OCCHI BLU - G&F GIAMPIERO PIERI

Eccola lì Occhiblu, bellissima. E’ dalle cinque che la guardo. Lei però non mi vede nemmeno. Se mi guarda lo fa distrattamente, come si guarda un cliente qualsiasi per controllarlo. Chiude la lavastoviglie carica di tazzine e la avvia, poi raccoglie dal lavello una spugnetta, la strizza con energia e si mette a lustrare il legno laccato del bancone. Mariolino, il barista, la osserva sbadigliando mentre ricompone in file ordinate i pacchetti delle sigarette dietro alla cassa. Il Secco gira e rigira tra i soliti cinque tavoli per aggiustare le sedie, tranne la mia. Mi guarda scocciato, come un elemento fuori luogo messo lì ad ostacolare il suo ordine mattutino. Le paste e i cornetti, zitti come barbi all’ombra del ponte, sonnecchiano nella loro teca sperando di non attirare l’attenzione di qualche cacciatore metropolitano affamato. Tra loro, infatti, si racconta ancora con angoscia di come, una mattina, il comandante dei boy scout locali si fosse trangugiato, da solo, cinque millefoglie alla crema, con glassa, e altre due al cioccolato con cacao spolverato sopra. Aveva poi terminato la sua colazione inzuppando un croissant nel cappuccino così,  come se niente fosse.  
Si apre la porta ed il lampeggìo arancione della spazzatrice che c’è in fondo alla via rimbalza in tutto il bar. Subito dopo entra Gino Bugia, il cacciatore che, si dice, da solo amazzò una volta un vecchio verro, con una sola cartuccia da allodole. È insieme a suo cognato Simon l’Adagio, andremo a caccia insieme questa mattina, come sempre.
Oh-oh! Ammappate oh! ‘Hostanzina, comincia ad urlare festoso L’Adagio, che regalo che’tu ci fai questa mattina! Lo chiamiamo tutti così per la sua flemma nel mettersi in moto, qualunque sia l’attività da fare. Questa volta però si riscuote velocemente, appena cioè i suoi occhi sprofondano nella scollatura della barista.
Me lo disse l’oracolo:
O Simone, se anche da morto
ora tu entrassi in questa stanza
In compagnia di tu’ fratello
…che si sa,
è quasi morto pure quello,
davanti alle poppe della Costanza
si vedrebbe tosto un gran risveglio.
me lo disse l’oracolo:
sarà proprio un bel miracolo.
Le declama di getto le sue panzane, l’Adagio. Per forza. Ad ispirarlo è lei, Costança Lourdes Pintasilgo, vent’anni, che mentre si sporge da destra e sinistra con ampie falcate del braccio per eliminare qualsiasi incauto granello di polvere le capiti a tiro, mette bene in evidenza il ponte di tessuto teso sui seni. Aiuto barista, al bar dei cacciatori, da due settimane. La sua pelle di cannella, appena spruzzata di sudore, riflette metallica, specialmente nell’angolino del gomito. Creola, per qualche mistero della genetica Costança ha occhi di un blu così chiaro da imbarazzare uno svedese. I riflessi di gel sulla sua testolina castana impreziosiscono i suoi lineamenti già perfetti.
Sempre lì a dire bischerate, sig. Adagio. Però, come è belloccio stamattina, dice civetta Costançita alludendo alla virile tenuta da caccia firmata che Simone indossa con naturalezza. Poi gli spara un sorriso, che lui non lo sa, ancora, ma è già bello che innamorato di quella statuina d’ebano danzante, come tutti gli altri frequentatori del bar, del resto. Mariolino compreso.
Me compreso.
E dove tu l’avresti trovata una ciliegina così, gli fa il Bugia al barista, mah… ma la tu’ moglie che ne pensa? L’è veramente discretona, sta’ ragazza, aggiunge parlando solo a sé stesso.
Te la trombi, eh? vecchio porcone, chiede ancora Bugia dando un pizzico in una lonza al barista.
Non ancora, Mariolino fa un gesto arraffino con la mano, come chi agita nel torbo per creare la situazione, non ancora, ma ci sto lavorando sopra. Non riesce a staccare gli occhi da tutto quel bronzo che cerca di esplodere fuori dai pochi indumenti bambini che Occhiblu pare indossare soltanto perché costretta dalla legge.
A me quei discorsi lì, invece, cominciano a darmi un po’ sui nervi, cavolo d’un cavolo. Mi danno fastidio, le battute dei miei amici. Bevo il mio cappuccio ma intanto un ombra mi passa sull’anima.
Eh, l’è stata dura fargliela accettare alla mia signora, riprende intanto Mariolino rispondendo alla precedente domanda del Bugia, ma alla fine l’ho convinta. Ridacchia, sornione, dall’alto del suo metro e novantatrè per centoquaranta chili. In realtà si chiama Mario ma di secondo nome fa Lino, per questo tutti lo chiamano Mariolino. Sua moglie, Mena, al contrario di lui è alta un metro e cinquantacinque ma neppure nella stagione delle castagne supera mai i cinquanta chili di peso. Per tutti è la signora, essendo lei la vera proprietaria del locale. Si è lasciata convincere ad assumere la ragazza, allettata soprattutto dalla possibilità di pagarle, a nero naturalmente, uno stipendio ben al di sotto del minimo sindacale, tanto, per dove vive lei, l’è di già anche troppo. I soldi che le do io, a Capo Verde, ‘un li guadagnerebbe mica sai, neanche in tre mesi, pensa compiaciuta quella tirchiona.
La signora sa bene come far andare avanti il locale. E’ un’imprenditrice lei, per questo vota il Silvio. Cicca in bocca dalla mattina alla sera, anche attraverso il velo di fumo fulmina tutti con i suoi occhi neri. Guai a farsi trovare da lei sfaccendati. Mariolino e il Secco, il cameriere hanno imparato presto a non farsi mai sorprendere disoccupati dalla Mena. Uno tiene sempre a portata di mano scopa e cassetta facendo finta di raccogliere uno scontrino perso dall’ultimo avventore. L’altro è sempre lì a spolverare i pacchetti di caramelle vicino alla cassa. Anche Occhiblu non c’ha messo molto ad inventarsi il diversivo della continua ripulitura del bancone del bar. Perfino il setter di Mariolino, quando sente i passi della signora che passa in rassegna la sua truppa, fa appena capolino dalla porta del giardino e subito ritorna ad accucciarsi stronfiando sul suo tappetino aspettando che lei se ne vada. A guardarlo sembra proprio che scuota la testa.
Vai a caccia con loro questa mattina? Mi fa Occhiblu. La domanda di Costança mi sembra buttata lì per caso, per fare conversazione con il cliente.
Sì, facciamo una battuta su tutto il monte, pare che ci sia un branco di cinghiali di oltre venti animali, rispondo, ti piace la selvaggina? Mi giro per guardarla negli occhi e mi perdo nel blu dei suoi. Lei non distoglie lo sguardo, anzi, l’ha incatenato al mio. Mi frigge lo stomaco. Le guardo il sorriso, m’attira. Poi abbasso un po’ gli occhi e mi perdo nell’immensità di una terra promessa.
Non mi piace la caccia, no. Tutti quei poveri animali ammazzati, o feriti, dice lei sorridendo, preferisco l’amore alla guerra. Mi fissa. Poi smette di sorridere, mi fissa, ancora.
Costança, tre caffé coretti, urla il Bugia affiancandomi al banco, fa freddo lassù! Indica l’ipotetica vetta del monte.
Certo, che se tu venissi anche te… butta lì l’Adagio a Costança con tanto di occhiolino teatrale, eeh? Sono poco più delle cinque del mattino, ma Costança non si scompone. Versa un goccio di grappa nei nostri caffé.
Mi porti in discoteca stasera, mi fa lei. A me. A me?
Il bugia da una parte, l’Adagio dall’altra, prima fissano Occhiblu. Scusa, abbiamo capito bene? Non lo dicono ma si sente che lo pensano apertamente. Poi si voltano a guardarmi, a bocca aperta. Tra i due volano messaggi telepatici a novecento megahertz. Uno lo intercetto anch’io, dell’Adagio.
Lo sta chiedendo a te, cazzo, urla senza dire nulla.
Eh sì. Boh. Vorrei sprofondare, ma godo come un riccio. Dio, come godo. Come un riccio in amore, presumo.
Certo! Ti passo a prendere alle undici, le rispondo impassibile. Non sono mica sicuro d’aver capito bene, però. Mi accorgo allora del Secco, ha uno sguardo tra il sorpreso preoccupato, sta guardando Mariolino. Poi guarda me, di nuovo Mariolino. Lo guardo anch’io, a Mariolino. Mi odia, lo sento. Sento che anche il suo cane mi odia. Si affaccia apposta dal giardino per odiarmi, fedele al suo padrone. Il Secco per solidarietà ai due inizia ad odiarmi, anche lui.
Cazzo. Sono tutti gelosi qua dentro? E’ veramente un bel casino. Mi sa che Mariolino abbia perso cliente e ragazza, in colpo solo.
Alle undici, allora, dice Ochiblu, e mi posa un bacio da ventisette secondi sulle labbra.
Dio come godo!