AFFARI DI CUORE - MARIO MALGIERI

Giordano, detto “’o professore” si sentiva completamente rilassato soltanto all'interno della sua casa, se si poteva chiamare "casa" una residenza di venti stanze circondata da molti ettari di parco, protetta dai migliori sistemi di sicurezza e sorvegliata dai suoi uomini più fidati.
Era uomo prudente, ma non si dica lo fosse in modo maniacale: nel mondo in cui si muoveva, praticare la prudenza era l'unico sistema per sperare di campare a lungo e godersi tutto ciò che la ricchezza mal acquisita poteva offrire. Di fatto, il prezzo di una minima disattenzione sarebbe stato altissimo: molti anni di galera nel caso migliore, più probabilmente una fine violenta.
Per ora era felicemente arrivato alla cinquantina, in buona salute e senza rilevanti macchie sulla fedina penale, cosa che aveva quasi del miracoloso. Oltre a lui, in quella residenza smaccatamente lussuosa viveva soltanto sua figlia Giulia, di ventidue anni. La moglie era morta da qualche anno e lui a risposarsi non ci pensava proprio: troppe complicazioni, troppi doveri, troppe cose da non far sapere. Qualche occasionale compagnia femminile, accuratamente scelta e ben pagata, era più che sufficiente.
Le poche domestiche, tutte anziane, stavano in una dependance nel parco; la loro età e il loro aspetto le proteggeva da qualunque pensiero lascivo degli uomini della sicurezza che ne condividevano la comoda sistemazione.
Proprio il capo della sicurezza aveva appena consegnato a Giordano una busta recapitata a mano e accuratamente sigillata.
Erano quasi le ventitré e a quell’ora Giordano sapeva di essere solo in casa, con sua figlia che stava in qualche altra stanza, a leggere forse, o a guardare la televisione.
Sapeva pure, con assoluta certezza, che fuori in molti vegliavano sulla loro vita.
Andò nello studio, si sistemò sulla poltrona, accese una sigaretta e iniziò a leggere.
Si trattava di un breve rapporto battuto a macchina.
Nell'era dei computer e della posta istantanea, quel sistema lento e antiquato era ancora il più sicuro.
I computer si potevano violare, un file, anche criptato e poi cancellato, poteva essere recuperato, decodificato, violato. Una mail poteva essere intercettata, così come un qualunque messaggio elettronico.
Ma un rapporto battuto a macchina in un'unica copia, sigillato, affidato a un corriere di assoluta fiducia, poteva solo essere letto dal destinatario. Dopo, bastava la fiammella di un accendino per cancellarne per sempre ogni traccia.
Quel rapporto era importante e molto confidenziale. Ma sopratutto riguardava la persona che amava di più al mondo. Anzi, l'unica persona che amava al mondo: sua figlia.
Ora che il problema più grande pareva risolto, voleva togliersi un pensiero che lo tormentava da qualche tempo. Giulia si comportava in modo strano, e stava peggiorando. Le rassicurazione dei professori, quelli veri, i luminari che l’avevano curata, non lo convincevano del tutto.
Così aveva chiesto al suo uomo di fiducia di andare sul posto e, tramite i buoni uffici del solito intermediario, di contattare nuovamente quell’organizzazione potente e pericolosa, ma capace di aprire scenari di affari vertiginosi.
Potente e pericolosa, ma che si era dimostrata amica al momento del bisogno. Questo non l’avrebbe dimenticato.
Giordano interruppe la lettura appena iniziata, gli era parso di udire, fuori dalla porta, un rumore indistinto, forse dei passi.
Il personale, guardie del corpo comprese, entrava nella casa del “professore” solo per ragioni di servizio, quindi doveva trattarsi di Giulia.
Il rumore non si ripeté e Giordano pensò che sua figlia stesse andando a prendere qualcosa da bere, o da mangiare. Magari sarebbe passata a salutarlo come faceva spesso.
Al pensiero di Giulia il suo viso preoccupato si spianò in un accenno di sorriso. L'incubo era finito, sua figlia era salva e, finalmente, era tornata al sicuro, a casa.
Solo qualche mese prima il mondo stava per crollargli addosso.
Per andare a fondo di una serie di sintomi preoccupanti, aveva fatto ricoverare Giulia in una clinica molto esclusiva e molto privata. Dopo qualche settimana era giunta la diagnosi:
"Un virus ha attaccato il cuore, ha causato una cardiopatia dilatativa, irreversibile e incurabile se non con un trapianto cardiaco."
I professori, perché si era trattato di un consulto tra gli specialisti migliori nel campo specifico, erano stati sin troppo chiari.
Naturalmente le parole erano state meno crude, avevano usato tatto e metafore, ma la traduzione nel linguaggio comune era una sentenza netta come la mannaia del boia. E il boia era stato ancora più impietoso nello spegnere le speranze di una grazia salvatrice: "Da sei mesi a due anni per reperire un cuore adatto, le liste di attesa sono lunghe. E' molto probabile che sua figlia non abbia questo tempo".
Per la quasi totalità delle persone del pianeta si sarebbe trattato soltanto di attendere sperando nel miracolo, o di prepararsi all'inevitabile.
In questi casi, chi ha la fortuna di possederla si aggrappa alla fede, altri si lasciano andare alla disperazione, qualcuno cerca di far vivere il proprio caro fingendo di ignorare l'arrivo imminente della nera signora.
Per Giulia si apriva un'altra strada. Lei faceva parte di quella esigua minoranza capace di sfidare persino le leggi della natura, perché suo padre non era abituato ad arrendersi. E delle leggi, quelle di natura incluse, se n’era sempre infischiato.
La ricchezza accumulata spregiudicatamente, nel senso più totale del termine, era frutto di una precisa filosofia: la sconfitta non esiste, per tramutarsi in vittoria basta sapere chi o cosa comperare al momento giusto, al prezzo giusto.
E i mezzi per comperare chiunque e qualunque cosa non mancavano.
Figurarsi se non avrebbe trovato in tempo un misero cuore nuovo per la sua unica figlia, il mondo era pieno di cuori!
La rete internazionale delle amicizie interessate, delle clientele, dei favori fatti e da restituire si mise in moto. Non c'erano funzionari, leggi, confini materiali ed etici che il denaro o il ricatto non potessero piegare al raggiungimento dello scopo.
Clinica e cardiochirurgo di fama non costituivano un problema, avevano fatto capire che sarebbero stati pronti all'intervento se e quando il cuore fosse stato disponibile. Il "come" non era affar loro.
E il cuore, dopo una ventina di giorni, arrivò. Con un volo privato, scortato da un dottore e da alcune persone che avevano il compito di appianare qualsiasi problema burocratico prima ancora che sorgesse.
La provenienza non era importante: sano, giovane, perfetto, garanzia assoluta.
L'intervento fu da manuale e senza complicazioni.
A poco più di un mese dalla diagnosi definitiva, Giulia aveva avuto il suo cuore nuovo, la nera signora avrebbe dovuto attendere.

Giordano s’arrestò prima di finire la lettura, l’espressione si fece sempre più corrucciata. Spense nervosamente la sigaretta nel portacenere di cristallo. Ciò che stava leggendo lo riempiva di rabbia e di disgusto. Altro che amici, erano stati perfidi serpenti, avevano mancato di rispetto a sua figlia, e quindi a lui. Avrebbe saputo come fargliela pagare.
Ma Giordano sarebbe stato ben più che corrucciato se Giulia avesse avuto il coraggio di raccontargli il vero perché del malessere che la tormentava, a tratti sfociato in crisi isteriche tali da lasciare costernati chi vi assisteva.

Era iniziato mentre, ancora in clinica e prostrata dall’operazione, stava per essere dimessa dal reparto di terapia intensiva.
Un incubo.

Stringeva in mano un lungo coltello dal manico nero.
Sul pavimento, una donna di mezza età, denudata sino alla cintola, col volto devastato dalla violenza.
Legata strettamente, ma non ce ne sarebbe stato bisogno, non era in grado di reagire.
Sentiva una strana sensazione in basso, un’eccitazione sconosciuta, un turgore prepotente.
Era nuda.
No, era nudo, era un uomo, e quel turgore era un’erezione.
La donna lo fissava con terrore, emettendo suoni disarticolati dalla labbra gonfie.
La sua eccitazione era al massimo.
Affondò lentamente la lama del coltello tra le costole, sino a percepire il battito convulso del cuore attraverso il manico.
La donna s’inarcò in un ultimo spasimo, e mentre gli occhi sbarrati si fissavano per sempre lui ebbe l’orgasmo, irrefrenabile, totale, liberatorio.

- Professore, come vede le funzioni vitali sono buone, il cuore nuovo funziona bene, sorprendentemente bene direi, ma… -
Il dottore stava esaminando il tracciato di un cardiografo.
- Guardi, sino al momento della crisi alle 23,42 il ritmo sinusale era stabile, nessuna irregolarità. Poi un’accelerazione, prima quasi impercettibile, poi la tachicardia. 54, 60, 70, e quasi di colpo è arrivato a 160. E’ suonato l’allarme e siamo corsi, ma il ritmo stava già calando, la cosa è durata in tutto meno di due minuti e non c’è traccia di altre anomalie.
Il professore annuì, ma era perplesso. Esaminò di nuovo gli strumenti, poi prese dalle mani dell’assistente il tracciato e lo ricontrollò attentamente.
- E la paziente cosa ha detto, è stata in grado di descrivere ciò che le è accaduto?-
- Ha detto solo che dormiva, ha avuto un incubo del quale non ricorda nulla, ma quando si è svegliata di soprassalto si sentiva solo molto stanca.-
- Rifate tutte le analisi e proseguite la terapia secondo il protocollo, per il momento lo consideriamo un episodio di stabilizzazione, se si dovesse ripetere chiamatemi immediatamente, a qualsiasi ora.-
L’episodio non si ripeté, non durante le settimane in clinica.
Giulia tornò a casa ancora debole, ma nel suo petto batteva il cuore nuovo, pronto a farle riprendere una vita praticamente normale.
Poi la terza notte a casa, l’incubo, diverso.

Campagna, pioggia, freddo.
Un ragazzino in bicicletta le veniva incontro sulla stradina fangosa.
Nessun’altro tutt’intorno.
La bicicletta per terra, il ragazzo si dibatteva sotto due braccia possenti, troppo possenti per lui.
Di nuovo l’erezione, il desiderio prepotente.
Un coltello che affonda nel petto del ragazzo.
Un grido di dolore.
L’orgasmo liberatorio, totale, esplosivo, da tramortire.

Giulia urlò, ma non per il terrore. Subito accorse l’infermiera assunta per starle vicino notte e giorno durante la convalescenza, e poi arrivò suo padre, preoccupatissimo.
Giulia era sudata, rossa in viso, il cuore tumultuava nel petto facendo dolere la cicatrice non ancora del tutto consolidata.
Cercarono di farle dire cosa fosse successo, ma Giulia si limitò a raccontare che si era trattato di un brutto sogno, nulla di più. Non voleva parlare di ciò che aveva appena visto.
E soprattutto del piacere totale che l’aveva pervasa e fatta urlare come non credeva possibile.
E la cosa si ripeté, con frequenza sempre maggiore.
Incubi ogni volta diversi, accumunati dalla violenza, dal sangue e infine dal piacere senza freni.
Così quasi ogni giorno, per una ventina di volte.
Lei si svegliava col cuore che sembrava trasferire al cervello il suo battere impazzito, sempre meno atterrita, sempre più appagata.
Non sapeva se attendere con paura quelle notti o se accoglierle con gioia: terrore e piacere raggiungevano vertici impossibili da descrivere. Ma il piacere stava prevalendo:
più crudele era la fine della vittima, a volte donna, a volte uomo, giovane o anziana, maggiore pareva essere il piacere che ne derivava.
E se la morte tardava perché le ferite inferte erano volutamente non mortali, gli orgasmi si moltiplicavano, lasciando Giulia spossata come avesse trascorso ore e ore col migliore degli amanti.
Poi una notte l’incubo cambiò.

Alba, freddo, una giornata serena.
Delle mura alte, un prato, un fossato.
Era vestito con una semplice tunica grigia.
Aveva le mani legate dietro la schiena.
Fu fatto inginocchiare sull’erba umida.
Sentì dei passi alle sue spalle, poi il contatto di qualcosa di gelido sulla nuca.
Un esplosione di luce, nessun dolore, più nulla.

Giulia attese una settimana, poi un mese. Gl’incubi non tornarono.
Si faceva sempre più nervosa, irritabile. Litigò violentemente con l’infermiera la quale, dopo aver schivato di poco un pesante vaso diretto alla sua testa, si licenziò e non fu sostituita per caparbia volontà della ragazza.
Giulia si rese conto che le mancava terribilmente quel piacere che arrivava puntuale alla fine di ogni sogno.
Provò a masturbarsi: puerile, ne fu disgustata.
Tentò di sedurre una delle guardie del corpo di suo padre. Ma lui gentilmente la respinse, era troppo consapevole di chi comandasse in quella casa e della pena che sarebbe toccata a chi avesse osato solo sfiorarne la figlia.
Giulia non riusciva più a prendere sonno, era diventata isterica. Dentro il suo petto il cuore nuovo sembrava pulsare più forte ogni volta che lei ripensava a quegl’incubi, mentre un languore doloroso si impadroniva del suo ventre, in attesa di quelle contrazioni spasmodiche che la facevano urlare di piacere. Ma l’attesa era vana e in lei restava solo un desiderio bruciante che pareva accumularsi sempre più, anziché spegnersi nel passare dei giorni.
Non poteva continuare così, sarebbe impazzita

Nello studio Giordano riprese a leggere, ma un rumore lo interruppe. Un click nella sala. Lo scatto di una serratura? Poi dei passi. Una pausa. Un altro passo. Poi silenzio.
- Giulia, tesoro, sei tu?-
Non ebbe risposta, solo la percezione di piedi nudi che passavano dal pavimento al silenzio del tappeto alle sue spalle.
Giordano voltò la testa incuriosito ma non allarmato: era in casa sua, nel suo studio, non poteva accadergli nulla di male.
Vide sua figlia.
Nuda, la cicatrice scura dell’intervento a solcarle il petto pallido.
Un’espressione decisa, insolita.
Un lungo coltello da cucina in mano.
- Giulia? Ma che fai…-
Non fece in tempo a riprendersi dalla sorpresa, Giulia gli fu sopra.
La lama affondò nel petto del padre sospinta da una forza innaturale.
Il sangue sprizzò dalla ferita andando a formare una pozza sul pavimento dove era caduto il foglio che Giordano teneva tra le mani. Le ultime parole ad essere raggiunte dal rosso polipo denso che fuoriusciva dal petto di Giordano furono “… espiantato dal serial killer”.
Mentre il padre moriva, gli occhi attoniti, Giulia lo fissava col cuore talmente accelerato che pareva volersi liberare dal quel petto estraneo.
Sull’ultimo respiro gridò, sopraffatta dall’orgasmo al quale non sapeva più a rinunciare.