterina non si trovavano in magazzino. Non erano mai richiesti. I biondi bambini europei ne erano circondati ogni giorno, talmente abituati da non considerarli neppure regali. Nel magazzino ormai vuoto non era rimasto che un unico burattino dipinto, un pinocchio che aveva allietato tanti natali passati, ma che ormai nessuno richiedeva da anni. Se ne stava lì, seduto su una mensola con i piedi che penzolavano in basso, il bianco cono di finto marzapane che gli faceva da berretto appassito in avanti come un petalo pronto a volare nel vento. Babbo Natale lo afferrò delicatamente, senza convinzione. Lo agitò un poco per vedere braccia e gambe che si articolavano scompostamente. Sarebbe dovuto volare fino in centrafrica per consegnare un pinocchio inanimato, dal sorriso dipinto? Gli venne allora un’idea. Chiamò Wisk, la fata libellula, e le disse: “Fatina, chiama il call center di Rovaniemi, presto, e dì loro di incaricare qualcun altro di una nostra filiale Sud africana.” Lei lo guardò perplessa. “Non posso mica fare tutta quella strada in più per consegnare un burattino di legno!” si giustificò Babbo Natale. La fata saettò fino al telefono più vicino e si mise in contatto con il centro di smistamento. Dopo poco era già di ritorno.
“Allora, chiese Natale innervosito dall’attesa, che ti hanno detto?”
“E’ tutto a posto Papy, tranquillo. Consegneranno quanto richiesto con l’ultima spedizione della notte direttamente da Kinshasa.”
“Hanno buone slitte laggiù?” Finse di interessarsi Babbo Natale, ormai affrancato dal dover pensare lui alla richiesta del bambino africano. “No” Rispose Wisk. “Là girano con le Land Rover, ma ce la faranno lo stesso.” Concluse fiduciosa, contenta di avere risparmiato una lunga deviazione al suo capo.
L’ultima spedizione da Kinshasa non partì mai. I dipendenti del magazzino locale avevano rubato già da tempo tutti regali migliori. Quell’anno un bambino africano lasciò definitivamente l’infanzia alle spalle andando a combattere una guerra non sua sugli altopiani. Non aveva mai ricevuto un regalo in vita sua.