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 Quando la Morte ascolta - 2 - Il prestito

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Mario Malgieri
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MessaggioTitolo: Quando la Morte ascolta - 2 - Il prestito   Quando la Morte ascolta - 2 - Il prestito Icon_minitime30/5/2008, 08:21

Sull'altopiano dei Sette Comuni, il mese di Giugno è uno dei più belli.
La neve può ancora far capolino sulle cime che lo contornano, il Grappa, la Cima Dodici, l'Ortigara, ma i rilievi più dolci e i pascoli sono ricchi di colori e profumi mentre nelle selve risuona il canto del cuculo e di mille altre creature.
Ma il Giugno del 1917 offriva una visione del tutto diversa.
In particolare, sui crinali e sulle cime dell'Ortigara, il fumo e il colore rosso avevano sostituito l'aria tersa e il verde dei pascoli mentre l'odore della cordite, il battito ritmico delle mitragliatrici e i boati delle artiglierie avevano tacitato ogni suono della natura.
Da settimane quei luoghi erano teatro della rappresentazione di come gli uomini fossero capaci di dare e cercare la morte oltre ogni ragionevolezza, oltre ogni concetto di "umanità". In particolare, la quota 2003 da due giorni si era trasformata nel macello dei battaglioni italiani e imperiali, che se la contendevano in uno degli scontri più feroci dell'intera guerra, che di ferocia non faceva certo economia.
Più a valle, accanto alla malga Mandriele, appena defilato dalle prime linee, un piccolo ospedale da campo cercava disperatamente di dare un aiuto a chi, ferito, era tanto fortunato da essere trasportato sin lì in qualche modo, spesso a costo della vita degli stessi soccorritori.
La notte era stata un incubo, con decine e decine di corpi martoriati portati lì per un soccorso il più delle volte inutile, e la giornata si annunciava altrettanto pesante.
Il responsabile dell'unità del corpo di sanità, capitano Carbonari, che non amava sentirsi chiamare con quel grado sentendosi molto più legato alla sua professione medica, si era appena gettato sulla brandina, spossato, e stava tentando di prendere sonno.
- Dottore, questa volta lo ha addirittura messo in versi!-
L’infermiera fece irruzione nella tenda che fungeva da studio e camera da letto del dottore. Sventolava un foglio di quaderno sgualcito, segnato da una scrittura a matita dai caratteri incerti.
- Di cosa sta parlando, signorina Loreti? Chi ha messo in versi cosa? - La voce del dottore era stanca e leggermente irritata. - Mi scusi dottore, parlo di Obialero, quel ragazzo amputato alla gamba sinistra sei giorni fa, il 13 mi pare. Il suo incubo ricorrente lo ha messo in versi, ne ha fatto una poesia.
Il dottor Carbonari sospirò, alzò la luce della lampada a petrolio che spargeva un chiarore giallastro, si mise sul naso gli occhialini che teneva sempre appesi al collo assieme allo stetoscopio e cominciò a leggere a voce alta.


Lassù all’Agnella vessilli laceri
ardon, mani di mille e mille martiri
supplici all’oscuro ciel si tendono,
delle lor patrie eroi.

Correvo, e del cor sentivo i palpiti,
colpito tra l’erba caddi selvatica,
fuggivan tra le pietre sangue e lacrime
con lor la vita, rapida.

Sfiorò leggera il viso, carezzevole
mano di donna antica, chioma candida.
“quante ancor ne trarrò, miseri giovani
di vital alme vostre?

Della tua oggi ancor ti lascio prestito
ma rammenta che i giorni brevi corrono.
Placato, scese dolce calma all’anima
di troppo dolor lacera.


Il dottore, che aveva sempre amato la letteratura ed era uomo dalle molte letture, non poté trattenere un sorriso. - Guarda guarda - disse con un certo interesse – versi sdruccioli carducciani, versi “barbari” come li chiama lui. Il soldatino sa di poesia! Certo, molto scolastici, il ritmo difetta, ma insomma, il ragazzo deve avere studiato. -
L’infermiera era rimasta in silenzio e sembrava commossa.
- Dottore, il ragazzo studiava al ginnasio, a Torino, me lo ha detto lui ieri. Mi ha anche confidato che per venire a combattere falsificò la firma di suo padre. Quando si presentò volontario non aveva ancora compiuto i diciotto anni. Li ha fatti il mese scorso.
- Ah, sì: uno del ’99, uno di quei ragazzini idealisti - il dottore scosse il capo.
- Ma cosa c’è di preoccupante, oltre alla metrica incerta di questa poesia?-
L’infermiera sembrava offesa dall’indifferenza del dottore.
- Non vede? Non fa che parlare della morte. Dice che la sua vita è solo in prestito. Lo dice a tutti quelli che gli stanno vicino. Il morale degli altri pazienti ne risente. Dottore, cosa possiamo fare? -
L’infermiera ebbe per risposta un gesto di impotenza e un congedo con un cenno stanco della mano.
- Per favore, ci sono molti altri ragazzi che hanno bisogno di lei, torni da loro, queste sono sciocchezze. Comunque ci penserò. -
Uscita l’infermiera, il dottore riprese il foglietto e rilesse la poesia. Naturalmente sapeva dello scontro al colle dell’Agnella. Era stato davvero un massacro, in poche ore erano caduti quasi cinquemila italiani e un numero paragonabile di soldati imperiali. All’ospedale avevano portato molti feriti della battaglia e tra loro il tenente Calvi, del battaglione Bassano; il dottore lo ricordava bene. Era già morto, una palla nel cuore. Aveva la medaglia di bronzo e sarebbe stato proposto per quella d’oro.
Ma non erano cose che si potessero scrivere, magari nelle lettere a casa.
Il dottore recitò un verso ad alta voce -“Delle lor patrie eroi”. Già, ma non lo sa il poveretto che solo noi siamo gli eroi e i nemici sono il male da sconfiggere? –
Il dottore si concesse un mesto sorriso, poi proseguì la lettura.
- Ed ecco “la donna antica”, la Morte, che si impietosisce e gli presta qualche giorno ancora da vivere. E perchè avrebbe dovuto? Perché a lui e non a un altro povero ragazzo?-
Appallottolò il foglio e lo buttò in un angolo saturo di cartacce, bende usate e flaconi vuoti.
- Se questa poesia dovesse capitare tra le mani di qualche ufficialetto zelante e carogna, il mio soldatino potrebbe finire addirittura alla Corte Marziale per disfattismo e fraternizzazione col nemico, cose da fucilazione. Io lo salvo, beh diciamo che aiuto Dio a salvarlo, e qualcuno me lo ammazza? Neanche a parlarne. Però l’infermiera ha ragione, per il morale degli altri può diventare un problema. Sarà opportuno che ci parli un poco io, col soldatino.-


(segue nello spazio commenti sottostante)


Ultima modifica di mariovaldo il 1/6/2008, 21:08 - modificato 2 volte.
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Mario Malgieri
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MessaggioTitolo: Re: Quando la Morte ascolta - 2 - Il prestito   Quando la Morte ascolta - 2 - Il prestito Icon_minitime30/5/2008, 08:23


Il dottore si mise a frugare tra le carte sparse sul rozzo tavolo di legno, alla ricerca dei pochi appunti che aveva avuto il tempo di scrivere. Si ricordava bene di quel ragazzo, ma voleva essere certo dei fatti. Qualcosa di abbastanza singolare era effettivamente accaduto. Quando due barellieri avevano portato quel soldato, regnava una confusione tremenda. Il suo ospedale, come altri ospedali da campo nei dintorni, era traboccante di feriti e moribondi. C’era stata una pausa nella battaglia furibonda sull’Ortigara e, come tante altre volte, non c’erano state né vittorie né sconfitte, ma solo posizioni prese e poi riperse, oppure abbandonate per l’impossibilità di difenderle. Il tutto a prezzo di migliaia di vite italiane, austriache, ungheresi, tedesche.
Il dottore aveva osservato le condizioni del soldato che non dava segni di vita. La gamba destra era stata quasi strappata al di sopra del ginocchio. Una lesione all'arteria femorale aveva causato un’imponente emorragia che tuttavia, per qualche ragione, si era arrestata. Calcolando che dovevano essere passate ore dal momento del ferimento a quando i barellieri erano riusciti a scendere a valle, di certo non poteva essere vivo. Comunque, per scrupolo professionale, lo aveva auscultato mentre gli controllava le pupille. Incredibilmente c’erano ancora segni vitali. Aveva dato ordine di mettere immediatamente il poveretto sul tavolo operatorio, poi aveva fatto del suo meglio, completando l’inevitabile amputazione, suturando e ripulendo. Quindi aveva affidato il ragazzo a Dio e alla fibra incredibilmente forte della quale aveva dato prova.
Fosse stato l’intervento divino, la fortuna o appunto il fisico robusto, nei giorni seguenti il ragazzo aveva fatto enormi progressi. Il rischio della cancrena era scongiurato, la ferita era sana e asciutta, la febbre scomparsa. Poi il soldato si era risvegliato e da quel momento erano iniziati ad arrivare i rapporti allarmati dell’infermiera.
Se per un verso il ragazzo sembrava avviato a una rapida e insperata guarigione, sebbene le conseguenze di quel ferimento sarebbero rimaste nella sua vita per sempre, per un altro verso peggiorava. Intristiva, parlava sempre del suo incontro con la Morte e dell’avere in prestito ogni ora che stava vivendo. Molto presto, ripeteva ossessivamente, la Morte sarebbe tornata a pretendere ciò che gli aveva prestato. Fino alla poesia di quel pomeriggio.
Il dottore decise che la mattina dopo, prima del consueto giro tra i pazienti, avrebbe parlato col ragazzo.
L’indomani, alle sei precise, era al capezzale del soldato. Lo osservò per qualche minuto. Dormiva di un sonno inquieto, ogni tanto atteggiava le labbra come per urlare, poi si quietava, ma le mani erano contratte, le braccia rigide, il volto sudato. Il dottore lo scosse dolcemente e lo svegliò.
- Buongiorno, soldato, come ti senti oggi? -
- Molto meglio dottore, grazie - rispose educatamente. Ma lo sguardo era quello di una preda inseguita da un carnivoro.
- Allora, soldato, devi finirla di spaventare i tuoi compagni con queste storie sulla morte. Certo, puoi dire che l’hai vista in faccia, ma è solo una figura retorica; hai avuto un trauma tremendo. Per la verità non capisco come tu sia sopravvissuto. Ma sei vivo e ora sei trasportabile, domani ti spedisco a un vero ospedale, a Milano, lontano da questo inferno -.
Il ragazzo ascoltava senza replicare, lo sguardo perso nel vuoto. Poi riprese a parlare con un tono piano, incolore.
-Vede, signor capitano, io ero lì con la gamba a pezzi e la vita che mi stava uscendo dalle vene, lo sentivo che stavo per morire. Mi sono messo a piangere. Ma non per il dolore, quello non c’era più, e nemmeno per la paura. Piangevo perché ero andato via di casa senza chiedere il permesso di mio padre per arruolarmi, ero in pratica fuggito senza salutare né lui né mia madre. Io sono figlio unico, loro mi adoravano e io li ho ripagati scappando come un ladro. Ecco, non volevo morire così, volevo almeno scrivere ai miei genitori, chiedere perdono, salutarli. Poi l’ho vista. Era una vecchia, alta, vestita di nero. Mi si è inginocchiata vicino. Era bella, un volto fiero, degli occhi penetranti ma con un’espressione stanca, dolce e severa insieme. Mi ha accarezzato la fronte e mi ha detto che quel giorno ne aveva dovuto raccogliere già troppi di ragazzi come me. Aveva ascoltato il mio animo e mi avrebbe dato qualche giorno ancora per poter dire addio ai miei cari, ma poi sarebbe tornata, doveva tornare. Ho sentito ancora la sua mano su di me, poi mi sono svegliato qui.-
- Basta! Smetti di dire sciocchezze!- Il dottore era veramente irritato - Tra un mesetto, forse anche prima, tornerai a casa. Per te la guerra è finita. Potrai riprendere i tuoi studi, magari diventerai un letterato, forse un poeta - e si permise un burbero sorriso - sembra che un po' di stoffa tu l’abbia, vero? -
Finalmente ci fu un guizzo negli occhi del ragazzo.
-Grazie per tutto quello che ha fatto per me, che avete fatto tutti. Sì, è vero, volevo fare il giornalista; studiavo greco e latino, studiavo la storia, ma non credo che diventerò qualsiasi cosa, non ne avrò il tempo. Però una cosa l’ho scritta - disse tirando fuori un foglio piegato.
-Qui c’è la lettera per i miei genitori dove spiego tutto e chiedo il loro perdono. L’indirizzo è sul retro. Mi prometta di spedirla, la prego, è l’unica ragione per la quale sono ancora vivo.-
-Ascolta, soldato. Tu hai avuto una grande fortuna, per quello che mi riguarda potrai arrivare a cent’anni, se la smetti di dire corbellerie. Fallo per te, o almeno per i tuoi compagni qui vicino: smetti di parlare di morte. Devi pensare al futuro. Ora vado a metterti in lista per il trasferimento di domani. Ripeto: basta parlare di morte, è un ordine. Sono stato chiaro? -
Sul volto del ragazzo si dipinse un’espressione di tale disperazione e delusione che il dottore quasi si pentì di quello che aveva detto. La mano del soldato stringeva la lettera ed era ancora lì, tesa come a implorare.
- Va bene, te la spedisco io questa lettera, ma ne aggiungerò una di mio pugno ai tuoi genitori per rassicurarli. Dirò loro che l’unico tuo problema, oltre naturalmente alla perdita della gamba, è questa ossessione, ma che col tempo ti passerà. Dammela. -
Senza più voltarsi, il dottore se ne andò, mettendo il foglio nella tasca del camice.
Quella sera il dottore aveva visite. Era arrivato padre Giovanni Fiorani, un cappellano militare del quale era divenuto amico in quei mesi trascorsi sull’altopiano. Padre Fiorani era una persona di poche parole e dalla grande fede. Genovese, non si peritava di farsi scappare qualche “belin” nei momenti nei quali, diceva lui, ci voleva proprio. Anche a un bicchiere di acquavite non sapeva dire di no, - Iddio di questi tempi è impegnato in ben altre cose; alle sciocchezze che dice e fa questo suo umile servo non ha tempo di badare - diceva, quando riuscivano ad avere un poco di tempo per scambiare quattro chiacchiere. In quelle occasioni non mancava mai una bottiglia di acquavite sul tavolo della tenda.
Il dottore aveva finito da poco di scrivere delle lettere che non avrebbe mai voluto scrivere, tranne una. Dopo la comunicazione della morte di figli o mariti, oramai le faceva tutte uguali, a memoria, aveva scritto alla famiglia Obialero dando buone notizie, se si poteva considerare buona la notizia che l’unico figlio sarebbe rimasto invalido per tutta la vita; ma era vivo e sarebbe presto tornato a casa. Avrebbe spedito tutto il giorno dopo, quando sarebbe arrivato da Asiago il camion della posta e dei rifornimenti.
Gli venne spontaneo porre una domanda all’amico sacerdote.
- Giovanni, dimmi, perché Dio permette tutto questo e non ci manda un nuovo diluvio per fermarci? La mia fede è stata messa troppe volte a dura prova in questi ultimi mesi, non riesco a trovare un senso in quello che stiamo facendo; non tu o io, intendimi, ma noi come genere umano voglio dire; sopratutto non riesco a vedere la volontà di Dio dietro a questa carneficina.-
Il cappellano si prese tutto il tempo di una buona tazza di acquavite sorseggiata con calma, prima di rispondere.
- Anche la guerra è parte del disegno di Dio. E’ nella Bibbia, nell’Ecclesiaste:
“Per ogni cosa c'è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo.
C'è un tempo per nascere e un tempo per morire,
un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante,
un tempo per uccidere e un tempo per guarire.”
Caro Antonio, Dio, tra tutti i doni che ci ha fatto, ci ha anche dato la libertà. La libertà di scegliere tra Lui, il Bene, e il Demonio, cioè il male. Ecco, direi che di questi tempi gli uomini stanno seguendo più il Demonio che Dio. E, per il Demonio, questo è tempo di uccidere. Bada, il Demonio esiste davvero, ha un corpo e vive tra noi.-
Il dottore ascoltava con attenzione, tormentando con una mano il suo pizzetto nero, come era solito fare quando pensava.
- Il Demonio esiste? Quindi anche gli Angeli e la Morte, esistono dunque tutti, non sono solamente la personificazione delle nostre buone pulsioni e delle nostre paure?-
- Il Demonio e gli Angeli certamente sì, in molti hanno visto l’uno e gli altri. La Morte, ecco, non saprei, penso di no, la Morte come essere fisico forse non esiste.-
- Vedi Giovanni, uno dei miei feriti sostiene di avere visto la Morte in persona. -
Il dottore riassunse la vicenda di Obialero al cappellano, che lo ascoltò con molta attenzione. Alla fine, don Fiorani appariva pensieroso.
- Sai, Antonio, noi non lo possiamo escludere. Ti ho detto che io sarei portato a dire “no”, però, pensandoci, se esistono gli Angeli, e ognuno di loro ha una sua funzione nelle sfere celesti, allora può essere che la Morte sia null’altro che un angelo con un suo compito particolare. Credo comunque che potremmo stare a parlarne tutta la notte, ma non giungeremmo ad alcuna conclusione. Ora ti devo lasciare, ho il caporale che mi aspetta fuori con l’automobile per riportarmi nei miei appartamenti. Eh, dovresti venire a trovarmi qualche volta nel mio buco a Gallio, così forse non ti lamenteresti della tua bella tenda. Buona notte Antonio, che Dio ti benedica.-
Una piccola benedizione effettivamente sembrò arrivare, la mattina dopo. Il vento da nord-est era rinfrescato e aveva portato una pioggia sottile e insistente. Già un centinaio di metri più in alto dell’ospedale le nubi erano nebbia, per chi si trovava nelle trincee sul monte. Di fatto nulla di importante poteva accadere in quelle condizioni, se non qualche scaramuccia di pattuglie, mentre la mancanza di visibilità rendeva inutili i tiri dell’artiglieria, che, infatti, si limitava a qualche colpo d’obice sparato a casaccio, più per tenere il nemico in apprensione che per fare veramente dei danni.
L’autocarro era fermo nel fango, mentre i barellieri caricavano i feriti da portare a Thiene. Da lì un treno avrebbe completato il lungo trasferimento verso un ospedale di Milano, quelli più vicini oramai traboccavano. Il fante Obialero venne fatto salire per ultimo, poi l'autista chiuse alla meglio il telone sul quale campeggiava la grande croce rossa. Il malandato veicolo si avviò e sparì in pochi minuti, scoppiettando giù per la pista fangosa.
Sulla stessa pista, dopo un paio d’ore, un altro autocarro risalì faticosamente sino all’ospedale. Portava i rifornimenti e la posta. Il dottore uscì della tenda e andò incontro al sergente che ne era appena sceso affondando nel fango.
- Buon giorno capitano - disse il sottufficiale, accennando appena al saluto - ho cattive notizie, purtroppo -
- Cosa è successo, sergente?-
Il sergente trovò finalmente una piccola zona pietrosa dove fermarsi senza affondare in quella melma rossastra.
- Sapete, il camion dei vostri feriti, quello che andava a Thiene?-
Il viso del dottore si fece pallido.
- Era arrivato a poca distanza da Gallio, ma un colpo da 305 mal diretto, non si sa neppure se fosse nostro o degli austriaci, gli è esploso dietro, a pochi metri. Sulle prime sembrava che fossero tutti salvi, poi abbiamo trovato un poveraccio con una scheggia dritta nel cuore. Pensate, tutti gli altri senza un graffio, lui morto stecchito.-
Un presentimento colpì il dottore come un pugno.
- Chi è la vittima?- chiese con un filo di voce.
- Ho qui la sua piastrina, vediamo, ah sì, soldato semplice Vittorio Obialero.-
Il sergente porse la piastrina al dottore che la prese, impietrito. Ma il sergente non aveva finito il suo racconto.
- E’ stata una vera fatalità. Hanno colpito il camion solo perché si era fermato. Una donna, una vecchia contadina, credo, ha gridato di fermarsi perché voleva regalare un fiore ai feriti. Il caporale si è impietosito e si è fermato. Proprio allora è arrivato il colpo. Pensate, la povera vecchia doveva essere proprio dove è caduto il proiettile, di lei nel cratere dell’esplosione non si è trovato più niente, come se non fosse mai esistita.-
Il dottore pregò il sergente di attenderlo, aveva bisogno essere portato a Gallio. Sotto la pioggia si diresse alla sua tenda, prese dal cassetto la lettera che aveva scritto la sera prima per i genitori del soldato. La rilesse, quindi la strappò con rabbia. Mise la piastrina assieme a tutte le altre, poi indossò la mantellina, prese la bottiglia di grappa e uscì.
Aveva bisogno di parlare con don Fiorani, forse insieme avrebbero capito.
E se no, era la volta che si sarebbero ubriacati.
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Almitra Newton
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MessaggioTitolo: Re: Quando la Morte ascolta - 2 - Il prestito   Quando la Morte ascolta - 2 - Il prestito Icon_minitime30/5/2008, 11:45

San Martino del Carso

Di queste case
Non è rimasto
Che qualche
Brandello di muro.

Di tanti
Che mi corrispondevano
Non è rimasto
Neppure tanto.

Ma nel cuore
Nessuna croce manca.

E' il mio cuore
Il paese più straziato.


Valloncello dell'albero isolato - il 27 agosto 1916 - G. Ungaretti

(Ho citato a memoria. Spero di non aver commesso errori)
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MessaggioTitolo: Re: Quando la Morte ascolta - 2 - Il prestito   Quando la Morte ascolta - 2 - Il prestito Icon_minitime31/5/2008, 10:54

Riletto a distanza di ventiquattr'ore: molto bello.

Sei un Maestro-prosatore.

Al.
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Daniela Micheli
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Daniela Micheli


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MessaggioTitolo: Re: Quando la Morte ascolta - 2 - Il prestito   Quando la Morte ascolta - 2 - Il prestito Icon_minitime1/6/2008, 09:52

La finzione narrativa che porta a commozione vera.
Mi hai profondamente colpita, Mario. Ed è scritta talmente bene al punto di farmi chiedere se per caso non ci fossi anche tu, con quei ragazzi del '99
Si sono sicuramente ubriacati, il dottore e Don Fiorani, perchè non c'è spiegazione, solo accettazione che però una ubriacatura non potrà lenire, solo fare dimenticare per qualche tempo, fino alla prossima piastrina da riporre assieme alle altre.
Grazie.
Continua, per favore.
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KrazyKat
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KrazyKat


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MessaggioTitolo: Re: Quando la Morte ascolta - 2 - Il prestito   Quando la Morte ascolta - 2 - Il prestito Icon_minitime1/6/2008, 11:55

Difatti, per la miseria, questo è persino migliore. Una volta ho cercato di radunare x racconti pe run concorso letterario: c'è era d amettersi a piangere, chi micchiava, chi riproponeva robe già scritte e già pubblicate, chi si schermiva...chi, disgraziatamente, mi mandava i racconti, vedessi che roba...se fossero stati tutti a questo livello, vivaddio, raccoglierei racocnti per professione, oggi!
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Giuseppe Buscemi
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Giuseppe Buscemi


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MessaggioTitolo: Re: Quando la Morte ascolta - 2 - Il prestito   Quando la Morte ascolta - 2 - Il prestito Icon_minitime3/6/2008, 00:22

Bellissimo episodio, scritto come si deve.
Temi forti e impegnativi, coi quali ti sei disimpegnato al meglio.
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MessaggioTitolo: Re: Quando la Morte ascolta - 2 - Il prestito   Quando la Morte ascolta - 2 - Il prestito Icon_minitime

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