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 IL FARO - NUCCIO PEPE

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Nuccio Pepe
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Nuccio Pepe


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MessaggioTitolo: IL FARO - NUCCIO PEPE   IL FARO - NUCCIO PEPE Icon_minitime16/7/2009, 13:25

IL FARO

La sua era stata una scelta meditata ma non sofferta. L’idea di stare da solo, coi suoi libri, i suoi pensieri, avvolto nel vento gli piaceva tanto da stordirlo.

L’anno prima passando davanti a quel faro con la barca a vela del suo amico Giovanni aveva avuto contezza del suo futuro prossimo.

La figura del guardiano del faro era oramai relegata nei libri di avventure o in qualche brano musicale della sua gioventù, quindi accantonato il progetto di cambiare tipo di lavoro, aveva mosso le sue conoscenze per far sì che gli fosse consentito di abitare nel faro per degli studi il cui argomento restò sempre di una vaghezza infinita.

In fondo a chi poteva interessare di un medico che si isolava per un anno per studiare qualcosa andando ad abitare su uno scoglio in mezzo al mare?

Superati i sorrisi di compassione e gli sguardi tra lo stupito e il disgustato di chi timbrava, protocollava, deliberava, finalmente in una tiepida giornata di Marzo aveva lasciato il porto sulla barca di Enrico anche lui con il suo bravo permesso regolarmente timbrato che gli consentiva di accompagnare il “ dottore” attraccando all’isolotto di Pharos e di ripetere la manovra ogni mese per consentire l’approvvigionamento ed in ogni caso di necessità segnalato dall’ospite ove non si ravvisassero  gli estremi di un intervento di addetti quali la Guardia Costiera.



Era entrato nella prima delle due torri coniche che costituivano l’edificio costruito sul modello del faro di Stiff. Aveva dovuto lottare con la gentilezza di Enrico e del suo equipaggio che volevano a tutti i costi accompagnarlo, acconsentendo alla fine  a che lasciassero i borsoni che costituivano il suo bagaglio il più vicino possibile al faro.

Solo Enrico lo aveva accompagnato per spiegargli il funzionamento della radio, controllare le batterie, lasciare quelle di scorta, dare un’occhiata veloce per poi congedarsi con un largo sorriso sul volto bruciato dal sole e dalla salsedine.



Aveva fatto un respiro profondo guardandosi intorno. Lo stile spartano della sua nuova casa gli piaceva, mentre saliva le scale a chiocciola che consentivano l’accesso alle stanze situate sulla sommità della torre secondaria, aveva pensato a chi aveva abitato realmente tra quelle mura, lottando con gli elementi della natura pur di mantenere funzionante quella luce che nelle notti buie o di tempesta tanto conforto doveva aver dato.

Aveva sistemato le sue cose in una unica stanza, sfruttando le mensole per i suoi amati libri, i quaderni, le penne che si era portato in gran quantità.



Amava guardare il mare dall’alto della torre principale, facendo lentamente il giro sulla pedana che avvolgeva come una sciarpa il lungo collo del faro. Le onde schiumanti si frangevano rumorose sugli scogli violacei, un piacevole venticello di ponente lo carezzava mentre i suoi pensieri scivolavano liberi rincorrendosi quasi come le onde che sotto di lui carezzavano le rocce, ritirandosi dopo averle schiaffeggiate.

I quaderni si riempivano di appunti, di storie, i libri venivano letti e riletti con gusto insaziabile. Solo le periodiche visite di Enrico spezzavano, per qualche ora, la solitudine in cui si beava. Un caffè, due chiacchiere, qualche domanda di cui nessuno dei due si attendeva una risposta sugli “studi” e sull’andamento della pesca e poi il commiato con una vigorosa stretta di mano ed un sorriso sempre più complice.



Gli piaceva, la sera, accendere un piccolo camino, che si trovava nella stanza che fungeva anche da cucina, utilizzando la legna che spesso il mare depositava in una piccola caletta a ridosso del molo di attracco.

Guardando affascinato la danza delle fiamme, talora si addormentava con una smorfia compiaciuta, riandando con la mente ai rumori sempre più lontani della città.



Era da poco finito il sesto mese della sua permanenza su Pharos.

Il binocolo aveva inquadrato la barca di Enrico che si avvicinava, unico contatto con la terraferma. Giocava con la messa a fuoco, così aveva l’impressione che non fosse una barca, ma un grosso tronco galleggiante che aveva deciso di arenarsi a Punta Secca. Come al solito aspettava Enrico a metà strada tra il faro ed il moletto.

Rimase stupito vedendo una seconda figura accanto al marinaio. Il tacito accordo non prevedeva terze persone, ebbe una sensazione sgradevole, come un crampo allo stomaco e una lieve vertigine. Mentre le due figure si avvicinavano aveva notato che l’intruso era molto esile rispetto alla stazza del suo silenzioso amico.

La sorpresa di vedere un volto di donna sotto al cappellino con visiera doveva essere stata veramente sconvolgente perché, cosa inusuale per lui, cominciò a balbettare confondendo saluti e domande.



Enrico aveva speso poche parole per comunicare che Valentina era una famosa fotografa venuta sull’isolotto per fare un servizio sulle Berte che migrando si riposavano su quelle pietre violacee che forse esercitavano una attrazione particolare su quegli uccelli dato che evitavano per la loro sosta altre isole ed isolotti a distanza di poche decine di miglia.

Esauriti i convenevoli Enrico era ripartito, dopo avere scaricato quella che al “dottore” era sembrata una vera montagna di bagagli.

Aveva fatto sistemare Valentina nella stanza attigua alla sua, le aveva spiegato l’andazzo della vita su quello che chiamava semplicemente “lo scoglio” ed era andato a passeggiare sulle rocce umide.



Una serie di clic clic  lo aveva fatto girare di scatto. La fotografa era al lavoro, fotografava tutto, gli scogli, il faro, le Berte che volteggiavano sulle loro teste, e fotografava anche lui.



I giorni passavano, lui continuava a scrivere i suoi racconti, a passeggiare, a parlare con il mare e con il vento, la donna fotografava e talora lo accompagnava nelle sue passeggiate. All’inizio parlavano poco, si studiavano come due contendenti, giusto alcune frasi e gesti di cortesia. Si osservavano, a volte di nascosto.

Valentina aveva sorriso alle motivazioni della scelta di Marco, ma non si era mostrata  stupita e nemmeno aveva commentato. Lo guardava con sempre maggiore attenzione; era un uomo piacente, capelli spruzzati di bianco, pelle abbronzata, aveva sempre un buon odore di pulito, di fresco, anche se non lo aveva mai visto usare profumi o altro, gli occhiali leggeri gli davano un’aria mite e quando leggeva o scriveva assumeva un aspetto ancora più interessante.

Marco aveva, quasi volutamente, sorvolato sull’aspetto della fotografa. La considerava un’ospite quasi fastidiosa, tollerava la sua presenza, del resto aveva quasi più permessi dei suoi, oltre a richieste ufficiali per il suo lavoro da parte di riviste scientifiche internazionali.

Ma una mattina che Valentina lo aveva guardato scuotendo la testa dopo essersi tolta il cappellaccio che la proteggeva dal sole cocente. I capelli corvini ondulati, con due riccioli vezzosi che incorniciavano il volto, gli occhi brillanti, le braccia tornite che adesso avevano il colorito delle ragazze brasiliane sulle spiagge di Rio, il corpo fasciato dal pareo che il vento caldo maliziosamente modellava.



La risata fragorosa della donna gli fece chiudere con uno schiocco la bocca. Arrossendo aveva continuato la sua passeggiata da solo.

Fu come un giro di boa. Quella sera le parole avevano iniziato un percorso tra i due, i ricordi, i sogni, il lavoro, si intrecciavano in un flusso calmo di frasi. Ognuno aveva sete di conoscere dell’altro, in un confronto di idee, di pensieri che si intrecciavano liberamente si riconoscevano, si immedesimavano a vicenda nel percorso umano che avevano fatto..

Il giorno dopo Marco aveva avuto un brivido quando Valentina appoggiando il mento sulla sua spalla aveva sospirato guardando il tramonto che pennellava di striature arancioni l’azzurro del mare.

Quella sera erano tornati abbracciati al faro.



L’odore del caffè si spandeva nell’aria. Marco aprendo la finestra vide le ultime Berte che stavano lasciando l’isola,  immaginò le loro strida come un saluto e gli venne spontaneo fare un cenno con la mano.

L’aria si era fatta più fresca, frizzante la definiva lui.

Mentre sorseggiava il caffè ancora bollente, lanciò uno sguardo nella camera accanto.

Valentina dormiva ancora, il respiro tranquillo e quasi silenzioso, i capelli sembravano una macchia di un dipinto di Pollock contrastando con il bianco del cuscino. Lo sguardo percorse  le curve che il lenzuolo tracciava con incolpevole malizia.

Si sedette allo scrittoio, o meglio al tavolo che aveva elevato al rango di scrittoio, pieno di appunti, di quaderni fitti di righe che raccontavano storie improbabili e sogni possibili. Le foto in bianco e nero che Valentina aveva già sviluppato si confondevano, si sovrapponevano, facevano capolino tra i fogli di Marco quasi in una simbiosi artistica e di comunicazione.

Cominciò a separare i fogli dalle foto, dando un ordine parziale al caos ordinato di prima. Sorrise dei suoi primi piano, degli scatti a sorpresa durante le passeggiate attraverso l’isola.

Era meglio fare un giro solitario, cacciò le mani in tasca e si diresse verso la piccola baia.

Il rumore in sottofondo lo fede sobbalzare, aveva quasi rimosso il pensiero della visita periodica di Enrico.

Ritornò a malincuore al faro, fermandosi spesso a guardare le onde biancheggianti.

Salì le  scale che portavano alla passerella che cingeva il faro quasi alla sua estremità.

Era sicuro che il pescatore avrebbe capito. Era la prima volta che non lo attendeva come al solito a metà strada  tra il faro e il moletto.

Vide la figura di Valentina andare verso il molo.

Mentre Enrico lanciava i bagagli ai suoi uomini, la donna si girò all’improvviso mandando un bacio con la mano, era certa che Marco la stesse guardando.
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MessaggioTitolo: FORMENTERA LADY   IL FARO - NUCCIO PEPE Icon_minitime16/7/2009, 13:27

FORMENTERA LADY

Ero contento. Quella sera avevo un appuntamento: qualcuno da toccare, da guardare, con cui parlare. Con cui dimenticare la morte, pane quotidiano.
Ero sull’isola già da oltre un mese. Ero stato paracadutato con tutta la mia equipe con un volo notturno per sfuggire ai colpi del nemico.

Già il nemico…
Chi?
Perché?

Nessuno si ricordava più come il tutto fosse iniziato, si sapeva solo che si combatteva in tutta l’Europa da anni oramai, senza ad un accenno di vittoria da una parte o dall’altra, senza uno spiraglio che ponesse la parola fine a questa stupida angosciante catena di morte e di terrore.
Mi avevano detto che sull’isola c’era un avamposto di vitale importanza che era stato colpito ripetutamente, centinaia di feriti tra la popolazione e i soldati, nessuna possibilità di evacuare almeno i più gravi, per cui le menti illuminate del Comando Generale avevano pensato ad una soluzione brillante: inviare una equipe medico-chirurgica per risolvere sul campo i problemi sanitari che si stavano creando e salvare più vite umane possibile.
Scoprii dopo che la tragica verità era un’altra.
La notte dell’arrivo non ci eravamo resi conto della gravità della situazione, ma l’indomani alla luce del sole tutto si appalesò nella sua drammatica realtà.
L’odore acre del fumo si confondeva con quello della benzina e con il puzzo dei morti in disfacimento sotto il sole caldo di Agosto.
Decine, centinaia di feriti gemevano in quella che era stata la palestra della scuola media.
Anna, che era a capo delle infermiere, si iniziò ad occupare subito dei corpi dei morti, facendo scavare delle fosse e seppellendo quello che rimaneva di esseri che avevano lottato, amato, sperato, che erano fuggiti, che erano stati colpiti, bruciati, dilaniati.
Improvvisammo una sala operatoria con i pochi mezzi a disposizione ed iniziammo a lavorare.
L’odore del sangue si confondeva con quello che, con molta buona volontà, chiamavamo caffè, ed ero stupito da come decidevo ( e mentre lo facevo pensavo a quanto assurdo fosse) chi dovesse essere operato e chi non avesse più alcuna chance.
Andammo avanti così per alcuni giorni, non capivo più se fosse giorno o notte. Sutura, tampone, bisturi: gamba da amputare, stomaco perforato, emorragia imponente… è andato, portate un altro.
I bambini. A questo non mi riuscì mai di abituarmi: i corpicini martoriati, le urla delle poche mamme rimaste, a volte un urlo mi restava in gola “ BASTA !!”.

Le gocce che scendono lungo il mio viso sono un misto di sudore e lacrime.
Anna mi asciuga con una pezza.
“Riposati, ti devi riposare, stacca un poco, vai a farti un bagno in mare”
Mi sfugge un sorriso, il mare, la spiaggia.
Mi ritrovo, quasi preso di peso, fuori dalla palestra.
La luce del sole quasi dà fastidio, ma il tepore che mi pervade ha un effetto benefico.
Mi verso addosso un secchio d’acqua che trovo fuori dal cancello e salto su una bicicletta sgangherata che è appoggiata al muro sbriciolato della casa di fronte.
Pedalando adagio prendo la strada che porta dolcemente verso la spiaggia.
Ripenso alla realtà che mi ha portato in questo luogo, si doveva operare il figlio del Ministro delle Guerre e degli Armamenti il cui aereo era stato abbattuto e il giovane rampollo era planato, grazie al seggiolino eiettabile, sull’isola sperduta procurandosi ferite mortali.
Nessuno aveva avuto il coraggio di dire all’illustre genitore la verità, e così mi ero ritrovato catapultato a 4.000 km dalla mia sede a non salvare la vita di un morto ma a curare altri esseri umani con meno nobili ascendenti.
Ora i miei occhi vedono l’isola, mi ricorda Formentera.
C’ero stato da giovane e mi era rimasta nel cuore così come anche molte isole della Grecia, ma forse era solo il ricordo di una gioventù allegra e spensierata.
La spiaggia è bellissima e solitaria in maniera irreale.
Il silenzio mi avvolge, il mare bagna la sabbia quasi ad accarezzarla, mi tolgo i vestiti che oramai sono un tutt’uno con la mia pelle e mi tuffo.
Un bagno rigenerante, purificatore, che annulla la mente, galleggio baciato dal sole.
Mi sono appena disteso ad asciugare o meglio a rosolarmi beato, quando percepisco una presenza.
Balzo su e la vedo, una donna sui quaranta, bella, dai lineamenti delicati, la pelle olivastra, i capelli scuri mossi dal venticello.
Ci guardiamo, un sorriso.
Mi viene in mente la canzone dei King Crimson “Formentera Lady”; chissà dove sono i miei CD, i miei LP, i miei libri ?
Sono contento. Questa sera ho un appuntamento: qualcuno da toccare, da guardare, con cui parlare. Con cui dimenticare la morte, pane quotidiano.

L’esplosione colpisce in pieno la palestra.
Saltiamo tutti in aria in un amplesso mortale.
E poi, il nulla.
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MessaggioTitolo: Re: IL FARO - NUCCIO PEPE   IL FARO - NUCCIO PEPE Icon_minitime16/7/2009, 14:37

71°10’ 21” latitudine Nord


L’ho fatto ! Ci sono stato !
Il mio pensiero è questo mentre svolto l’angolo prima di entrare nel bar di Gino.
So che gli altri sono già lì. L’appuntamento non scritto ma inevitabile e desiderato da tutti del venerdì sera è considerato sacro.
Non si aspettano certo che io sia arrivato, del resto ho detto loro semplicemente che partivo per un po’.
Gli amici sono seduti al solito tavolo d’angolo da dove si ha una visuale perfetta sul resto del locale e con la grande finestra che guarda sulla piazza.
Gli America stanno raccontando della loro Ventura Highway quando Franco mi vede entrare.
“ Hei il bastardo è tornato !”
“ Ciao bello, come va !”
“ Ma dove sei stato ? “
“Siedi, cosa prendi ? “
“ Facciamo un giro di Cuba Libre !”
“ Gino !! Cuba Libre per tutti “
“ Alla salute di Enzo, sicuro alla sua e a noi !”
“ Ragazzi, l’ho fatto ! Ci sono stato, lo dovevo fare.”
“ Dai raccontaci, dicci, facci sognare !”

Come si può raccontare un sogno che si realizza? Cosa si può dire di un progetto lungamente accarezzato che diventa realtà ? Come si può esprimere a parole una promessa fatta sulla tomba di un amico ?
Oslo con il Frogner Park e le sculture di Vigeland mi ha preso per mano nel mostrarmi nella pietra le espressioni dell’umanità, mi ha fatto capire come in questa terra paesaggio, ambiente e vita delle persone siano legate in modo indissolubile.
Un balzo fino a Bodo per poi navigare verso Moskenes attraversando l’arcipelago delle isole Lofoten con contrastanti paesaggi di serene vedute costiere opposte a picchi alpini che sembrano scure piramidi di roccia.
Avevamo percorso queste strade, discusso di questo mare tracciando il percorso con il dito sulla carta geografica.
La marcia di avvicinamento verso il mito mi porta al villaggio con il nome più breve: Å, dove i pescatori vivono in coloratissime case in legno che sembrano trasportate lì dalla Grecia da un folletto bizzarro.
Pranzo rigorosamente a base di merluzzo preparato in tutte le salse con il padrone-cameriere-cuoco di una, forse l’unica, piccola trattoria sul molo dove file interminabile di carcasse di merluzzo stanno ad essiccare sotto una pioggerellina lieve, che inizia ad illustrarmi amabilmente, in uno strano inglese, il senso della vita in quelle lande isolate.
E’ strano, avevamo immaginato anche gli incontri, magari esagerando sulle “enormi” possibilità offerte dalle ragazze scandinave, ma il vecchio pescatore lo avevamo raffigurato proprio così con la pipa tipo Braccio di ferro !

Sorseggio il mio Cuba Libre, il ghiaccio si sta sciogliendo, Lidia mi incita a non fermarmi
“ Continua, e poi ..? “

Il ghiaccio. Gli splendidi Ullsfjord e Lyngenfjord con i monti innevati che si riflettono sulle acque spumeggianti. Era il nostro sogno. Attraversare terre completamente all’opposto dalle nostre, riempirci gli occhi di vedute insolite,incrociare le renne, attraversare i boschi di abeti e betulle per poi percorrere la tundra sempre più desolata.
Non sapevamo cosa aspettarci. La nostra era solo una sensazione, anzi più di una sensazione, era un imperativo da assolvere, si doveva andare e basta.

“ Perché sei andato ? “ mi chiede Sergio

Già, perché ? Si può avere o pensare di avere un obbligo morale, un debito da saldare nei confronti di un amico che non c’è più?
Perché sono andato?
Dovevo farlo.

Percorro la bellissima strada costiera e attraversando innumerevoli ponti adagiati sui fiordi arrivo a Gildetun. Ceno godendomi la vista sul fiordo in una luce innaturale, avevo dimenticato, preso dalla bellezza da brivido di questi luoghi, che sono nella terra del Sole di Mezzanotte !
Giungo ad Honningsvaag. Ho la pelle d’oca, mi imbacucco nel piumino mentre mi avvio alla mia meta. Non vedo il resto della gente, non mi accorgo quasi delle centinaia di gambe, di braccia, delle decine di lingue che si incrociano.
Sono arrivato !
71°10’21” latitudine Nord. Vado sotto il planisfero in metallo illuminato da faretti che emnettono una luce giallastra, guardo verso il nulla, verso una parete indistinta di nebbia ovattata. Alzando il braccio al cielo il dito indica in alto un punto preciso mentre le lacrime mi solcano il viso confondendosi con le goccioline di pioggia gelata.
Sono qui con te Enzo, siamo a Capo Nord !
L’abbiamo fatto ! Ci siamo stati !

I bicchieri sono quasi vuoti. Restiamo qualche minuto in silenzio. Guardiamo verso una sedia vuota, poi quasi ci fossimo accordati prima, ci alziamo e ci abbracciamo.
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MessaggioTitolo: Re: IL FARO - NUCCIO PEPE   IL FARO - NUCCIO PEPE Icon_minitime16/7/2009, 15:29

Votai cheers
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MessaggioTitolo: Re: IL FARO - NUCCIO PEPE   IL FARO - NUCCIO PEPE Icon_minitime16/7/2009, 15:58

me too, e ora vado a lavare i pavimenti
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Daniela Micheli
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MessaggioTitolo: Re: IL FARO - NUCCIO PEPE   IL FARO - NUCCIO PEPE Icon_minitime16/7/2009, 15:59

Oh io però il foglio di excel lo devo fare per davvero
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Giuseppe Buscemi
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MessaggioTitolo: Re: IL FARO - NUCCIO PEPE   IL FARO - NUCCIO PEPE Icon_minitime16/7/2009, 16:42

Daniela Micheli ha scritto:
Oh io però il foglio di excel lo devo fare per davvero
Io broglio Cool
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MessaggioTitolo: Re: IL FARO - NUCCIO PEPE   IL FARO - NUCCIO PEPE Icon_minitime17/7/2009, 18:50

Citazione :
La marcia di avvicinamento verso il mito
mito o simbolo?
l.
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Marco Naldi
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Marco Naldi


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MessaggioTitolo: Re: IL FARO - NUCCIO PEPE   IL FARO - NUCCIO PEPE Icon_minitime6/8/2009, 22:53

Votato.
Tre racconti diversissimi e belli....
Ciao.
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MessaggioTitolo: Re: IL FARO - NUCCIO PEPE   IL FARO - NUCCIO PEPE Icon_minitime2/9/2009, 23:22

letto tutto
vado a votare ...
'notte a tutti,
A.
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MessaggioTitolo: Re: IL FARO - NUCCIO PEPE   IL FARO - NUCCIO PEPE Icon_minitime

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