PENSIERI, FORSE PAROLE - MAMMOLINA

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Io lo seguivo a qualche passo di distanza, sul perno, sulla ruota, intorno alla carrucola o alla puleggia che tratteggiava il cerchio della sua esistenza, ero diventata un’ombra, impalpabile al suo fianco.

Non riesco a smettere di seguirlo nonostante il mio silenzio, ed il mio essermi resa anche invisibile ai suoi occhi. Il silenzio di Sophia. Il mio silenzio.
Una malattia mi ha colto improvvisa, un fiume in piena che rompe i suoi argini, straripando nel mio cervello e trasformandolo in una palude di acque stagnanti: un aneurisma, così viene chiamato. Congenito, così mi hanno detto.
Il mio volto è rimasto intrappolato nella perenne espressione di un’orrida smorfia, un braccio è contratto, un piede, ricurvo. Ma questo non è l’aspetto più devastante: ho perso la possibilità di attingere alla meraviglia e all’incanto della parola, e la mia voce è un alternarsi di suoni asillabici, gutturali, disarticolati, senza un senso.
Eppure tutto in me ha ancora un significato, ma le parole che ripercorro non riescono ad uscire dalle mie labbra;  per gli altri sono una storpia poggiata su una sedia, possono mettermi ovunque, resto li, dinanzi alla quale sorridono pietosi e che trattano come se non comprendesse. Urlano, come se non potessi sentirli.

“Ehi! Sono qui! Sono qui dentro! Sono viva! Tiratemi fuori, vi supplico, salvatemi!” – vorrei urlare, urlare forte. Loro non sentono, non mi capiscono. Piango.
La mia capacità di coordinare suoni, oggetti a parole è svanita e nulla mi resta davvero se non il pensiero, il mio pensiero di lui. Mi ci aggrappo forte, lo stringo. Ho paura di morire senza almeno questo.

L’ultima cosa che ricordo di aver fatto prima di diventare prigioniera a me stessa è stata di lasciarlo e rendergli quel quadro nel quale mi aveva ritratta tempo addietro.
I miei capelli neri pettinati, raccolti, la riga in mezzo ben delineata, non questo scompiglio che ora sembra giacermi sul capo. Il mio rossetto rosso vermiglio. Le  spalle nude ed il mio collo lungo, pronto li ad invitare ed ospitare i suoi baci.
Ed un dito lieve posato sulle labbra, ad indicare poi forse l’ironico presagio in cui la sorte mi ha rinchiuso. In una piega, in un contrarsi infinito del tempo, il mio volto era rimasto a lui come era. Nessuna smorfia.

“Non avrai altro di me che il mio silenzio!” – gli avevo gridato uscendo dalla sua vita.
La punizione che avrei voluto fosse soltanto sua era ricaduta inesorabile su tutta me stessa.
Ed il mio pensiero con il tempo è diventata la mia sola libertà, posso prenderlo, avvolgerlo, scioglierlo, disperderlo, ma è anche la mia prigione al contempo, in questo lo inseguo, a tratti con lui rivivo, certa e sicura che mai verrà più a cercarmi, perché lo conosco, perché so il suo sentire e so che fra noi è calata la giusta distanza che relega le cose ad un passato ed oramai finito amore.  Finito, come me che resto qui seduta ad intrecciare pensieri, sperando diventino chissà forse un giorno di nuovo parole.
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