SABATO
7
Le scarpe da vela aderivano al ponte come ventose, la cerata riparava dal freddo, nel buio poteva manovrare sicura; si senti-va padrona del mare quel sabato sera, ma c’era sempre un’ondata imprevista a ricordare chi comandava. Uno schiaffo gelato sul viso, e poi più niente; un’altra virata.
Quella faccia di sale mostrava occhi come fessure; arrossati, stretti, per vedere nel buio; sulla lingua il sapore della tensione, delle ore trascorse al timone.
La nottata era lunga.
Ventisei ore senza dormire, altre dodici di navigazione; ma non importava.
L’importante era fare quello che doveva; per vincere il sonno sapeva come fare. Stare in piedi; bere di continuo, indossare abiti asciutti, ogni volta che poteva, ma più di ogni cosa, parlare, anche da sola, con gli strumenti di bordo, col mare.
Guardò la luce, illuminava la punta dell’albero che ondeggiava, piegò la testa e osservò la forma delle vele, spostò il carrello del boma per appiattire la vela, diede uno sguardo a poppa e prua, per essere sicura che le luci fossero accese: doveva essere visibile, tenersi occupata.
Il mare era il suo elemento, diceva Giulio.
Ma Giulio che ne sapeva?
Giulio non aveva immaginazione, faceva l’avvocato.
Adesso non era più niente, lo stronzo, solo un manichino senza fili con un buco in pancia.
- Piaciuto il fuoco d’artificio, Giulio?
Cazzò la scotta, appiattì la randa scaricando la tensione, sorrise: se l’era meritato, l’avvocato.
- … e non sai il resto... povero Giulio! - aggiunse biascicando le parole.
Per arrivare col buio nel punto stabilito, doveva rimanere concentrata. E per cambiare vita doveva fare solo ciò che aveva programmato, senza esitare.
Illuminò la cartina e prese un respiro. Vedeva chiaro adesso … Dieci miglia fuori dal porto... pensò
Cercò col dito la legenda in fondo alla cartina, le servivano conferme … Profondità della batimetrica in quel punto, e aggiunse:
- … centoventi metri di fondale: perfetto.
L’orologio confermava le previsioni, ora d’arrivo al punto, circa quattro ore.
La stella polare se ne stava nascosta dietro le nuvole. Lei sapeva dove cercarla di notte, ma non si vedeva; il grande carro fa-ceva le bizze, anche quello era nascosto; Venere e Orione neanche a parlarne, offuscate dall’opacità della luna; le altre stelle giocavano a rimpiattino dietro cirri neri, che si muovevano veloci.
Pensò che il vento stava girando: il tempo migliorava. La perturbazione passava veloce, come previsto. Pensò che sarebbe stato difficile navigare senza strumenti, con le stelle, e prese la bussola portatile. A tratti uno sprazzo in cielo più chiaro mostrava un piccolo quarto di luna che illuminava un mare scuro, senza in giro nessuno.
Aveva scelto la serata giusta.
Accese una sigaretta e buttò via il pacchetto: il guanto annerito nel punto dove la stringeva, le fece ricordare che avrebbe dovuto smettere. Il puntino luminoso di brace rischiarò una faccia decisa.
Aveva le gambe stanche, e molta fame. Prese un quadratino di cioccolato dalla cerata e si mise a saltellare, soffiando nei guanti, per potersi scaldare.
La barca salì sull’onda.
Sembrò sollevata di peso da un gigante.
Alzò la prua ed ebbe un senso di vuoto, pensò che non si sa-rebbe abbassata. Mai più.
E invece ricadde nell’onda successiva. Una valanga d’acqua attraversò la barca lasciandola inzuppata.
- Porca puttana! Rolla troppo, devi cazzare, cazzare. E stare SVEGLIA. Non dormire.
Il vento fischiava tra le sartie in un suono lugubre e continuo, ma lei non lo temeva, non era il vento il problema.
A momenti quel muro d’acqua faceva impressione.
Giulio avrebbe vomitato. Pensò…
- Meglio stare disteso, vero Giulio? …
Navigare col buio aveva un vantaggio.
Le onde le vedevi quando le avevi addosso.
Guardò a dritta, e vide arrivare un mercantile sbucato dal buio, chissà da dove. Si era distratta, e loro non l’avevano vista nel radar, la vedetta sicuramente dormiva.
- Bastardi…- Gridò.
In fretta prese timone e virò.
La vela sbatteva, sembrava si dovesse strappare, la barca si piegò e il mare l’intraversò, ma il bestione fu scansato, la barca passò sopra vento, sfiorando la nave di qualche metro.
- Maledizione… - Gridò.
Poi guardò la sagoma del mercantile sparire nel buio. Forse l’avevano vista.
Guardò l’orologio e si scosse: era l’ora.
Si affacciò sotto bordo e guardò il GPS; vide il segno della posizione della barca e il puntino.
Erano vicini.
Sotto il quadrante del video c’era scritto: un’ora, tredici minuti. Sette miglia. All’arrivo.
È l’ora.
Pensò.
Allungò il braccio e tirò fuori il battellino.
Era impregnato di borotalco impaziente d’essere usato.
Lo gonfiò, l’assicurò con una gassa all’occhiello di traino con una cima, andò a poppa; montò il motorino e agguantò la tani-ca di miscela, legò il gommone allungò la cima, di quattro cinque braccia dalla barca a poppa, e tornò in pozzetto a prendere sacca e bussola.
Sul cartografico mancavano ventidue minuti.
Scese in cabina e si cambiò. Infilò la muta da sub a pelle, agganciò la cerata sopra al maglione di pile, si sedette al tavolo da carteggio con il microfono della radio in mano e sintonizzò il canale.
Lanciò la richiesta:
- Mayday, mayday, mayday…
Tre volte, come prevedevano le regole di soccorso in mare. Poi silenzio.
Un sibilo improvviso della radio, e poi di nuovo la sua voce a riempire il silenzio e ripetere una richiesta che sembrava un gioco.
- Mayday, mayday, mayday...
Finse ansia nella voce, e aggiunse con un tono più alto:
- Mayday, mayday, mayday. Imbarcazione a vela Orchidea, … posizione … soccorso, socc...
Frasi smozzicate; come in una difficoltà di trasmissione. Modificò la voce, voleva lasciare intendere d’essere nel panico.
- Mayday, mayday, … Orchidea” … Disalberato, … barca … rovesciata …
Il gracchiare della radio riempì il silenzio; il vento a tratti più intenso copriva la trasmissione; sembrava non ci fosse nessuno, ma poi la voce risuonò perentoria, nella radio.
- Qui capitaneria di Porto. Avanti imbarcazione Orchidea. Ripetere posizione, e motivo richiesta soccorso. Passo.
Nuovamente la radio sibilò, e lei, girò la manopola e la spense.
Il silenzio sarebbe stato completo se non fosse stato per il vento che portava rumore fin sotto coperta. Con la mano stretta sulla manopola della radio ormai spenta, aggiunse:
- Imbarcazione Orchidea, affondata …, ‘fanculo Capitaneria …
Tornò sul ponte e, con pinze e cacciavite, svitò le sartie sotto vento. Non avevano la posizione della barca, non l’avrebbero trovata.
Le sartie penzolavano, mentre la barca navigava sulle altre mura.
Alla prima virata, avrebbe disalberato.
Prese il timone e virò.
Le vele passarono sull’altro bordo, l’albero si inclinò, staccandosi dalla base. Si rovesciò in mare con il suo carico di vele, in meno di cinque minuti, senza emozione negli occhi di Orchidea.
Gli oblò delle cabine erano aperti, ma non per distrazione.
La barca sarebbe affondata.
Stretta nella muta balzò nel gommone con la sacca a tracolla, coltello in mano, fiato spezzato, taglio la cima che lo legava, e l’onda lo sollevò e lo portò lontano dalla barca.
La barca affondava.
Ci mise sette minuti. All’orologio da polso di Orchidea. Lei ne aveva stimati nove.
Tirò la cimetta di avviamento del motorino. Dopo uno sbuffò e una nuvola densa di fumo, emise un ronzio, e si avviò.
Ancora due ore con quel mare, forse di più.
Pensò.