Le cose che sfuggono
no, le cose che sfiguro
sono come le cicatrici che mi faccio
e qui la realtà è così irreale
da stordire la mente e l’anima
un’assurda pazzia maledetta
che nasce con le parole
e muore insieme a loro.
Se potessi tornare a dio
come un piccolo germe in vitro
gli direi di smetterla
di fabbricare creature come me
che non sanno adeguare misura
di pupilla alla luce
e ne restano
irrimediabilmente folgorate
mute e silenziose dentro, assorte,
quanto apparentemente esplicite fuori, noncuranti ,
sensibili in ogni spazio che si muove
nel palpito sottile, o estremo
nuvola, foglia, persona,
inquiete vagano nei punti più fragili dell’essere
dentro gli abissi del loro grano interiore
nutrendo bagliori,
o ingerendo filosofie di plastica
per tornare a sera vuote
come marinai senza cielo