DOMENICA
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La stanza, uguale a tante altre, aveva pareti imbrattate alla meglio; imbiancate di fresco solo dove c’erano rappezzi per riparare i buchi nel muro.
Sui muri, con pezzi di scotch ingiallito, erano attaccate istruzioni per entrare in polizia; e un monitor sulla scrivania di le-gno e metallo, era l’unica nota moderna di un arredamento di un secolo prima.
- … è una settimana da oggi.
- E non lo ha cercato prima?
- Certo, l’ho cercato. In studio, da amici, al telefono, o-vunque. Niente. Sparito. Dissolto.
- Perché non è venuta prima?
- A volte sparisce per giorni. Per lavoro.
- E allora perché oggi è preoccupata?
- Le segretarie non sanno dove è finito. Non sanno che cosa inventare con i clienti. E poi Mariana, la nostra domestica di fiducia...
L’odore che aleggiava nella stanza sapeva di fumo come il respiro di Emanuela Fioravanti che si era decisa a cercare Giulio, suo padre, uscendo senza neanche lavarsi i denti.
Cettina Fioravanti, sua madre, non era più gestibile; casa sua, sarebbe stata un casino, se non per Mariana. Lei le aveva fatto strani discorsi, parlato di certe mail trovate appallottolate per terra in studio, e di strane conversazioni notturne al telefono, quando suo padre si attardava a lavorare nella stanza accanto alla sua.
E poi di certe fotografie…
E Marco, il fidanzato, era stato chiaro: - Non puoi vivere così, Manu, deciditi.
E lei si era decisa.
Aveva infilato i riccioli neri appena lavati nel casco, le dita con le unghie mangiucchiate nei guanti di pelle che teneva sotto la sella, inforcato il motorino ed era volata in piazza Batoni: al commissariato.
Il commissario non l’aveva ricevuta.
Lo stronzo aveva da fare.
Si era accomodata davanti ad un poliziotto in borghese con aria annoiata, la barba lunga, la sigaretta tra le dita, che picchiettava con un dito il verbale della denuncia.
Era infastidita.
Non si fuma in servizio, aveva pensato
- Potrebbe almeno smettere di fumare, per favore?
- Perché, lei non fuma?
- No, non fumo. E non quelle schifezze!
- Che cosa fuma?
- Non sono affari suoi… A che punto è arrivato?
- Ho scritto le sue generalità, stia tranquilla, e continui.
Il ticchettio della tastiera era simile al rumore che le aveva descritto Mariana. Quello che proveniva dallo studio di suo padre ogni notte da mesi. Lei, non si era mai accorta di nulla, se il padre era fuori o in casa, a lei non importava.
Ma Mariana aveva spiegato, c’era qualcosa di strano in quel modo di fare, e lei, lo aveva riportato al bellone che fumava seduto di fronte, come se lei non ci fosse.
Era stata la domestica, a dirle di andare a denunciare la scomparsa del padre; e lei era li, adesso, infastidita e nervosa.
- …ma sei appuntato, maresciallo, o che cosa? Come ti devo chiamare?
- Mi chiamo Luigi. Luigi Cantalamessa: agente scelto da un mese. Sezione investigativa, a disposizione.
- Sezione investigativa?
- Si, investigativa.
- E scrivi verbali?
- Certo, quando il collega sta in ferie.
L’abbigliamento sportivo del sergente scelto Luigi Cantalamessa, era conforme all’età che mostrava. Tenta anni, forse trentadue; capelli ricci neri, occhiali tondi, maglietta della Nike, jeans e scarpe da ginnastica, anello al mignolo e orecchino all’orecchio sinistro come Maradona.
Le era sembrato strano, perciò aveva chiesto.
- Le lasciano portare l’orecchino?
- Certo. Sono dell’investigativa. Piuttosto, mi dica… ma suo padre è l’Avv. Fioravanti, quello che ha lo studio in via Dei Macci 32?
- Certo, è lui. Ma lei come lo sa?
Il sergente teneva in mano un fascicolo, anzi, un faldone. Sopra c’era un nome: ORCHIDEA 2.
Emanuela si chiedeva che cosa ci azzeccava quel faldone, e la barca di suo padre, ma il sergente non aveva risposto; era uscito col faldone ed era tornato, poco dopo, con un tipo alto in giacca e cravatta.
Dopo tre ore di domande l’avevano lasciata andare chiedendole di rimanere in città.
- Ma dimmi Luigi …, l’avete poi scoperto chi è questa cazzo di Orchidea?
- Si, Commissario. Abbiamo chiesto al commissariato di Milano, e ci hanno mandato la scheda per posta elettro-nica. Insegna inglese, in una scuola di Milano ma pare che sia sparita pure lei.
- Sparita?
- Sì, da venerdì sera. Più o meno da quando è sparito Giu-lio Fioravanti.
- Ma che c’entra questa Orchidea, con Giulio Fioravanti?
- Se la scopava.
- E… l’avete cercata per questo?
- L’abbiamo cercata per mare e per terra. C’è una richiesta di soccorso pervenuta alla capitaneria, nella notte tra ve-nerdì e sabato, da una barca che si chiamava ORCHIDEA…
- Ma non si chiamava Orchidea 2 la barca di Giulio Fiora-vanti?
- Sì. Cioè, no, Commisà. ORCHIDEA è la barca della donna che si chiama pure Orchidea. Quella che forse è naufragata, c’è stato mare, in questi giorni… Orchidea 2 invece, è la barca dell’avvocato Fioravanti; sparita dal porto sabato mattina. La stiamo cercando, anche se…
- Anche se?
- Bhe, se ha raggiunto le coste francesi… Ma la troviamo, la troviamo...
- Quindi se ho capito bene, Orchidea è una donna; insegna a Milano, tiene una barca che si chiama ORCHIDEA, ed è l’amante di Giulio Fioravanti che tiene un’altra barca, che si chiama ORCHIDEA 2?
- Sì Commissà, così sembra.
- Cantalamè, per favore… non dire stronzate, non fare illazioni. Indaga meglio. Stai qua da meno di un mese e già ti credi il Commissario Montalbano. Per favore fai indagini serie. L’avvocato Fioravanti è un galantuomo. Mettici prudenza. Fai passare altre 48 ore e poi comincia ad indagare con discrezione. Una barca non può sparire.
- Commissà, quello con la barca portava un sacco di soldi all’estero. Lo tenevamo d’occhio da mesi per riciclaggio di denaro sporco…
- Ma che vai dicendo Cantalamè? Com’è che non so niente di sta cosa? Tu mi vuoi far trasferire in Sardegna? Per favore, indaga, indaga bene, che io ho da fare.
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La barca che entrò nel porto di Antigua, aveva fatto la rotta prevista nel depliant.
Era tutto vero: il grande marina di Bas de Fort, il porto tra i più protetti dei Caraibi; Gosier, l’isola nei pressi del capoluogo, paradiso degli appassionati di wind e kite surf.
Un eden.
Quello che offriva il charter, per non parlare della barca…
GIULIO CESARE: un veliero di oltre sessanta piedi.
Venti metri di classe sfrontata, tre alberi, tre pennoni, eleganti e discreti: un brigantino italiano, comodo e veloce.
Navigava come una donna elegante tra gli sguardi ammirati della gente; una coperta di teck, capolavoro di falegnameria; ogni angolo arrotondato, lavorato e studiato per esaltare le linee morbide. Le camminate laterali terminavano in un pozzetto a poppa che ricordava il cassero di un antico veliero.
Sembrava un galeone spagnolo; un veliero pieno zeppo di tecnologia ed elettronica, in grado di navigare da solo.
Al timone c’era lei: Jolanda. Ma non era la figlia del corsaro nero. La società di Charter proprietaria di quella e di altre im-barcazioni, navigava in tutti i Caraibi, si chiamava: - Alla ricerca di Giulio -
Jolanda, arrivata ad Antigua in aereo con un borsone, la cerata e un’aria malinconica, aveva comprato il veliero in disarmo, El Totuga, l’aveva rimesso a nuovo, cambiato il nome con GIULIO CESARE, e da un anno, faceva Charter in giro per tutti i Caraibi, con una ciurma di ragazzini cui aveva insegnato lei stessa ad andare a vela.
Tutti la conoscono in quella zona, come Jolanda: l’orchidea nera dei Caraibi.