FIAMME D'ARTIFICIO - G&F GIAMPIERO PIERI

Libera. La spiaggia è libera. E liberi i Teucri, dopo eterno assedio. Rimpiazza gli Achei un cavallo titanico, verosimile ex voto, e stanno, le tende disertate, come spettri infiacchiti. Sono vuoti i posti degli schieramenti, degli scontri luttuosi, e vuota è la riva, di flotta salpata col vento buono, verso Micene, si giudica. La novella desolazione conforta. Si affondano i piedi nella sabbia, si ascolta l’eco remota delle armi, si guarda la città, oltre le mura, salva, dischiusa in ogni porta.
E il cavallo si impone, colossale, ai più. Lo si vorrebbe incamerare, bello, levigato, gonfio. Empio, per contro, secondo i Capi, secondo gli scettici, quando non sospettosi: ‘In mare!’ da questi si sollecita, ‘al rogo!’ si rilancia, ‘al vaglio delle punte’ si ragiona.
La folla fluttua, tituba, si divide, si commuta, soprattutto si accalca all’equino sontuoso.
Discende Laocoonte dalla rocca santissima con séguito sacerdotale. «Stolti!» ammonisce, «scellerati! Placate la fregola, o sarà sventura. Bizzarro è il puledro di greco legnaggio. Se i Danai lo fabbricarono, fu per lasciarlo in dote sicària.»
«Piantala, guru catastrofista!» emerge uno dalla folla, «il cavallo è un voto: portiamolo dentro e facciamoci buoni i numi che spalleggi.»
«Taci, tu, turpe!» scandalizza Laocoonte, «perfino le beneficenze, temo dei Greci.» Ciò detto, scaglia l’asta che nel fianco generoso si conficca del corsiero e lo rintrona di recondito sgomento.
Un gruppo di pastori conduce al re Priamo un prigioniero e dilegua tosto la febbre da cavallo, sul detenuto rimbalzando le attenzioni: sputi, pedate, dita negli occhi, morsi alle orecchie, epiteti sostanzialmente ingiuriosi; ‘gaglioffo’ si grida, nientemeno.
«Uno sventurato» frigna il prigioniero dinanzi a Priamo, «sono uno sventurato. Uno sventurato, sono.»
«Chi sei?» domanda il re troiano.
«Uno sventurato, sono.»
«Ho capito...»
«Sono uno sventurato...»
«Per Bacco...! Dòminati! »
«Tanto lo so, adesso mi giustizierete, mi giustizierete...»
«Sì, se continui.»
«Lo sapevo, mi giustizierete, lo sapevo...»
Spazientito, Priamo si avvicina al prigioniero e gli affonda un destro nello stomaco.
«Ahi...!» fa quello.
«Parla!»
«Sono greco.»
«E poi?»
«È tutta colpa d’Ulisse.»
«Cioè?»
«È lui che ha convinto Calcante.»
«A che fare?»
«A designarmi come vittima sacrificale.»
«Continua.»
«Ero il pegno da pagare perché gli Achei tornassero in patria sani e salvi e col vento in poppa.»
«Beh?»
«Beh, cosa?»
«Domandare è appannaggio solo mio.»
«Domandate.»
«Com’è finita col sacrificio?»
«Me la sono data a gambe, sul più bello.»
«Capisco...»
«Ma era una congiura, un intrallazzo di Ulisse – potesse quel farabutto rimanere fulminato! – Mai sopportò me e la mia stirpe. Ed ero contro, io, ero contro questa guerra ingiusta.»
«Mm...»
«E infame. Una guerra infame.»
«Certo, certo... E adesso?»
«Al vostro buon cuore.»
«Hm...Sì.»
«Sì?»
«Liberatelo.»
«Ve ne sono grato, ve ne sono grato... Vi bacio i piedi.»
«Astienitene. Dimmi, piuttosto, il cavallo...»
«Bello, ah!»
«È cosa religiosa o guerresca?»
«Religiosa, religiosissima. E immensissima. Fu Calcante a volerla così, perché non passasse da porta alcuna e non ve l’accasaste profittevolmente.»
«Si apra immediatamente un varco per il cavallo sacro!» ordina Priamo.
Manco lo dice che dall’alto picchiano sinistri e artigliati due vermi esorbitanti. Ruggiscono, ragliano e per l’aere serpeggiano. Puntano su Laocoonte. Lo ghermiscono, lo fagocitano. Quindi vanno a posteggiarsi davanti al tempio di Pallade Atena.
Il segno, eloquentissimo, conforta la scelta di Priamo: Laocoonte è stato punito dagli dei perché sacrilega era stata la sua lancia.
Gli oppositori tacciono. Si fa presto la breccia e vi si dirige il cavallazzo che quattro volte stenta prossimo alle mura e zoppica, trasalisce, e nelle viscere tintinna d’arme. Nell’ubriachezza senza vino, solo Cassandra coglie il lamento intestinale della macchina camuffa, ed Enea.
La principessa urla la propria contrarietà, avvisa della minaccia, annuncia la sciagura: «Fermi!» dice, «portate via l’appestato statuario: è pregno di baionette greche.»
«Zitta tu, scalognatrice di lungo corso!» l’apostrofano, e aggiungono: «Pitonissa malauguriosa!» ... «Chiromante caliginosa!» ... «Maga Maghella voodoo!» ...
Enea però le crede: «Cassandra...»
«Ti aggiungi al sollazzo?»
«Ma no! La penso come te.»
«È un fatto inaudito.»
«Il voto non mi persuade. E neanche Sinone, il prigioniero liberato. L’ho osservato: sta sempre nei pressi del cavallo, guardingo, anziché darsi alla baldoria. Eccolo, vedi come si conduce?»
«Hai ragione. Bisogna muoversi. Chiamalo, fallo venire qui in disparte.»
«Che pensi di fare?»
«Chiamalo. E dopo resta di guardia. Forza...!»
«Sinone! ... Sinone! ... Vieni un po’ qua...»
«Che vuoi, tu?»
«Desidera parlarti la principessa.»
«Chi, la iettatrice perniciosa?»
«Modera le parole, greco... Vai. Ti aspetta lì dentro.»

«Sinone...»
«Sono qua.»
«Sinone...»
«Sono qua, dico.»
«Sinone...»
«Principessa, io ho da fare...»
«Guardami, Sinone...»
«E io vi guardo!»
«Sinone, guardami...»
«Vi guardo, vi guardo. Mi parete un’invasata...!»
«Sinone...»
«Principessa, se avete da dirmi, ditemi.»
«Guardami, Sinone, guardami negli occhi...»
«Negli occhi, principessa, negli occhi.»
«Sinone...»
A quel punto entra Enea e sferra un colpo di scudo sulla testa di Sinone che cade a terra svenuto.
«Enea! Che hai fatto?»
«Che facevi tu!, Cassandra.»
«Provavo a lasciarlo di sasso. Ma è da tanto che non ripasso il trucco di Medusa.»
«Ecco.»
«Via, leghiamolo e imbavagliamolo.»

* * *

«Che si vede?»
«Niente.»
«E che stai a fare lassù, in bocca al cavallo?»
«Niente.»
«E perché non scendi, allora, prode Ulisse?»
«Puzzate.»
«Tu profumi di giglio?»
«Mi provochi?»
«Siamo stanchi di stare qui dentro.»
«Riposatevi.»
«Quando arriva Sinone? Non mi stupirei se si fosse addormentato fra le braccia di una troiana festeggiante.»
«Imbecille, non senti la cagnara? Bisogna aspettare che dormano.»

* * *

«Finalmente hanno smesso di depravarsi. E poi la maniaca sarei io...»
«Portiamo fuori ’sto cavallo, dài.»
«Già. E come? Si sono messi in millanta per tirarlo dentro...»
«E non sei magica, tu?»
«Sono poco allenata.»
«Puoi sempre invocare un sussidio trascendente.»
«Non è aria. Bene che vada, finisco in bocca ai vermacci.»
«Qualcosa dovremo sperimentare.»
«E non sei eroico, tu?»
«Beh, ecco, mi ci alleno con dedizione...»
«E dunque...! Le corde ci vuol poco a tagliarle. Basterà liberare il cavallo dai fermi, e quello andrà giù da solo.»
«Dici?»
«Dico.»
«Ci provo.»
«Provaci.»

«Fatto: ho levato i fermi. Che fatica!»
«Sei un vero eroe. Il mio eroe! ... E che bel profilo, hai... Sì, sì, un bel profilo, non c’è che dire... Beh? Non dici niente?»
«Completiamo l’opera, su, tagliamo le corde.»
«Sempre così: di fronte a un’offerta irripetibile, tagliano le corde...»

«Ci siamo.»
«Dài...!»
«Va!»
«Sì!»
«Va! Va!»
«Va a meraviglia, mio eroe!»
«Come fila liscio!»
«Sì! Così! Più forte! Non ti fermare!»
«Si ferma...»
«No...! Non adesso!»
«Si è fermato. In mezzo alla spiaggia...»
«Che brocco!»
«Andiamo a vedere.»

«S’è incastrato.»
«Da qui non lo smuoviamo, mi sa.»
«Mi sa anche a me.»
«Zitto! Hai sentito?»
«Sì. C’è tramestio, lì dentro.»
«E non credo che il brocco sia meteorico.»
«Ascolta, sono voci, adesso.»
«Canaglia greca!»
«Guarda... la bocca. Si muove qualcosa, qualcuno.»
«Devi arrampicarti e farli secchi.»
«Chi, io?»
«Un eroe è un eroe.»
«E uno che va lì e si fa ammazzare è un deficiente.»
«Mm...»
«Non hai qualche trucco del mestiere nella tua trousse? Che so, un catalogo di formule magiche, un fluido che renda invulnerabili in tutto il corpo, compresi i talloni; oppure delle uova marce, vino trapassato, sardine guaste...»
«Fammi controllare... ho denti di squalo... occhi di rospo... mani di fata... un filmino osé di me con Laocoonte... un altro filmino di me con... vabbè, fa niente... un modellino di Apollo 11... la tessera dell’ARCIveggenti... quella del CRAL veggenti... sette gatti neri... un gattomammone... serpi velenose cleopatrizie...»
«Ecco! Le serpi velenose! Sono perfette. Le facciamo ingoiare al cavallo e il nemico è bell’e sistemato!»
«Sì, ma...»
«Che c’è?»
«Niente... È che, in effetti, le serpi giacciono sul fondo della mia trousse da un pezzo...»
«Dici che sono passate?»
«Non lo so.»
«Proviamoci lo stesso. Se non li faranno schiattare, stordiranno i greci o per lo meno li terranno occupati.»
«Vabbuò, prendi le serpi e arrampicati. E attento a non farle uscire dal sacco prima del tempo: sì che saranno svampite, ma è meglio non rischiare.»

* * *

«Che sta succedendo?»
«Cose triviali. Una catastrofe bruta e monca.»
«Che catastrofe?»
«La corruzione del mito. La confisca delle storie.»
«Quali storie?»
«La mia, la tua, quella di Troia, di Roma.»
«Ma che dici?»
«Enea: è stato lui.»
«A far che?»
«È stato lui, ti dico.»
«A far che? Omero, parla!»
«Lui con Cassandra.»
«Che hanno fatto?»
«Hanno congedato il cavallo.»
«Enea?»
«Sì, soprattutto lui, caro Virginio.»
«... ilio.»
«Ilio, certo, Ilio.»
«E Odisseo, e gli altri Danai?»
«Prigionieri. Sono ancora nel ventre cavallesco a scacciare serpi, allibiti come verginelle alla vista d’un sorcio.»
«E la distruzione di Troia? La fuga di Enea? L’Italia?»
«E l’Odissea, allora?»
«Priamo che fa?»
«Dorme. Dormono tutti, i troiani, ubriachi fradici. Solo quello scriteriato di Enea... Io non l’ho mai sofferto.»
«Io l’ho celebrato, quello.»
«Pèntiti.»
«Cose dell’altro mondo.»
«L’hai detto.»
«Non può finire così.»
«Lo penso anch’io. E poi mancherebbe la catarsi.»
«Dobbiamo fare qualcosa.»
«Già. Ma cosa?»
«Diamo Troia alle fiamme.»
«È un’idea.»
«Sì. La poesia deve agire, anche.»
«Agiamoci.»

* * *

«Vedi?»
«No, passo. Che avevi?»
«La curiosità si paga.»
«Avevi o non avevi?»
«Non te lo dico. Tieni, carte tu.»
...
...
...
«Apri?»
«Che pena...»
«Apri?»
«Va tutto in fumo...»
«Enea!»
«Che c’è?»
«Apri o no? ... E che guardi a fare l’incendio...? Così era scritto. È acqua passata.»
«Uno sfacelo...»
«Allora, apri?»
«Sì.»
«Cosa punti?»
«Punto Didone.»
«Robetta. Rilancio: ci metto Calipso.»
«Perché, Calipso vale più di Didone?»
«Vuoi scherzare?»
«Va bene, vedo. Cosa punto?»
«E che ne so. Punta quello che vuoi... purché non cose probe e pie.»
«Ci metto la discesa agli inferi.»
«Balorda. E poi ce l’ho. Altro?»
«L’incontro con l’ombra di Polidoro?»
«Non se ne parla.»
«Eurialo e Niso?»
«Tu sei scemo.»
...
...
...
«Caro Enea, mi gioco Circe.»
«Vedo.»
«Vedi? E che ci metti?»
«La tua libertà.»
«Ci sto.»
...
...
...
«Ho vinto ancora, troiano.»
«Ma non è che bari, vero, Ulisse?»