L'ADDIO - MARIO MALGIERI

Il sogno ritornò, poco prima che piovesse. L'uomo non sentì il rumore della pioggia. Il sogno lo dominava.
Si girò inquieto, voleva fuggire; quelle immagini già viste, quei suoni già uditi, gli davano un'angoscia senza un perchè, sapeva che quando si sarebbe risvegliato avrebbe avuto una sensazione alla bocca dello stomaco come di una fatalità incombente.
Ma se è difficile fuggire dalla realtà, fuggire da un sogno è superiore alle forze di qualsiasi persona.
Si svegliò, o forse no, nella penombra.
D'istinto allungò la mano come per cercare il conforto di un calore umano, ma il letto era inesorabilmente vuoto, lo era da tanto tempo.
Tutto era soffuso di una strana luce gialla e finalmente udì il rumore, come di pioggia scrosciante, che echeggiava tra le pareti della stanza.
Qualcosa si muoveva, un'impalpabile nebbia azzurrognola che si avvolgeva su sé stessa per poi salire e perdersi verso un cielo solo intuíto.
Dal suo interno proveniva un altro suono, quello che lo faceva rabbrividire ogni volta che l'udiva. Era convinto che in qualche sua vita precedente avesse marciato ai piedi delle Highlands, suonando orgogliosamente la sua bagpipe a Cullodeen More.
Lì, indossando il kilt dei Cameron, era andato incontro alla morte gloriosa in nome di re Charles. E poi alle sue nuove vite.
"Amazing Grace" sortiva su di lui l'effetto di una commossa esaltazione, ma non spiegava cosa gli stesse accadendo.
- Chi sei? Perchè suoni quest'aria in casa mia?-
Di solito il sogno si interrompeva su quella domanda senza risposta. Ma non quella volta.
- Devo dirti addio. E questo mi pareva il modo migliore.-
Da quella nebbia proveniva una voce. Non aveva un timbro preciso, non era maschile, non era femminile; era vecchia, questo sì, e aveva delle asprezze improvvise e delle evanescenze che parevano innalzarla, allontanarla, come quando si ode l'eco nella vallata affievolirsi e poi rinforzarsi rimbalzando qua e là.
- Addio? E dove vai?-  
- Vado dove andiamo tutti prima o poi. Io non so esattamente dove, nessuno lo sa, anche se molti dicono di saperlo. Ma poi, che importa. Se c'è un luogo, noi non lo scegliamo, ci andiamo e basta, quindi che vale parlarne? E se non c'è, che vale parlarne?-
Ma non gli aveva detto chi fosse. La domanda fu ripetuta.
- Io sono chi tu hai voluto che fossi: ascolta.-  
Degli accordi ben noti risuonarono dolcissimi e la voce, insieme cristallina e possente, riempì la stanza:  

"Casta Diva, che inargenti  
Queste sacre antiche piante,  
..."

- Ma questa è la Callas! Il suo cavallo di battaglia, io ho imparato ad amarla ascoltando quest'aria, ho amato la lirica per lei, era... no, non smettere, ti prego.-
La voce, sino a pochi istanti prima così melodiosa e ricca di calore si era fatta di colpo nasale e gelidamente impersonale, come quella di un lettore di notiziari di molti, molti anni prima.

- Oggi alle 18.00 ora locale, a Panmunjom è stato firmato il trattato che pone fine al sanguinoso conflitto tra la Corea del Nord che, sostenuta dal regime comunista di Pechino, aveva attaccato la repubblica della Corea del sud e la coalizione guidata dagli Stati Uniti d'America che si è battuta per la libertà e l'indipendenza della repubblica di Seoul.
Si calcola che la guerra abbia causato oltre un milione e mezzo di caduti da ambo le parti...-

- Non capisco, ma cosa stai dicendo, cosa c'entra la guerra di Corea?-  
Di nuovo una musica, allegra questa volta:

- Quando nel mio juke-box
c'e' un disco dei Platters
voglio riascoltare
soltanto Only you
sembra tornar l'estate
le miss con i blue-jeans
fasciate
i flirt il rock and roll-

- Il quartetto Cetra! Ma come, prima la Callas, poi quello speaker, ora i miei adorati Cetra. Ma chi sei, cosa vuoi?-  
- Te l'ho già detto - la voce era di nuovo quella strana, evanescente, che aveva ascoltato all'inizio, soltanto si era fatta più flebile, mentre il suono di pioggia prorompeva sempre più forte a sovrastarla.
- E' ora che io vada, volevo soltanto dirti addio, e grazie per l'amore che mi hai portato. Solo il tuo amore e le tue cure hanno conservato il mio calore sino a oggi, ma oramai non bastano più.-
Ancora la cornamusa. Ora scandiva una marcia baldanzosa che sembrava allontanarsi nelle nebbie delle Highlands, mentre il rumore della pioggia invadeva la stanza.
L'uomo spalancò gli occhi, si guardò intorno.  
Non era stato soltanto un sogno. I vetri erano rigati di pioggia e il rumore c'era davvero, e così la luce giallastra, anche se tutto era come ovattato, rispetto a ciò che lo aveva destato.
Con preoccupazione, si accorse che nell'aria si spandeva un vago odore acre, un sentore strano, come non ne aveva più percepito da anni, quando si dilettava con stagno, saldatore e passione a mettere insieme strani congegni elettronici che qualche volta funzionavano e altre, più spesso, esalavano quell'odore senza alcun altro risultato.
Accese la lampada sul comodino.  
Si era addormentato ascoltando la sua vecchia, anzi antica, radio a valvole, proprio quella che suo padre, trionfante, aveva portato a casa... quando? Cinquanta? No di più, quasi sessant'anni prima.
Era bambino, e spesso passava il tempo girando per quelle stazioni scritte in piccolo sulla scala luminosa: Napoli II, Stuttgard, Liepzig, M.Ceneri, persino Edimbourgh, e il mondo entrava in casa con i suoni di lingue sconosciute, le canzoni e la musica che avrebbe amato da allora per sempre, e pure con le sue realtà, a volte crude, spesso manipolate, ma comunque parte di una conoscenza fruibile da ciascuno, anche da un bambino curioso e stupito.
La radio, non una radio qualunque, la sua radio, era accesa, col suo quadrante giallo pieno di nomi oramai senza significato; dall'altoparlante usciva soltanto un fruscio come di pioggia e dal retro, dove ancora rosseggiava il bagliore delle valvole, un sottile fumo azzurrognolo si alzava leggero verso il soffitto.
Osservandolo, gli parve di scorgere un'anima che lasciava il corpo per andare dove vanno tutti, prima o poi, non si sa esattamente dove.