è stato questo che posto sotto. Io scrivo da meno di un anno e ho cominciato così, con questa descrizione di un mio ragazzo, che assistevo all'Istituto Don Carlo Gnocchi quando facevo l'assistente socio-sanitario, nel reparto che ospitava le più gravi patologie. Me ne sono andato dopo undici anni e risvegli notturni di soprassalto dal piangere i ragazzi che mi morivano attorno.
Odori
Si muoveva a tentoni, lentamente, interpretando la realtà che lo avvolgeva e che pareva accorgersi di lui solo quando andava a sbatterci contro.
Una caduta da piccolo gli oscurava la vista e solo ombre indistinte s’agitavano nei suoi occhi, gesticolando ordini che gli scandivano la vita.
Ordini che, negli apparecchi acustici appesi alle sue orecchie, si ricomponevano in fastidiosi ronzii che le pile, quasi sempre scariche, gli risparmiavano. Era quindi sballottato, in orari prevedibili e con altri bambini che, come lui, andavano alla mensa o nelle aule di riabilitazione o ancora nelle camerate, a vivere quella vita che le persone normali considerano ingiusta e crudele. La sordità quasi completa, vinta solo da sibili acuti, non gli lasciava comprendere il linguaggio parlato, tanto quanto la debolissima vista non distingueva quello dei segni. Per queste ragioni lui non sapeva parlare. Lo stesso sorriso che gl'illuminava il viso era visto come un segno di demenza, per la convinzione generale che chi non conosceva il senso delle parole non poteva usarle per dare forma a un pensiero razionale. Nessuno sospettava che, essendo formato da immagini mentali, più che razionale il suo pensiero era globale. La sua immaginazione danzava leggera, tra arabeschi intessuti di sensazioni tattili e odori che agili dita, lingua e un olfatto allenato, ricamavano. Le rare carezze che riceveva lo irradiavano di una tenerezza tiepidamente profumata d’essenze e sudori che lo inebriavano e, quando le sue mani s’allungavano per ricambiare il contatto visualizzava, sullo specchio della mente, folate d’energie colorate che esprimevano gli stati d’animo di colui che era sfiorato; allegrie, timori, affetti e compassioni s’alternavano in vibranti volute che si depositavano sui suoi ricordi, rigenerandoli. Non erano però le percezioni che gli addolcivano il sorriso, ma la comprensione che esse arricchivano. Come un punto senza dimensione, nello spazio, genera una retta e questa, a sua volta trascinata, determina il piano che si comporrà, con altri piani, in un volume solido, le sue trasparenti sensazioni assumevano forme e dimensioni che divenivano concrete e costituivano le colonne di fantastici templi nei quali, sull’altare del sorriso, lui onorava l’esistenza. La magia della condensazione energetica, sconosciuta ai più, era per lui consueta e visibile perché il peso, la concentrazione della realtà, gli si manifestava in forme sottili che aveva imparato a leggere e capire. Le individualità, che erano state solo ombre nel suo passato, per lui ora brillavano d’emozioni luminescenti e profumate, in un silenzio tintinnante che non lottava più con le logiche futili che rifiutano l’apparente paradosso nel quale si dibatte la vita. L’istante privo di durata che, sommato a se stesso, origina il tempo, non lo sconcertava più del tocco timido di un compagno che in questo modo diceva d’esserci, e anche il dolore era visto come l’incastonatura che impediva al prezioso gioiello, che è la vita, di perdersi.