LA PERFEZIONE SI SA NON E' DI QUESTO MONDO - MAMMOLINA

Simona era disperata, non riusciva a controllare la rabbia. Sapeva di essere brutta, ma non intendeva rinunciare ai propri sogni solo per l’aspetto. Niente che le andasse bene. L’ultima beffa, l’esame di matematica: ancora una volta l’odioso Professore Antonio Repetti l’aveva licenziata con fare saccente.
“Signorina, le consiglio di ritornare alla prossima sessione d’esami”.

Oddio, lo odiava con tutte le sue forze. Aveva studiato fino allo sfinimento, le lunghe veglie notturne sanguinavano ancora, e quello stronzo in cattedra, senza nemmeno prestarle un minimo di attenzione, disgustato dalla sua presenza, le aveva sbattuto il libretto in faccia per la quarta volta. L’ultima materia prima della laurea. L’amaro sapore di fiele le circolava tossico fra le massacrate venature dell’amor proprio.

“La deve pagare, vigliacco!”

Con passo spedito s’incamminò verso casa di Livia.
“Solo lei mi può aiutare”.  

Aveva ancora la faccia di Repetti davanti agli occhi, i suoi capelli rosso tiziano, quella bocca sgraziata piena di denti storti e la sua voce che sembrava prorompere come un gorgoglio, come se cercasse di farsi largo e fuoriuscire da una faringe ingombra. L’avevano intubato? Che aveva in bocca? Parlava come se masticasse una patata che gli faceva emettere suoni distorti. Bastardo, l’avrebbe pagata.
Giunta a casa di Livia, buttò sulla sedia il suo giubbotto, si sedette, accese una sigaretta mettendo i piedi sulla scrivania e sviscerò la sua ira.
Livia la osservava, quel giorno Simona le appariva più brutta del solito. Perché una ragazza di soli ventitré anni debba ridursi ad essere una vera palla di lardo non trova una ragione plausibile. Contava tre strati di adipe sulla pancia ed un doppio mento che sembrava orlare la sua figura sulla prossimità del capo. I capelli erano crespi ed opachi, unti alla radice.
Un buon taglio, un buon parrucchiere l’avrebbe di certo aiutata. Anche un buono shampoo.
Le sopraciglia troppo folte e scure si univano sul naso. Era anche pelosa in un modo inverosimile. L’ombra di scuri baffi le adombrava gli angoli della bocca li dove una ripugnate bavetta bianca si andava a fermare ed una folta peluria scura le copriva le braccia. Non osava immaginare le gambe, quelle per fortuna erano rinchiuse come dei grossi salami insaccati nei pantaloni rigorosamente strettissimi che portava in ogni stagione. Non le aveva mai viste. Neanche al mare.
Quante volte le aveva detto che con pinzette e ceretta avrebbe potuto apparire più gradevole? E con un paio di pantaloni ampi la sua figura sarebbe riuscita ad apparire meno goffa? Per non parlare di una dieta.
L’insicurezza di Simona sembrava placarsi e plastificarsi nella ripetitività e nella monotonia del suo perseverare a non migliorare se stessa. Un atto di ferrea auto affermazione della sua bruttura sembravano essere la sua forza. Bruttura che cercava prepotentemente di imporre al di là di ogni più piccolo aspetto piacevole che si negava, ma che anzi sembra rafforzare con un carattere insopportabile ed insolente che s’intimava sugli altri.
Irrimediabilmente brutta.

Ma chi lo diceva a Simona, da dove partiva la sua certezza che Livia potesse e volesse davvero aiutarla? Aveva cercato tante volte di aiutarla sul serio per cose ben più importanti senza riuscirci mai.
Livia era stanca di Simona.

Simona si girò verso il computer e prese a scrivere:
“Allora hai capito cosa voglio fare?... Hey dico mi hai sentita?
Quel bastardo! È la quarta volta che mi respinge al mio ultimo esame, mi sta facendo saltare la sessione di laurea! Ho superato ventitre esami in tre anni con il massimo dei voti, ho la tesi pronta nel cassetto ed ora quel bastardo per un infinitesimale errore che ogni volta compio mi boccia, ma chi si crede d’essere?”

Simona aveva deciso di scrivere una lettera al responsabile del Dipartimento di Matematica evidenziando innanzi tutto la mancanza di professionalità del Repetti  che si ostinava a fissare il suo ricevimento alle ore 8:30 del sabato mattina e presentandosi puntualmente ogni volta verso mezzogiorno. Lasciava gli studenti accalcarsi nello stretto corridoio davanti al suo ufficio. Ma cos’era una tortura? Loro si svegliavano presto e dovevano correre ad apporre la loro firma dietro la porta. Si finiva ogni volta per le tre del pomeriggio, ad essere fortunati.
Una nota disciplinare per un Professore universitario non è cosa da nulla.
Testimoni per la mancanza del Professore ce ne sarebbero stati a bizzeffe, o almeno così Simona supponeva, tutti i ragazzi e tutte le ragazze che con lei avevano sostato ogni sabato nello stretto corridoi, Livia per prima.

Non contenta Simona cercò l’indirizzo di posta elettronica della Professoressa Francesca Ripetti, moglie del Professore, Responsabile del Dipartimento di Italianistica nella Facoltà di Lettere. Avrebbe scritto anche a lei, era ora che sapesse quanti caffè prendesse quel marpione con le sue allieve più belle e come queste passassero subito l’esame di matematica. Anche con Livia l’aveva fatto.
“Un caffè schiumato la ringrazio Professore".

Livia non resse la scena ed iniziò a dire a Simona di smetterla, che non era il caso. Simona non l’ascoltava, la fissava, l’analisi simmetrica che poco prima Livia aveva eseguito su di lei si stava ripetendo inversa e parallela.
Bella, Livia era maledettamente bella.  Che ne poteva sapere lei con quelle gambe snelle e tanto lunghe che quando si sedeva sembravano quasi attorcigliarsi in un nodo? Con le sue minigonne, le labbra carnose schiuse nella perenne attesa quasi di un bacio, le dita lunghe e affusolate, i capelli lunghi e lucidi sciolti sulle spalle o racchiusi in un morbido chignon? Due sessioni prima Livia aveva passato l’esame con Repetti al primo tentativo. Trenta e lode, manco a dirlo. Saranno stati i suoi occhioni azzurri?
Come facevano ad essere amiche? Simona iniziò a chiederselo. Osservava Livia mentre le parlava ma non la sentiva, le sembrava di essere dietro un vetro, le parole non giungevano, vedeva la bocca muoversi ma non capiva.
“Cazzo Livia, mica sei perfetta! Hai una caccola che ti pende dal naso!” Sibilò.
Scattò in piedi, con le mani distese il pulloverino sui suoi strati di adipe, afferrò il giubbotto e così come era arrivata, come una furia andò via.

Prese a ridere scendendo le scale, la faccia di Livia sbigottita che di colpo si ammutoliva con la sua caccola pendente, le apparve comica e grottesca allo stesso tempo.
“E’ facile distruggere la bellezza” pensò.

Perse quasi l’equilibrio per la risata tanto sguaiata che sembrava percorrere ed investire ogni strato della sua pelle che gelatinosa sembrava essere percorsa da un tremito. Erano come onde che si increspano e sussultano sul mare. Dove conducono? Già, dove conducono?

In più l’avviso di una email scattò sul suo nokia 95. Maledizione anche ai collegamenti dei cellulari con internet.

Il Responsabile del Dipartimento, il Dottor Lombardo, la convocava ad un colloquio immediato qualora fosse stata reperibile e disponibile nel suo ufficio. Merda.

Giunse fuori all’ufficio del Dottor Lombardo trafelata, gocce di sudore le imperlavano la fronte, sotto le ascelle un alone bagnato si allargava a dismisura. Fuori alla porta con lei il Professor Ripetti attendeva minaccioso.

“Le ritiro la tesi a partire da ora. Lei in questa facoltà non si laureerà più, le do la mia parola”.

Simona avvampò, ebbe l’esatta sensazione di essere un’aragosta che viene gettata viva in una pentola bollente.
“Ahi scotta! Ahi brucia!”

Che aveva combinato? In meno di un pomeriggio la sua carriera universitaria stava saltando per aria.

I testimoni! Ecco si, aveva bisogno di loro per perorare la sua causa davanti a Lombardo. Veloce cercò sul suo cellulare “gruppi”, cliccò Università e rapidamente inviò un messaggio a tutti i suoi compagni di numerose attese nell’angusto corridoio, Livia inclusa.
Rapide le risposte giunsero.
“Scusami Simo, la cosa non mi interessa, l’esame oramai l’ho superato. Baci Toni”
“Mi laureo fra 10 giorni, non chiedermelo mi metteresti nei guai. Auguri Gaia”
“Tu sei scema! Baci Francy”.

Aveva le lacrime agli occhi, la vista sembrava appannata, non riusciva a scorgere più i messaggi di risposta, il vetro opaco che prima le aveva impedito di prestare ascolto alle parole di Livia era come se si fosse propagato. Prima era stato l’udito, ora la vista. Un blackout totale. Forse si era trattato della ragione che era venuta a mancare.

Era sola e si sentiva persa. Cercò un fazzoletto nella sua borsa, disperatamente, il rimmel le iniziava a colare negli occhi, presto si sarebbero gonfiati, ora era davvero quasi cieca.
Una mano le offrì un fazzoletto all’improvviso. Livia era arrivata.
In quel istante Lombardo li invitò ad accomodarsi.
Livia prese la mano di Simona: “ Vieni dai, entriamo insieme”.

La perfezione si sa non è di questo pianeta, eppure, a volte, in due si può riuscire a sfiorarla.