Cari tutti. Rispondo con colpevole ritardo all'invito di Daniela a scrivere su questo sito. Spero di aver azzeccato la sezione più idonea.
Vi propongo uno scherzo, un mio divertimento, un poema giocoso in rima. Che per esser tale, in verità, è abbastanza lungo trattandosi di un testo in ottave composto da 56 stanze. Qualcuno (specie i bolognesi, se ce ne sono) capirà di cosa parlo, ma i più credo di no, e chissà che non possa piacere anche ad alcuni di questi ultimi.
Non anticipo nulla e lascio leggere chi avrà pazienza di farlo. Data la lunghezza, lo spezzo in quattro parti che pubblico in topic distinti. Comincio con il prologo e rimando ai commenti per eventuali chiarimenti (per chi li desiderasse). Nei prossimi giorni (salvo legittime proteste ed invettive) posterò le parti successive. Ciao a tutti!
La Virtus Tradita
poema giocoso in quattro parti di Ussaro.
I – Prologo.
La storia tormentata vi racconto
che narra della Virtus l’agonìa.
Colpita in pieno cuore dall’affronto
portato da colui di sua regìa,
sicchè non potè aver nessuno sconto
da chi già tanto in odio la tenìa,
Vu nera vide prossima la morte
e ancora resta incerta la sua sorte.
Ma temo di non essere all’altezza
di compiere in buon guisa tal cimento,
poichè la mano mia non ha certezza
di reggere al tremore del fermento,
chè puote dell’intreccio la crudezza
minare l’intelletto ed il memento.
S’i fossi narrator! Ma non lo sono,
e chiedo che il lettor mi dia perdono.
Un cruccio che nel mio lavor mi lima
è d’esser senza eroi quest’epopea
e niuna di bellezze aver per prima;
sicchè l’usar la metrica ariostea
riduce dell’autore l’altrui stima,
chè l’apice dell’arte non si crea
se manca nel narrare quel vantaggio
che fruttan l’avvenenza ed il coraggio.
Sul trono della Virtus, Madrigali,
restò pel tempo stretto di tre anni,
dispensator di bene e poi di mali.
In pria fu gran signore di tiranni
e infin un miser’uomo fra sensali,
che genera dolor, dispregio e affanni.
Di lui, monarca lugubre e corrivo,
vi dico nella trama che ora scrivo.
Del suo violar le leggi e la ragione,
sfidando delle genti l’odio e l’ira;
del suo mentir in ogni situazione,
finchè sua stessa sorte in male gira
e, vista da vicino la prigione,
ravvedesi un istante pria che spira
del popol che fu suo l’augusto stemma,
portato da costui come una gemma.
Quel regno che qualcun avea creato,
che altri avea in alto tanto spinto,
soffriva d’un bilancio dissestato
e d’un padrone ormai poco convinto,
chè di travagli s’era consumato,
seppur di gloria alquanto alquanto intinto.
Fra tanti ed ambiziosi successori
si scelse pei denari, e non pei cuori.
All’asta svetta quindi’l nostro Marco,
da tutti fino allor disconosciuto,
che a far l’offerta è certo il meno parco.
Con fama nell’aggiar alquanto astuto
e vanto di denaro essere carco,
non vuole d’altri soci alcun aiuto:
finisce nelle man d’un arricchito
il regno della Virtus tanto inclìto.
Colüi che dall’imo sale in suso
con forza sol dell’or locupletato,
per mezzo di strumenti fuor dell’uso
e dubbio d’esser mal originato,
ritrovasi nell’alto infin rinchiuso,
chè nulla vale un trono di mercato
e il volgo non concede il benvolere
a chi compra col soldo il suo potere.
Dovere di chi narra di costüi
è d’esser bene attento e scrupoloso,
nel dir degli atti buoni e di quei büi.
Non serv’esser all’uopo tendenzioso,
per rendere l’idea d’error di cüi
si macchia questo Re tanto borioso,
se ‘l fante del nemico trova gusto
nel far di lui perfin marmoreo busto!
Esordio suo non puot’esser migliore,
facendo la sua squadra più perfetta,
che gioca su ogni campo con ardore
e mostra di dominio aver gran fretta;
il premio del talento e del valore
è d’esser in un lampo sulla vetta.
E’ quella, fra le Virtus, la più bella
che fa brillar su tutte la sua stella.
Sol pochi san vedere, in tal cuccagna,
i sintomi minuscoli del male
che tarla quella squadra tanto magna.
Messina, che sul campo è generale,
è ‘nviso alquanto al Sire che si lagna
di poche lodi a sè, e troppe al tale
che tiene lautamente stipendiato.
Un seme che sappiam ben germogliato.
Il virus che s’insinua in corpo sano
intacca fin le fibre d’un colosso;
il cancro si diffonde a piano a piano,
minando le sue membra fino all’osso
e riesce a osservator alquanto strano
vedere d’improvviso il corpo grosso
cader di colpo, come fulminato,
il dì che ‘l male infine è deflagrato.
(segue nei prossimi giorni)