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 UNA STORIA

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Nuccio Pepe
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Nuccio Pepe


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MessaggioTitolo: UNA STORIA   UNA  STORIA Icon_minitime25/7/2019, 11:39

1

“Siediti Natham.”
La voce echeggiò nella stanza. Natham guardò di sfuggita le due figure alla sua sinistra. Un uomo distinto seduto con le gambe accavallate e una signora altrettanto elegante che lo guardava sorridendo.
“ I tuoi zii sono venuti a prenderti. Andrai ad abitare con loro e proseguirai gli studi in un'ottima scuola. Sei fortunato.”
Il Direttore dell'orfanotrofio parlava mentre scriveva qualcosa su dei fogli che estraeva da una carpetta ingiallita.
“Sono fortunato, sono fortunato” si ripeteva mentalmente il bambino.
Era la primavera del 1953. Natham aveva appena compiuto 8 anni. Era stato partorito subito dopo la fine della guerra, durante la liberazione dei superstiti dai campi di concentramento nazisti.
La madre aveva portato a termine la gravidanza con molta caparbietà, molta fortuna e tanto aiuto da parte delle sue compagne di prigionia. Era stata prelevata all’improvviso, quando già pensava di essere in salvo, per una soffiata da parte di uno dei tanti collaborazionisti che aveva condannato anche il marito Joachim.
Il volto sfregiato dal vetriolo, scelta coraggiosa, dolorosa ed autoinflittasi, le aveva evitato le violenze abituali da parte dei carcerieri, mentre le altre donne avevano creato una vera rete di copertura ed assistenza per aiutarla nella difficile gravidanza.
Il travaglio del parto era iniziato durante le fasi convulse che avevano preceduto l'arrivo delle avanguardie americane e russe. Poi un improvviso silenzio, con le figure scheletrite che vagavano disorientate lungo i cortili del campo di Dachau.
L'urlo della donna che partoriva si era confuso con il rombo delle prime camionette che arrivavano in colonna.
Dato alla luce il bimbo tanto tenacemente voluto, era spirata con una smorfia che a coloro che le stavano intorno era sembrato un  sorriso.
Joachim, il marito era sparito in una voluta di fumo acre e biancastro, alcuni mesi prima nel campo di Mauthausen.
Il neonato era stato affidato alla Croce Rossa e in seguito portato nell’istituto in cui era cresciuto.
Passati gli anni immediati del dopoguerra, erano state avviate una serie di ricerche e grazie alla testimonianza di una compagna di prigionia di Sarah, la mamma di Natham, era stato rintracciato lo zio, fratello del padre.
L’arrivo in quella che sarebbe stata la sua casa lo aveva lasciato letteralmente a bocca aperta.
Abituato al grigiore composto dell’orfanotrofio, Natham era rimasto alcuni minuti ad osservare le stanze, i mobili, i tendaggi, i lampadari.
Trascorsi alcuni giorni, una sera durante la cena lo zio tenendo la mano della moglie e guardandolo con un sorriso, dopo avere dato uno sguardo compiaciuto a Ben, suo figlio, lentamente, a voce bassa, gli aveva parlato a lungo di sua madre e di suo padre.
Un tremore lieve e continuo aveva scosso il corpo di Natham durante tutto  il discorso dello zio. Quando questi ebbe finito, con le lacrime agli occhi si era alzato ed aveva abbracciato a lungo quelli che erano diventati i suoi nuovi genitori, poi guardato Ben  lo aveva baciato sulle guance.
Gli anni trascorrevano in maniera tranquilla. Natham frequentava la scuola con discreto successo. Aveva sempre mostrato una mente viva, pronta a recepire e un carattere aperto, molto socievole, tutto il contrario di suo cugino Ben, il cui unico interesse oltre al cibo erano i soldatini e i trenini di cui possedeva una vera collezione.
Natham si era mostrato anche molto predisposto per le lingue, così oltre al tedesco aveva approfondito il russo, lingua di origine dei suoi genitori, il francese e l’inglese, stimolato dallo zio che ne preconizzava un impegno al suo fianco nel gestire gli innumerevoli affari di famiglia.
Ben, invece. non sembrava curarsi più di tanto delle attività del padre.
Spesso la sera Natham, avvolto in lenzuola candide ed odorose di lavanda, guardava per ore la foto ingiallita che ritraeva i suoi genitori il giorno del matrimonio.
L’aveva posta una cornice con vetro per paura che si potesse sgualcire ancora di più e consumare tenendola troppo a lungo tra le mani.
Suo zio David gli aveva raccontato di quel giorno, il giorno del matrimonio, celebrato di nascosto, con il rito ebraico con pochissime persone presenti, e di come fosse venuto in possesso della foto che avrebbe dovuto consegnare al fratello.
L’incalzare tragico degli eventi aveva accelerato la sua fuga, così la foto era rimasta tra i documenti che aveva con sé.
Il fluire lento del tempo nella casa di Salisburgo iniziava a stare stretto a Natham.
Dal suo intimo veniva una spinta al nuovo, alla necessità di confrontarsi con un mondo meno ovattato
Gli zii parlavano di un trasferimento a Vienna dove avrebbero potuto seguire meglio l’attività immobiliare che era diventata il fulcro degli interessi economici della famiglia. E a Vienna sarebbe stato possibile far proseguire gli studi, che zio David aveva già individuato in giurisprudenza per Ben ed economia per Natham, ai ragazzi.
Natham non aveva trovato il coraggio di dire allo zio che la sua passione era diventata la medicina, che il suo chiodo fisso era la mente umana, che aveva deciso di fare lo psichiatra. L'affetto che lo legava alla sua famiglia talvolta contrastava con i suoi sogni, si scontrava con la sua visione del futuro,della vita.
Aveva letto decine di libri, consultato gli Atti del processo di Norimberga, cercando di capire cosa ci fosse nella mente di “medici” che sperimentavano mostruosità su altri esseri umani.
Non aveva trovato una risposta valida.
Una sera di Agosto, una tiepida sera di un mese che era stato pieno di pioggia, raccolse poche cose, i suoi libri più cari e dato uno sguardo con gli occhi gonfi di lacrime ai suoi amati zii e a Ben, che dormivano ignari, si chiuse lentamente la porta alle spalle. Aveva deciso.
Era il 1963, Natham aveva appena compiuto 18 anni.

                                      2

“Siediti Natham.”
La voce di  Susan è ferma e si accompagna ad un mezzo sorriso.
“Dobbiamo parlare, con calma”
“Bene, ti ascolto.”
“ Abbiamo attraversato periodi importanti, di grandi stravolgimenti. Siamo nati
nel dopoguerra, abbiamo vissuto il boom economico, vissuto il ’68, attraversato
i cambiamenti. Adesso io  ho un’unica  grande ambizione: osservare. Poter osservare quello che avviene nel mondo, intorno a me. Capire, tentare di capire”.
Natham la guarda senza ancora realizzare quello che sta accadendo.
A 24 anni il mondo sembra ancora girargli intorno, ma gli sfugge il senso di quelle parole.
“ Me ne vado Natham, devo cambiare, ho bisogno di normalità, sono stanca di cortei, scioperi, comunità, ho bisogno di stare anche da sola con qualcuno, anche con te. Tu hai sempre esigenza di ”comunicazione”, di essere circondato da gente, amici, sconosciuti. Forse ti rimpiangerò, ma ora vado.”
Chissà perché gli ritornano in mente quelle frasi, nette, vivide come se Susan fosse ancora davanti a lui. Era una fredda serata di fine Dicembre, per le strade i preparativi per salutare l’arrivo del 1971.
Come gli sembra lontana, in tutti i sensi, la sua Vienna. Mantiene tuttavia rapporti cordiali con la famiglia dello zio David, in fondo rappresentano il legame con la sua storia, sono le sue radici.
Era riuscito a completare in maniera brillante gli studi di Medicina e si era specializzato in psichiatria, senza trovare la risposta alle domande che a volte gli martellavano la mente.
Come l'uomo può decidere di eliminare altri uomini, di torturarli, di tentare di cancellare il loro ricordo, quello che Pavese definiva come l'unica cosa immortale …
” l'uomo mortale non ha che questo di immortale. Il ricordo che porta, il ricordo che lascia” ?
Abita in Italia da alcuni anni, sente la gente, il paese, i sapori  come suoi. Era giunto per uno stage all’ospedale psichiatrico di Volterra e non è più andato via.
Nell’Agosto del 1980, di ritorno da un viaggio in Portogallo aveva fatto una lunga deviazione e si era fermato a Bologna. Aveva appena letto sui giornali della strage. Voleva vedere.
Ha appena fatto due passi nel Parco della Montagnola. Si ritrova ad essere libero da impegni  fino a  sera e ne approfitta per girovagare tra le strade di Bologna.
Attraversa Piazza 20 Settembre e svolta a sinistra.
Si ritrova dentro la Stazione Centrale quasi senza accorgersene.
Per ricordare la strage del 2 Agosto 1980, nella ricostruzione dell'ala della stazione distrutta è stato creato uno squarcio nella muratura.
All'interno, nella sala d'aspetto, è stata mantenuta la pavimentazione originale nel punto dello scoppio.
Il settore ricostruito presenta l'intonaco esterno liscio e non "bugnato" come tutto il resto del fabbricato, in modo che sia immediatamente riconoscibile e più visibile.
È stato mantenuto intatto uno degli orologi nel piazzale antistante la stazione ferroviaria, quello che si fermò alle 10:25.
Qualche tempo dopo la strage l'orologio venne rimesso in funzione, ma di fronte a decise rimostranze le Ferrovie convennero sull'opportunità che quelle lancette rimanessero ferme a perenne ricordo.
I treni in partenza ed in arrivo, qualche fischio dei locomotori, gli avvisi gracchiati dagli altoparlanti, basta questo per farlo ripartire ancora sull’onda del ricordo.
E mentre la mente vaga gli sovvengono delle parole di Neruda che ha fatto sue :
“ Queste memorie o ricordi sono intermittenti e a tratti si smarriscono perché così appunto è la vita..L’intermittenza del sonno ci permette di sostenere i giorni di lavoro.”
Sì, era passato da Bologna per vedere.
Davanti agli occhi ora ha la visita dell’Alfama, l’antica Lisbona con le sue viuzze strette, panni stesi ad asciugare, i tramway, le facciate delle case ricoperte da ceramiche multicolori, a loro volta ricoperte da manifesti politici, murales, odori intensi.
Caffè e gelato al Rossio, il salotto di Lisbona, allegria e discussioni. Un viaggio in Portogallo per vedere cosa restava della Rivoluzione dei Garofani.
L’incontro con Armando e Alcinda.
Da un’informazione stradale erano passati a parlare, architetto lui, citologa lei, comunisti tutti e due. Detto fatto si erano guardati, invitato Natham e il suo amico a salire in macchina e via per le strade di Lisbona.
Era stato inevitabile tornare indietro, parlare della Rivoluzione dei Garofani. Finalmente la tanto agognata “comunicazione”.
Armando era un fiume in piena:
“ In aprile a Lisbona le giornate sono già calde e i mercati sono pieni di fiori, garofani in particolare, e così a simbolo della libertà ritrovata e della voglia di smetterla con la guerra e le repressioni, i cittadini di Lisbona cominciarono a donare garofani rossi ai propri militari, molti dei quali ponevano i fiori nelle canne dei loro fucili. “
Alcinda continuava impaziente :
“ Quello divenne il simbolo della favola rivoluzionaria, la rivoluzione dei garofani, che fece il giro del mondo invitando tutti a deporre le armi e a liberare i popoli oppressi.A più di un anno da quel 25 aprile furono poi indette le prime elezioni e formato il primo Parlamento libero.” 
Erano poi andati ad ascoltare il famoso Fado in un locale “ non per turisti”.
Vino, olive e Fado, c’erano sono solo portoghesi, donne bellissime dal viso olivastro ed uomini coi lineamenti scolpiti che piangevano come bambini ad ogni canzone.
Si erano lasciati con grandi abbracci, baci e promesse di ritornare, poi Armando e Alcinda erano spariti come erano apparsi.
Ancora un fischio.
Un treno in partenza.
Ricorda all’improvviso anche spezzoni di una intervista letta alcuni anni prima,
che lo aveva colpito per la descrizione di quegli eventi avvenuti nell’ormai lontano 1974 :
“ ….. fu un trionfo per la democrazia perché è saltato il tappo di un totalitarismo durato 47 anni. C’è stato uno scoppio di libertà in tutti i sensi.
Quella é stata una vittoria della democrazia che a un certo punto è diventata quasi ebbra. C’è stata un’ubriacatura collettiva, una felicità enorme, con manifestazioni che riguardavano non solo l’aspetto politico ma anche quello sociale, antropologico, artistico. Era un tappo che aveva coperto l’essere umano per 47 anni e quindi c’era anche una grande allegria, una gran gioia e una gran vitalità “
Continua a seguire il flusso dei suoi pensieri.
“Ho vissuto, ho visto, ho amato, ho fatto tutto sempre con grande gioia e vitalità. Forse è stato un bene che Susan mi abbia lasciato”.
Esce, sorridendo continua il suo giro per Bologna.

                                    3

“Siediti Natham.”
La voce di  Peter è ferma e si accompagna ad un mezzo sorriso.
“Dobbiamo parlare, con calma”
“Bene, ti ascolto.”
Si conoscono da oltre quaranta anni. Erano allora giovani studenti di Medicina. Era nata una forte e sincera amicizia, cementata dalla comune passione politica e dall'amore per la vita.
Avevano fatto discussioni interminabili su come cambiare il mondo, avevano parlato degli amori impossibili, delle conquiste reali o semplicemente immaginate, avevano sezionato ogni capello, ogni centimetro di pelle intravista sotto la gonna svolazzante di quella che “chissà se la darà mai” , incontrandosi nel “loro” locale.
Natham veniva dalla fuga da una realtà ovattata ma forzata, Peter giungeva dalla provincia, pieno di speranze ma con le tasche vuote.
Ora sono entrambi stimati professionisti. Peter è il primario di una delle migliori Divisioni di Medicina Interna, una vera autorità anche in campo internazionale.
“ Abbiamo il risultato degli esami, ora non ci sono più dubbi”.
Natham lo guarda diritto negli occhi, ma sembra non vederlo.
Una sensazione di vertigine lo attanaglia, sente un ronzio nelle orecchie che si mescola alla voce di Peter.
“ Ecco ci siamo, sono arrivato al capolinea. Sto morendo ! “
Il pensiero lo angoscia, sente il battito che si affievolisce, rallenta, ha come un sobbalzo sulla sedia.
E’ incredibile quanti pensieri, ricordi, idee possano affollare la mente in pochi secondi.
“Chissà se è vera la storia del tunnel con la luce in fondo ?”
I volti si affollano, rivive in un turbinio la sua vita.
Natham pensa che gli piacerebbe rivedere molte persone, amici, amanti.
“ Se ce la faccio mi impegno a ricontattare tutti.”
Vorrebbe dire tante cose ma non gli esce nessun suono dalla bocca asciutta, solo una specie di rantolo.
“Che strano, il film della vita, come banalmente si dice, mi scorre davanti ancora : chi sei ?  Chi siete ? Perché io ?”
“ Natham, ascoltami, è tutto, purtroppo, confermato. E' una delle forme più maligne, più gravi”.
Il senso di vertigine si fa più forte, ha un conato di vomito.
In bagno, solo, si libera in un pianto convulso. Natham si guarda allo specchio, vede le lacrime che scendono in modo ordinato, attraversano la barba, gocciolano convergendo sul mento.
Un nuovo conato di vomito.
Ha deciso.
“ Peter, ti ho sempre confidato tutto, sei un amico vero, quasi un fratello, forse più di un fratello, quindi ascoltami e rispetta la mia decisione”
“ Come vuoi Natham, sono stato medico, ma ora sono solo il tuo amico, ti ascolto”.
“ Non voglio fare nulla, assolutamente nulla, nessuna terapia. Continuerò a vivere, a lavorare, se ci riesco, voglio viaggiare, tanto, incontrare più gente possibile.”
Una pausa, Nataham si asciuga una lacrima tardiva.
“ Andrò a vedere i tramonti in Africa, sorvolerò in mongolfiera i deserti australiani, andrò a poggiare i miei piedi sui ghiacci perenni, mi ubriacherò con te ridendo dei nostri ricordi. Amerò ancora di più, se possibile, la mia Hanna.”
“ Ma allo stesso tempo, se ci riuscirò, non lascerò bocca che non avrò baciato.
Non lascerò donna che non avrò amato. Si possa trattare anche di un amore appena pensato, non confessato. Non lascerò che il tempo si beffi di me.
Ne godrò. Lo sfrutterò finchè potrò e non guarderò con nostalgia a ciò che ho fatto,
ma dimenticherò ciò che non avrò fatto”.
Peter sente un groppo in gola, è fortemente commosso, le parole di Natham lo hanno scosso. Un vortice di parole gli attraversa la mente, vorrebbe dire qualcosa.
Riesce solamente ad alzarsi, anche se sente come un peso opprimente che sembra schiacciarlo alla sedia, va verso Natham.
Lo abbraccia in silenzio, il suo amico non riesce a vedere le lacrime che adesso attraversano anche il suo volto.
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Daniela Micheli
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MessaggioTitolo: Re: UNA STORIA   UNA  STORIA Icon_minitime28/7/2019, 19:49

Nuccio, il tuo Natham, della prima e seconda parte, lo ricordo. Vidi allora il bimbetto nato dalla devastazione di una guerra, poi lo vidi adulto andare per le strade portoghesi a festeggiare la Rivoluzione dei Garofani, poi ancora quell'orologio fermo alle 10.25 del 2 agosto del 1980.
La terza parte no, non la ricordavo. Resto in rispettoso silenzio, qua, perché Natham fa una scelta, esercita un libero arbitrio che io, personalmente, rispetto, perché Natham vuole suggere la vita fino al suo ultimo respiro. Così si dovrebbe potere vivere e così si dovrebbe poter morire.
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Stefania Albani
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Stefania Albani


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MessaggioTitolo: Re: UNA STORIA   UNA  STORIA Icon_minitime29/7/2019, 13:57

Avevo letto la tua storia qualche giorno fa e ho volutamente preso tempo per elaborare le emozioni, perché in questo racconto c’è una vita intera. Ci sono delusioni, iniziative, abbandoni, nostalgia, violenza, dolore, amore. Amore anche verso la vita, soprattutto nel momento in cui decide di andar via.
Anch’io forse non approvo la decisione finale di Natham ma la rispetto. E’ la SUA storia, è LUI che deve fare quello che si sente di voler fare e nessun altro deve intervenire.


Una nota “tecnica” (se posso permettermi): dove si parla della strage di Bologna il racconto diventa, a mio avviso, un po’ troppo didascalico e con presenza di troppi “è stato”.

Per ricordare la strage del 2 Agosto 1980, nella ricostruzione dell'ala della stazione distrutta è stato creato uno squarcio nella muratura.
All'interno, nella sala d'aspetto, è stata mantenuta la pavimentazione originale nel punto dello scoppio.
Il settore ricostruito presenta l'intonaco esterno liscio e non "bugnato" come tutto il resto del fabbricato, in modo che sia immediatamente riconoscibile e più visibile.
È stato mantenuto intatto uno degli orologi nel piazzale antistante la stazione ferroviaria, quello che si fermò alle 10:25.
Qualche tempo dopo la strage l'orologio venne rimesso in funzione, ma di fronte a decise rimostranze le Ferrovie convennero sull'opportunità che quelle lancette rimanessero ferme a perenne ricordo.


Lo alleggerirei un po’. Per il resto, molto molto bello!
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Nuccio Pepe
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MessaggioTitolo: Re: UNA STORIA   UNA  STORIA Icon_minitime29/7/2019, 16:03

Cara Daniela, il racconto si è evoluto ...sia tu che Stefania avete ragione nel rispettare la scelta di Natham.
Non sempre scegliere o decidere è facile o semplice, in ogni caso ognuno di noi sceglie convinto di farlo nel modo migliore, anche sbagliando.
Grazie Stefania per le osservazioni ..e per i complimenti !
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MessaggioTitolo: Re: UNA STORIA   UNA  STORIA Icon_minitime22/11/2019, 08:54

sì, in questo racconto c'è tutta una vita; sostengo la scelta finale di Nat. Una volta si deve morire, a una certa età non serve andare oltre e posticipare il destino. Meglio gestirlo, che sforzarlo.
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MessaggioTitolo: Re: UNA STORIA   UNA  STORIA Icon_minitime

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